La cosa pazzesca è che di draghi se ne trovano un po’ ovunque in diverse culture del mondo…Dai draghi rappresentati sulla porta di Ishtar nell’arte babilonese, passando poi per l’arte greca e romana, arrivando al trionfo dei draghi nel periodo medievale…
Ritrovando poi i draghi, simbolo del demonio, uccisi dai Santi Giorgio e Michele in tutto il rinascimento… Draghi tetri nel barocco, draghetti eleganti nel settecento…draghi impegnativi per tutto il 1800…
Draghi europei e draghi orientali…
Draghi su muri e su pelle…
Draghi simbolo di rinascita, di emancipazione, forza e saggezza…
E quindi anche noi ci siamo cimentati con i draghi!
Foglio 33×48, liscio o ruvido, diviso in due. Il primo drago si poteva ricalcare partendo da una forma data molto semplice che quindi veniva spontaneo migliorare e personalizzare. Il secondo drago era pura invenzione. Un drago in bianco e nero, a matita o tratto pen e uno a colori, a matite sfumate, con sfondi alternati. Un ottimo lavoro per mettere alla prova la fantasia ma anche la tecnica!
Io amo i draghi…ma direi che son piaciuti parecchio anche ai miei studenti!!!
A 150 anni dalla prima mostra degli impressionisti, quella nello studio di Nadar, ecco una mostra monografica dedicata a lui e solo a lui: Giuseppe De Nittis, che assieme a Boldini e a Zandomeneghi rappresentò uno spicchio di Italia in terra francese, les italiens de Paris, che esponevano di fianco a Monet, Degas, Renoir…
Da Barletta, dove nasce, si trasferisce a Napoli per studiare all’Accademia di Belle Arti dove si iscrive contro il volere della famiglia e da dove viene espulso solo due anni dopo, nel 1863. Assieme ad un gruppo di pittori si avvicina alla pittura en plein air, prima a Portici e poi, siamo ormai nel 1866, in diretto contatto con i macchiaioli toscani conosciuti direttamente a Firenze…proprio quando Cecioni è invece a Napoli, faranno insieme parte della Scuola di Resìna…questa corrente pittorica italiana legata al verismo e ai macchiaioli…
Ed ecco quindi un esempio perfetto, sembra quasi una inquadratura dei videogiochi in soggettiva: l’occhio dello spettatore si immerge nel paesaggio napoletano seguendo questa strada lunghissima che si perde all’orizzonte. I due cavalli visti dall’alto della carrozza sono appena accennati eppure chiarissimi, dipinti praticamente en plein air mentre l’artista lavora assieme ad un altro artista, Caillebotte, pittore francese che sarà anche promotore della pittura impressionista, che di ritorno dalla guerra franco prussiana, nel 1872, era in Italia e si ritrova a girare assieme a De Nittis, tornato in Italia proprio a causa della stessa guerra, in una carrozza che era praticamente una sorta di studio mobile.
Nel novembre del 1870 De Nittis è costretto a lasciare Parigi a causa della guerra franco prussiana e dei disordini della Comune, trascorre così lunghi periodi in Italia dedicandosi a studi di paesaggio alle pendici del Vesuvio, dichiarando proprio «Mi aveva preso, come accade a molti, l’amore per la montagna, per il Vesuvio».
Giuseppe De Nittis diventa proprio il cantore della modernità e della mondanità parigina. Al suo occhio attento non sfugge nessuno di quei particolari che caratterizzano questa città , in questo momento in piena trasformazione. Al pittore non interessa granchè la classica veduta urbana e nemmeno i classici monumenti storici, testimonianze di un passato glorioso… a De Nittis interessa la Parigi moderna, in costruzione con tanto di impalcature, con la sua vita di società nei luoghi pubblici dove tutti corrono e si muovono, impegnatissimi, vendendo arance sotto la pioggia o…magari anche solo mentre si spettegola passeggiando al parco…
Dalla fine degli anni Settanta dell’Ottocento, De Nittis inizia a studiare gli effetti della luce artificiale in interno, in un tipo di ricerca parallela ma complementare a quella condotta en plein air. Nascono così numerose scene di salotti ripresi a lume di candela o lampade a gas, interni riccamente decorati e popolati da una folla elegante e distinta.
Nell’inverno tra il 1874 e il 1875 una nevicata eccezionale ricopre Parigi e per De Nittis, abituato poi al clima del meridione italiano e al sole…è un momento di gioioso stupore.
Nell’aprile del 1874 De Nittis parte per Londra, rompe definitivamente con il mercante Goupil e va, in pratica, alla ricerca di nuovi committenti. Nella capitale inglese ritrova il pittore James Tissot che lo introduce nell’ambiente londinese favorendo la conoscenza con il ricco banchiere Kaye Knowles che per De Nittis diventerà semplicemente Mr. K. E che diventerà uno tra i più grandi sostenitori dell’artista. E anche in Inghilterra…il nostro De Nittis si trova benissimo
Il gusto per l’arte orientale che pervaderà tutta Europa…inizia in realtà proprio da Parigi quando, nel 1867, il Giappone partecipa per la prima volta all’Esposizione universale conquistando artisti, letterati, critica e pubblico.  Anche De Nittis ovviamente è vittima di questo fascino orientale e nel 1869 si cimenta in soggetti giapponesizzanti
Nei primi anni Ottanta De Nittis è all’apice della carriera ma, oserei dire incredibilmente…inizia a mostrare insofferenza per i ritmi frenetici della città …proprio quei particolari metropolitani che tanto lo avevano affascinato all’inizio della carriera… Inizia quindi a passare sempre più tempo in campagna a Saint Germaine en Laye dove morirà  improvvisamente il 21 agosto del 1884 nella casa di campagna.
Nello studio restano le sue opere, le ultime incompiute, i ritratti iniziati alla moglie Leontine sull’amaca…la moglie francese che aveva reso parigino l’artista italiano che aveva portato la pittura francese in Inghilterra… l’artista pugliese che aveva iniziato a dipingere un vulcano in eruzione per passare poi ai fumi delle strade cittadine e alle nebbie inglesi per finire il suo percorso immerso in una natura che si poteva dipingere solo rimanendoci completamente immersi, come solo i pittori impressionisti avevano insegnato a fare… morto giovanissimo, secondo le parole di Alexandre Dumas figlio: Morto in piena giovinezza, in pieno amore, in piena gloria. Come gli eroi e i semidei.
Più di cento opere per conoscere l’artista bergamasco, tra i maggiori interpreti della pittura rinascimentale lombarda, immenso ma decisamente, da sempre, poco considerato. Pensate che il Vasari, sciagurato, non lo cita nemmeno!!! E invece…e invece ce lo possiamo godere in nove sezioni che partono cronologicamente dall’inizio del suo percorso, in bottega, fino al confronto con artisti suoi contemporanei come Lorenzo Lotto, Gerolamo Savoldo e Moretto, fino alla dialogo diretto con opere di Tiziano, Veronese e Tintoretto, così da oltrepassare i confini regionali
Il maestro di Moroni: Alessandro Bonvicino detto il Moretto
Giovanissimo, Moroni, frequenta quindi la bottega del Moretto, pittore bresciano che però lavora anche a Bergamo e Milano. E per imparare…si inizia proprio con il disegno. Al 1543 risalgono una serie di disegni che il Moroni realizza su foglietti di quaderno e copia le opere del suo maestro
Gli esempi di Lotto e Moretto
Se possiamo ricordare il Moroni per il suoi ritratti…va anche riconosciuta la fonte cui si è ispirato e la strada da cui è partito. Nei suoi primi esperimenti ha avuto come esempi i livelli altissimi di Lorenzo Lotto e del Moretto. Tra l’altro i due pittori erano anche amici tanto che quando Lotto lasciò Bergamo, dopo esserci rimasto per una decina di anni, in pratica passò i suoi committenti al suo amico, il pittore bresciano Moretto. Da Lotto deriva quella capacità di stabilire quasi un rapporto di confidenza con il soggetto ritratto, con un approccio anche un po’ disincantato…mentre dal Moretto prende gli schemi impaginativi che aiutano a concentrarsi sull’aspetto fisico dei modelli, sui loro volti e sugli sguardi.
Fateci caso…i ritratti di Moroni si allontano dall’idea che invece era molto in voga nel cinquecento: proporre ritratti somiglianti, sì certo, ma in pose eleganti, trovando le inquadrature migliori per rendere il soggetto al meglio, non solo dal punto di vista estetico idealizzandolo anche un po’. Lui si discosta da questo proprio in maniera anticonvenzionale proponendo ritratti al naturale, con l’aspetto reale che ci lascia intravedere anche la psicologia del personaggio ritratto. E…non si limita a personaggi importanti ma si interessa anche a persone di estrazione sociale più umile.
Moroni a Trento
Trento verso la fine del 1545 ospita il Concilio ecumenico. Il principe vescovo della città all’epoca era Cristoforo Madruzzo, personaggio dalle riconosciute abilità diplomatiche legato all’imperatore Carlo V. Moroni era entrato in contatto con la famiglia Madruzzo grazie alla realizzazione di ritratti eseguiti per i nipoti del principe vescovo…ed ecco quindi che si ritrova a Trento proprio nel momento giusto: la città vive un clima internazionale senza precedenti che gli offre la possibilità di venire a contatto con ritrattisti molto in voga al momento, come Tiziano e Anthonis Mor. Personaggi reali, oggetti simbolici, gioielli che da vicino sono semplici macchie ma che al colpo d’occhio risultano perfettamente definiti.
E se per rappresentare un nobile servono broccato e gioielli preziosi…per rappresentare un artista come Giulio Romano Tiziano gli piazza in mano un disegno di una architettura, forse la Basilica palatina di Santa Barbara, edificata a Mantova, proprio nella corte dove Giulio Romano si trovava in quel periodo al servizio del Gonzaga. Ed ecco quindi che un giovane Moroni ritraendo lo scultore Alessandro Vittoria, giovane anche lui eh, lo rappresenta pensando magari anche un po’ a se stesso. Spettinato, in abiti da lavoro con tanto di maniche rimboccate e con in mano un busto antico, probabilmente classico. E ci indica così caratteristiche fisiche, ma anche l’attività del soggetto e anche le sue passioni…
Ritratti di potere
 Nel corso del cinquecento i rappresentanti del potere hanno fatto ampiamento ricorso al genere del ritratto (Carlo V si è fatto ritrarre in tutti i modi possibili). Dipinti con un carattere eminentemente pubblico. Dovevano insomma aiutare a ricordare l’uomo…ma anche e soprattutto la sua posizione sociale e politica e quindi…anche il suo potere. Anche i personaggi del Moroni svolgevano funzioni pubbliche e di esercizio del potere, rappresentanti della Repubblica di Venezia che ricoprivano il ruolo di podestà in Terraferma, carica destinata ai membri del patriziato veneziano…e quindi te li aspetti un po’ così, distanti…altezzosi, pronti a sottolineare il loro rango e il loro stato sociale…e invece Moroni ce li mostra al naturale. Nella loro sfera privata più che nelle vesti pubbliche… più evidenti quando dallo sfondo iniziano a sparire dallo oggetti e citazioni colte a favore di uno sfondo neutro che alla anticipa un po’ il nero caravaggesco ma anche e soprattutto tutta la ritrattistica ottocentesca
Ritratti al naturale
Ecco come appaiono i ritratti di Moroni. Per il critico d’arte Roberto Longhi «sono così veri e semplici da comunicarci addirittura la certezza di averne conosciuto i modelli». Ma c’è tutto un percorso e uno studio che portanp a questo risultato! Innanzitutto il Moroni li dipinge a grandezza naturale e questo fa quasi credere allo spettatore di trovarcisi realmente di fronte. Lì nella stessa stanza con il soggetto ritratto. Inoltre i modelli non vengono abbelliti e vengono dipinti di getto, senza perdere tempo a minimizzare eventuali difetti fisici…come del resto aveva suggerito di fare il Cardinale Gabriele Paleotti , quando proprio al Concilio di Trento, aveva richiesto a gran voce la piena adesione al vero per le figure profane.
Dettagli fisici ma anche psicologici e molto terreni…Conosciamo parecchio dei dati biografici di Albani, un nobile cavaliere aurato con collana in oro e pendente, cavaliere di san marco, qui ritratto quando si era ripreso da una lunga malattia che poi comunque lo avrebbe portato alla morte. Molti di questi ritratti infatti venivano fatti per ristorare il ricordo di chi rimaneva, un ritratto naturale che deve aderire a tutti i difetti, lipoma in fronte, questo bernoccolo, compreso. Mani aggrappate alla savonarola e aggrappate alla vita, usata fino alla fine anche per tener stretto questo libricino…
Pale d’altare con e senza ritratti
Qui i cambiamenti dettati dal Concilio di Trento si fanno sentire… Le parrocchie diocesane si impongono come committenti del Moroni che si ritrova a sostituire le vecchie immagini devozionali con nuovi schemi compositivi.. Mentre in epoca preconciliare era piuttosto normale trovare i committenti rappresentati nelle pale d’altare…ora questa usanza è vista in maniera molto meno favorevole. Il Moroni quando dipinge anche i committenti quindi ci mostra sacerdoti diocesani intenti a mostrare esempi di carità oppure a celebrare il sacramento dell’Eucarestia. Insomma a fare cose e non a mostrare solo se stessi
Il ritratto devoto e l’orazione mentale
Il ritratto devoto e l’orazione mentale è un tipo di preghiera che veniva esercitata mentalmente e in silenzio. È quell’ambito della devozione privata per cui Moroni (e anche Moretto) hanno realizzato diverse opere… esistevano svariati testi al servizio di questa pratica e spesso erano rivolti direttamente al devoto mentre gli suggerivano di rivolgersi mentalmente a luoghi e storie sacre da contemplare nella sua immaginazione. Negli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola, pubblicati nel 1548, la meditazione avveniva grazie alla composizione mentale del luogo da contemplare, In molti casi Moroni ha introdotto una sorta di confine fisico tra lo spazio reale dove è presente il committente con un ritratto ben riconoscibile e la parte dedicata all’episodio sacro. Può essere una quinta architettonica o una balaustra…ma il confine tra reale e immaginario è spesso ben visibile e riconoscibile.
Moroni e il ritratto della società del suo tempo
Quando Moroni si dedica al ritratto della società del suo tempo…ci offre anche quella che è probabilmente la sezione più colorata, sfarzosa e scenografica della mostra. Il pittore intorno agli anni 50 diventa il preferito tra  le famiglie nobili bergamasche: i Brembati, gli Albani, i Grumelli, i Vertova…anche grazie alla stanzialità del pittore che dopo l’esperienza trentina decise di vivere stabilmente nella sua Albino, il paese natale… Scelgono Moroni per essere rappresentati in maniera sfarzosa ed elegante ma anche per descrivere una società di persone colte, esperte di poesia e letteratura
Il sarto e la moda del nero
La moda del nero, di cui abbiamo già avuto qualche assaggio nel corso della mostra, è in realtà dovuta al regno di Carlo V. Il nero divenne colore ufficiale della corte asburgica in Spagna, diventando a quel punto in voga in tutta Europa. I tantissimi vestiti neri indossati da donne e uomini ritratti dal moroni confermano questa tendenza…e per fugare ogni dubbio…basterebbe poter sfogliare il cosiddetto libro del sarto, un catalogo di moda portatile, un volume di produzione milanese che contiene disegni, modelli di taglio, stampe e appunti in cui compaiono anche parecchi figurini destinati ad ecclesiastici, dottori e magistrati…tutti rigorosamente vestiti di nero
E concludo questo riassunto della mostra con una fantastica carrellata di opere…
Affrontando il Realismo abbiamo imparato quanto fosse importante, per questi artisti, il tema del lavoro.
Come rivendicazione politica per mettere sullo stesso piano l’importanza dell’essere umano, degno sempre e comunque d’essere rappresentato, sia che fosse un principe o un nobile ricco ed elegante, sia che fosse un operaio in abiti da lavoro, come ad esempio gli Spaccapietre di Courbet.
Come immagine poetica dell’onestà del lavoro che serve a creare, in terra, quella che è la volontà di Dio che comunque vede e provvede ed è sempre presente nella vita dei credenti, come nell’Angelus di Millet
Il momento coglie i due lavoratori nei campi durante un attimo di pausa e di riposo, al suono delle campane ci si ferma a pregare per tre volte al giorno (alba, mezzogiorno e tramonto). La chiesa c’è, sullo sfondo e la pausa è anche il momento per tirare il fiato. Il lavoro nei campi è duro, gli attrezzi (carriola, secchi e rastrello), vengono messi momentaneamente da parte. Capo chino e mani giunte è il momento della preghiera a Dio che è nell’aria, in quella luce soffusa presente in molte opere di questo artista. Una luce calda che accompagna e quasi protegge chi si comporta bene, lavorando e pregando, in cambio di una vita…chissà se non proprio felice, almeno con la dignità data dall’onestà .Â
Il corso Pon di Arte Pratica quest’anno ha permesso la realizzazione di 6 pannelli in mdf con i personaggi dei rispettivi indirizzi del mio Istituto Scolastico.
In pratica ogni due sezioni corrispondono ad un personaggio che rappresenta le caratterizzazioni del corso che sarà poi il percorso scolastico dei tre anni.
Le 30 ore di lavoro, tra progettazione e realizzazione, hanno impegnato una ventina di validissimi collaboratori provenienti da varie classi seconde della scuola!
Abbiamo usato un primer aggrappante come base e normali colori all’acqua da parete (una enorme latta di bianco e svariati concentrati di colore). Come protezione finale abbiamo passato una mano di vernice lucida protettiva.
I pannelli frontalmente rappresentano il personaggio cui è dedicato l’indirizzo mentre nel retro hanno la sua iniziale e qualche oggetto per rendere immediata la caratterizzazione del percorso.
Saranno poi utilizzati in maniera variabile, durante gli Open Day, durante i concerti dell’indirizzo musicale e durante le feste di fine anno!
Impariamo a disegnare gocce e biglie tridimensionali e…nessuna paura: basterà seguire il tutorial di disegno passo a passo!
Occorrente:
1 cartoncino grigio (io ho usato il fondo di un album), ma il lavoro viene bene anche su foglio normale bianco
tappi di tutte le misure ma anche qualsiasi oggetto tondo da usare come dima (tappi, spillette, monete…anche il compasso va bene eh…ma per le goccine piccole è più comodo usare una dima!)
una riga o un righello per segnare dove andrà a finire l’ombra
matite colorate, se usate il cartoncino grigio meglio preferire una marca un po’ grassa (andranno bene quelle che avete, al massimo farete più fatica a sfumare), matita 2B, 3B e un correttore bianco a penna (o un qualsiasi pennarellino bianco)
BIGLIE
Guardate bene la differenza della luce che va a definire le forme solide da quelle liquide…
Il ritratto ha una storia antica…antichissima e viene ben prima dell’autoritratto che propongo come lavoro nelle mie classi di seconda media proprio mentre studiamo il primo Rinascimento. (…in fondo alla pagina guardate che lavori pazzeschi han creato! ;))
Gli egizi distinguevano bene chi e come ritrarlo. I faraoni rappresentavano la divinità e quindi erano una bellezza idealizzata, perfetta e sempre uguale nei secoli (tranne Akhenaton, il faraone che per primo cambiò la religione e quindi l’unico di cui abbiamo un’immagine realmente somigliante). Ma i ritratti realistici, nell’antico Egitto, erano solo per le persone comuni come ad esempio uno scriba…
Nel periodo dell’arte assiro babilonese e poi in quello che si concentra su cretesi e micenei troviamo qualche altro esempio di ritratto ma si tratta sempre di ritratti intenzionali, cioè sempre simili tra loro e solo in qualche raro caso c’è il ritratto tipologico che non somiglia quindi al soggetto ma che ci permette di capirne rango, potere e categoria sociale cui appartiene.
L‘arte greca all’inizio ricerca solo la bellezza ideale e quindi Kore e Kouros, rappresentano rispettivamente la bellezza femminile e maschile. Un sorrisino accennato e nulla più…e nessuna distinzione caratterizzante se non pura bellezza come nel caso del doriforo. Ma pian piano i greci scopriranno le piccole caratteristiche che ci rendono unici…e se in Pericle sono ancora pochine e serve il nome inciso in baso per aver certezza del personaggio che ci appare bello, forte ed elegante… Euripide lo potremmo riconoscere anche incontrandolo casualmente per strada!
Gli etruschi iniziano gradualmente le caratterizzazioni dei volti…dai vasi canopi a volte qualcosa si può immaginare…ma pian piano arriveranno alla spietata accuratezza che negli artisti romani non farà sconti a nessuno… guardate il povero Commodo o il tempo che passa anche per Nerone…così come allo stesso modo, in maniera sincera, esalterà la bellezza appena potrà , come ad esempio nel ritratto di Faustina Minore.
l’arte bizantina e paleocristiana si concentra sulla religione, sui simboli…i ritratti son proprio l’ultimo dei loro pensieri. I volti son quelli e la distinzione tra le persone la fanno gioielli e accessori.
Arnolfo di Cambio ci propone quello che è probabilmente il primo ritratto realistico in Europa: Carlo I d’Angiò. Umanissimo, con tanto di rughe anche se ben determinato e fiero. Giotto ritrae il suo committente, il banchiere Enrico Scrovegni e già che c’è si autoritrae con cappellino giallo di fianco a Dante con coroncina di foglie di alloro regolamentare e anche Masaccio metterà in primo piano, di profilo e molto ben riconoscibili, i committenti della sua Trinità .
Pisanello è tra i primi a recuperare l’idea romana del ritratto di profilo sulle medaglie. Là gli imperatori…qui i grandi nomi delle Signorie italiane e seguirà lo stesso schema stilistico anche nei ritratti in pittura, importanti, appunto, come imperatori in epoca romana.
A questo punto il ritratto diventa davvero uno status symbol: se sei qualcuno, anche se non sei nobile ma solo ricco, devi assolutamente avere un tuo ritratto e…decisamente somigliante, magari realizzato da Antonello da Messina. Poi magari scegli di farti ritrarre solo dal tuo lato migliore come farà il Duca di Urbino, Federico da Montefeltro, dopo che un incidente gli devasterà il lato destro del volto…
Ma il profilo spesso è anche una scelta utilissima per sottolineare ed enfatizzare eleganza e bellezza come fanno Antonio e Piero del Pollaiolo ma anche il Ghirlandaio e tanti altri… son veri maestri nei ritratti di donne belle, eleganti e fieramente di profilo!
Botticelli rappresenta Dante di profilo con quella caratteristica fisica che rimarrà per sempre nei nostri ricordi scolastici: il naso importante e allo stesso tempo la bellezza di Simonetta Vespucci, modella della Primavera, viene sottolineata dal profilo che mostra un’acconciatura che è un trionfo di nastri intrecciati e perle… Leonardo, famoso per il ritratto della Gioconda ritratta frontalmente, sceglie il profilo per la bellezza pacata di Bianca Sforza, figlia illegittima del Duca di Milano…
Insomma il ritratto nel corso dei secoli è sempre stato protagonista nell’arte…
Ora i protagonisti siete voiii!!!
-Foglio 33×48 liscio o ruvido, appoggiate il volto e fatevi dare una mano da un compagno di classe per passare con attenzione la matita lungo tutto il vostro profilo passando anche per tutto il resto del cranio (facendo attenzione ai capelli che spesso rischiano di far deragliare la matita).
-Sistemate ora il vostro ritratto scegliendo se farlo somigliante o…sognante e immaginario
-come abbiamo ben visto nella lezione del video dedicato al ritratto dalle origini al 1400…anche lo sfondo è importante. Scegliete se usarlo per raccontare parte della vostra vita, per anticipare quello che vorreste fare in futuro o se usarlo come sfondo puramente decorativo per far risaltare il vostro volto. La tecnica libera prevede quindi qualsiasi materiale. Matite colorate, pennarelli, collage e tempere…
GUARDATE CHE AUTORITRATTI PAZZESCHIIIIIIII
E ATTENZIONE: IN QUESTO CASO ABBIAMO AVUTO ANCHE DEGLI “OSPITI A DISTANZA” CHE HANNO SCELTO DI REALIZZARE COME NOI IL LORO AUTORITRATTO DI PROFILO CONDIVIDENDO POI I LORO BELLISSIMI LAVORI! BENVENUTI RAGAZZI DELLA SMS ENRICO MATTEI DI CASTEL DI LAMA!
Keith Haring inizia il suo viaggio artistico, breve ma intensissimo, dalla Pennsylvania, dove era nato nel 1958 e dove aveva iniziato fin da subito a disegnare, anche grazie al padre, appassionato di fumetti, che lo incoraggia…  E’ un adolescente un po’ sciagurato eh…insofferente alle regole, si perde un po’ nel consumo di droghe e alcool con gli amici… molla quasi subito un paio di scuole d’arte iniziate e mai finite…insomma è un artista autodidatta che si forma in maniera autonoma su libri di artisti come Dubuffet, Pollock, Klee…
Ma Pittsburgh gli sta stretta e nei primi anni settanta era quasi un obbligo andare a New York dove Haring è un giovane artista che frequenta i giri giusti del momento: il Club 57, un locale leggendario situato nel seminterrato di una chiesa polacca, punto di incontro tra artisti, attori e musicisti più in vista del momento, tipo Madonna, Cindy Lauper e il giovane artista Basquiat.
Nel 1978 Haring scriverà nel suo diario: «Il pubblico ha diritto all’arte, l’arte è per tutti!» ed è subito pop art, popular art, arte per tutti e qualche amico lo rimprovera anche per questa sua scelta così poco remunerativa di disegnare sulle magliette di chi lo fermava per strada riconoscendolo… oppure sui motorini, su qualsiasi oggetto a portata di mano…insomma un omino gioioso non lo negava a nessuno. Senza spiegare le sue opere, senza firmarle…erano comunque riconoscibilissimi, erano sue, e lui le regalava senza guadagnarci nulla
Haring ormai è famoso e lo è davvero…alle opere libere, vandaliche, in mezzo alla gente, si affiancano mostre di tutto rispetto. Dopo la prima mostra nel 1979 entra a pieno diritto nel gruppo di artisti che contano negli anni ‘80 e conoscerà Basquiat che diventerà suo amico e che gli presenterà il suo idolo: Andy Warhol! Nella sua personale del 1982 nella Tony Shafrazi Gallery, che peraltro andò benissimo, ci saranno come ospiti e sostenitori nomi del calibro di Lichtenstein e Rauschenberg…e la fama di Haring arriva in Europa con mostre in Francia, alla Biennale di Parigi, in Olanda, Belgio e Italia, alla galleria di Napoli di Lucio Amelio nel 1983, poi a Bologna e alla Biennale di Venezia l’anno successivo.
E la sua storia artistica è molto legata all’Italia: una delle sue ultime grandi opere pubbliche, Tuttomondo, la realizza a Pisa nel 1989, un inno alla vita, l’opera pubblica sulla parete esterna del convento di Sant’Antonio a Pisa, definito da lui stesso «uno dei progetti più importanti che abbia mai fatto». Ma già nel 1984, a Bologna, la mostra Arte di frontiera, con le opere di Basquiat, Haring e Scharf, fa conoscere al pubblico italiano le ultime tendenze dell’arte americana: il graffitismo.
Ma negli anni ottanta se passavi dall’Italia…dovevi passare da Milano. E Grazie a quel personaggio particolarissimo che fu Elio Fiorucci, non proprio stilista, un po’ designer ma soprattutto creatore di quelli che all’epoca erano negozi ritrovo: un mix di oggetti, moda e tendenze, dove passare il tempo sentendosi quasi in un mondo parallelo. E Fiorucci chiama Haring, nel 1983, per un’idea folle: decorare il suo negozio in galleria Passerella in San Babila, di fronte al pubblico. Il negozio viene svuotato completamente e l’artista ha carta bianca per due giorni no-stop di perfomance creativa. Il negozio rimane aperto a chiunque e chiunque può andare a vedere Haring
Lo stile anticonformista di Haring e le sue immagini vivaci erano perfette per i manifesti pubblicitari che devono colpire gli spettatori trasmettendo loro messaggi in maniera rapidissima. Dal 1982 il suo lavoro è quindi molto richiesto tanto che nel corso della sua carriera produrrà più di cento progetti pubblicitari
Ma tantissimi altri lavori di Haring sono legati alla pubblicità e a collaborazioni commerciali, orologi Swatch compresi!
L’esperienza nel negozio di Fiorucci gli piace e gli permette di scardinare un po’ il sistema che regolava il mondo della richiesta e dell’offerta nel mondo dell’arte. Fino ad ora l’artista centellinava quasi la sua produzione, i clienti attendevano frementi di poter comprare le opere che erano esclusive…arriva Haring e cambia tutto! Produce beni di largo consumo. Opere d’arte che costano poco, alla portata di tutti…e vengono mvendute nei negozi, non nelle gallerie. Ed ecco i Pop Shop, il primo nel 1986 in Lafayette street, un negozio che era un po’ un’esperienza artistica immersiva e perfomativa…sì insomma è lo stile Fiorucci con l’artista che dipinge in mezzo al pubblico!
Haring era un artista impegnato in lotte serissime nonostante il suo stile pittorico, ricco di colori e segni decisi, mostrasse quasi sempre un mondo giocoso e in costante movimento. Nel 1984 realizza opere legate alla lotta all’Apartheid, figure nere che si battono per liberarsi dal cappio al collo tenuto in mano dall’oppressore bianco. Vuole sostenere il movimento anti segregazione razziale, lo stesso che si stava impegnando in quegli anni per dare il voto ai cittadini neri del Sud Africa… il modo per contribuire a questa causa in maniera artistica fu un successo: riprodurre queste figure nere, decisamente arrabbiate, stampandole su spillette, magliette e poster, per diffondere la consapevolezza di ciò che era questa profonda ingiustizia, vendendole poi a prezzo simbolico, senza guadagnarci quindi, anche durante i vari concerti dell’epoca, così da poter raggiungere quante più persone possibili.
Per Haring l’attivismo di base era fondamentale. Si considerava un sostenitore delle cause umanitarie, impegnato a promuovere il benessere per tutti. Sensibilissimo ai problemi delle persone che lo circondavano sostenne tantissime battaglie, tutte in prima persona. Nel 1982 disegnò e fece stampare 20000 manifesti per sostenere la denuclearizzazione. Organizzò feste, mostre ed eventi per raccogliere fondi contro la carestia in Africa Nel 1986 protestò contro l’oppressione politica dipingendo una serie di figure intrecciate su di una porzione di 300 metri del Muro di Berlino, con i colori della bandiera tedesca.
Ma l’impegno di Haring si rivolge anche al problema terribile che nel 1986 stava affliggendo gli Stati Uniti: una nuova droga, potente, letale, a basso prezzo e quindi a larghissima diffusione: era il crack! In quegli anni venne organizzato anche un mega concerto per sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere fondi per un programma contro la droga. Haring era molto sensibile a questo tema e partecipò alla realizzazione dell’evento creando poster programma e biglietto: un grosso piede che calpesta la pipetta da crack, sorretta da due figure con una X che simboleggia la morte.
E ovviamente si impegnò anche per la lotta ai diritti delle comunità lgbt…nel 1989 per il servizio postale americano ha realizzato il timbro commemorativo della manifestazione del 1969, quando i membri della comunità lgbt organizzarono una protesta contro i maltrattamenti che subivano regolarmente da parte della polizia, l’inizio insomma delle lotte per i diritti degli omosessuali. I moti di Stonewall che all’epoca era un bar gay dove la polizia irruppe dando vita ad uno scontro molto violento, considerati il momento della nascita del movimento di liberazione gay moderno in tutto il mondo.
Durante tutta la sua breve carriera Haring dimostrò una dedizione assoluta nei confronti dei più giovani, battendosi per i loro diritti compreso quello alla salute e sostenendone lo sviluppo creativo. Per lui i bambini rappresentano l’onestà , l’espressività e l’immaginazione. Era amico dei giovani che abitavano nel suo quartiere e lavorava con loro a progetti artistici… L’artista ha sostenuto molte cause a favore dell’infanzia realizzando un’infinità di murales e sculture per ospedali pediatrici, ambulatori, chiese e centri di aggregazione. Per i figli del suo mercante tedesco realizza un libro illustrato con soli due colori. Forme che nascono in maniera quasi casuale e rappresentano un gioco, una favola illustrata tutta da raccontare, un modo per entrare in contatto con il gioco infantile…
Con Sean Kalish, un bambino delle elementari che passava molto tempo nel suo pop shop, realizza opere a 4 mani…uno dei due iniziava l’opera e l’altro la proseguiva per poi decidere insieme se dichiararla finita o andare ancora avanti nel lavoro… una vera e propria collaborazione creativa.
Un mondo di omini danzanti, coloratissimi come i Best buddies, forma semplice con figure senza razza o orientamento sessuale definito… oppure omini misteriosi come Growing Suite, dove un omino ci mostra in realtà le varie sfaccettature del nostro essere a seconda di ciò che ci circonda e di ciò che compone la nostra personalità e a volte sono omini in pose decisamene esplicite, era il momento dell’impegno con i temi dei diritti lgbt, dell’aids, del sesso sicuro…
Bosch e un altro Rinascimento, a Palazzo Reale: una mostra dedicata non tanto e non solo all’artista olandese…ma soprattutto a quanto il suo lavoro abbia poi influito su tutti i suoi contemporanei!
Al rinascimento ufficiale quindi, quello classico, L’artista olandese contrappone un mondo con scene infernali e oniriche. Pensate: è proprio un cronista suo contemporaneo, Marcantonio Michiel, a fornire la prima descrizione delle opere di Bosch usando parole come: inferno, mostri e sogni. Di Bosch si parla, all’epoca, come di pictor gryllorum, pittore di scene ridicole. Ed ecco che la mostra si apre con quella che è l’opera probabilmente più emblematica del lavoro di Bosch: Il Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio. Nella stessa opera troviamo tutte le caratteristiche associate a questo artista: fuochi infernali, architetture contorte, mostri, ibridi, personaggi grotteschi e scene stravaganti.
La parte esterna del trittico è monocroma, tranne una piccolissima torcia accesa, in rosso fuoco. Questa realizzazione a grisaglia non è nuova nella tradizione fiamminga. E’ una scelta anche teatrale…all’apertura dei pannelli esterni, i fedeli rimanevano ancora più stupiti di fronte alla meraviglie delle immagini colorate della pala d’altare aperta.
Il trittico dei Santi eremiti, della fine del 1400, in prestito da Venezia, faceva probabilmente parte della collezione che già sin dal primo cinquecento, era di proprietà del cardinale veneziano Domenico Grimani. Quest’opera tra l’altro ha anche la firma dell’autore, bene in vista in basso nel pannello centrale.
Anche nelle meditazioni di San Giovanni Battista, apparentemente più tranquilla, in realtà troviamo la cifra stilistica di Bosch: forme strane e scene impossibili…sono opere che vanno viste da vicino, nei minimi particolari. Ed è questa anche una scelta artistica per stimolare la curiosità dello spettatore e per costringerlo a fermarsi ad osservare e a meditare sulle scene che presentano sempre diversi livelli di lettura, sia moralistico-religiosi che ridicoli e allegorici.
2 Classico e anticlassico tra Italia e Penisola Iberica
Nell’immaginario comune dell’epoca quindi…lo stile di Bosch si lega soprattutto all’aspetto fantasioso e bizzarro delle sue opere. Nel rinascimento diventa quindi una sorta di alternativa…un altro rinascimento, appunto.
Ma questa dicotomia così forzata lo è soprattutto per noi ora. Noi oggi identifichiamo il rinascimento con l’arte classica con la ricerca dell’equilibrio e del bello ma se ci pensiamo bene…anche Leonardo da Vinci, artista d’eccellenza del rinascimento…già nel suo codice trivulziano si era divertito ad inserire figure caricaturali con volti deformi, tutto sommato non così distanti dalle immagini folli di Bosch.
Nel cinquecento, il fantastico e il mostruoso era una parte figurativa ben presente nelle grottesche, che sono poi di origine classica, riscoperte negli affreschi della Domus aurea diffusa anche grazie alle rielaborazioni di Raffaello.
E troveremo quindi decorazioni simili in forme e contesti differenti: come motivo a stampa nell’esempio di Nicoletto Rosex, incisore italiano, che crea grottesche con nudi, mascheroni e elementi fantastici che verranno poi riutilizzati nel 1530 per i rilievi dell’Università di Salamanca… e sempre a Salamanca troviamo poi una serie di capitelli mostruosi nel chiostro del convento di Las Duenas.
Le sculture in legno policromo e dorato del Retablo de San Benito di Berruguete, ma anche quelle di  Gaspar de Tordesillas, suo allievo, che realizza il Retablo de San Antonio Abad nello stesso monastero a Valladolid, uniscono la tradizione medievale al recupero del mondo classico ai nuovi modelli rinascimentali.
E le stesse decorazioni a grottesche le troviamo anche negli arazzi su disegno di Perin del Vaga, allievo di Raffaello, realizzati per la residenza di Andrea Doria a Genova.
Insomma il fantastico e le sue molteplici interpretazioni continueranno a coesistere per tutto il millecinquecento: lo scudo di Praga con mostri in perfetto in “stile Bosch” accanto alla Rotella milanese post raffaelliana di evidente stampo classico.
3 Il sogno
Nell’Europa meridionale il nome di Bosch viene associato fin dai primi decenni del 500, all’invenzione pittorica di inferni, sogni e incubi e fin da subito viene ripreso da artisti suoi seguaci.
Il tema onirico lo ritroviamo un po’ ovunque e il collegamento diretto va subito alle invenzioni di Bosch, anche nei mostriciattoli riprodotti addirittura nei calamai.
Anche in opere apparentemente…normali, come Il Sogno della scuola di Battista Dossi e l’Allegoria della vita umana di Ghisi, … in tutte queste opere in realtà troviamo collegamenti diretti alle scene di Bosch, ai suoi mostri e ai suoi incubi.
4 La magia
Riti magici e sabba infernali diventano soggetti molto apprezzati fino al seicento inoltrato. Non dimentichiamo i processi per stregoneria e la pubblicazione di manuali e trattati per riconoscere e punire le streghe…Di volta in volta troveremo il Diavolo rappresentato da donne seduttive oppure streghe orribili che mangiano bambini.
5 Visioni apocalittiche
Il giudizio universale è lo spartiacque tra salvezza e dannazione eterna. Nella religione cristiana si vede spesso Cristo che separa meritevoli e peccatori. E ovviamente è un soggetto che piace parecchio a collezionisti e committenti delle opere di Bosch…il trittico del Giudizio Universale esposto qui a Palazzo Reale apparteneva al cardinale Marino Grimani nipote del collezionista veneziano Domenico Grimani. Ed è un vero piacere osservare i mostri marini e terrestri che affiancano i demoni che hanno creato ogni sorta di sistema per meglio torturare i peccatori!
Il giudizio finale, il paradiso e l’inferno diventano quindi un’ottima scusa per dipingere mostri, demoni e immagini perfettamente in linea con quelle di Bosch.
Attraverso la stampa e una sorta di passaparola dell’arte l’invenzione di Bosch arriverà fino alle chiese peruviane del diciassettesimo secolo come nel caso dell’immenso giudizio universale nel convento di S. Francesco a Cuzco …
6 Le tentazioni di Sant’Antonio
Bosch e i suoi seguaci amano questo soggetto e ne fanno svariate versioni che piacciono moltissimo in tutta Europa. L’iconografia del santo torturato dai demoni e tentato da donne sensuali ha sicuramente un carattere morale …ma è anche la scusa per dare carta bianca all’artista che potrà così sbizzarrirsi tra mostri e chimere.
Ma qui non è solo Bosch a fare scuola ma anche l’artista tedesco Martin Schongauer che ci mostra il santo trasportato fisicamente in cielo dai demoni.
7 la stampa come mezzo di divulgazione
Il marchio di Bosch, cioè quelli che possiamo definire come mostriciattoli, non nasce immediatamente…ci si arriva tramite un processo di selezione e ripetizione di queste immagini e la diffusione delle opere di Bosch è avvenuta principalmente attraverso la stampa. Molti incisori, soprattutto fiamminghi, hanno fin da subito iniziato a riprodurre le sue opere dichiarandolo: sono idee di Bosch. C’è poi lo strano caso di Brueguel il Vecchio che non si limita a copiare le scene di Bosch ma le reinterpreta proprio, riuscendo quindi a vivere esattamente nel mondo immaginario di Bosch preferendo l’emulazione all’imitazione e qui possiamo vedere le sue intepretazioni attraverso le incisioni di Pieter van der Heyden tratte dai Sette oeccati Capitali di Brueguel, serie ricordata persino dal Vasari che ne sottolinea anche l’intento umoristico.
8 Il mondo asburgico
L’arte di Bosch piace davvero tanto agli Asburgo, la dinastia che nel cinquecento dominava l’Europa, il bello è che anche il re di Francia, Francesco I di Valois, uno dei principali oppositori della casata asburgica, era molto interessato alle opere di Bosch…passione portata avanti anche dai suoi discendenti. Queste due famiglie dettavano un po’ la moda del momento e quindi è anche grazie a loro e alle loro corti, se il fenomeno Bosch si trasferirà anche in una serie di arazzi, qui anche una versione più tarda dell’arazzo dedicato all’elefante, arazzo svanito misteriosamente nel nulla…
9 la curiosità e il collezionismo enciclopedico
Nel Cinquecento nel mondo delle corti si sviluppano forme di collezionismo enciclopedico o universale. Insomma si colleziona di tutto di più…Delle camere delle meraviglie, le wunderkammer… con gli oggetti esposti e collezionati si esprime lo status sociale del proprietario e si cerca un collegamento con il mondo invisibile. Sono mirabilia, opere nate per suscitare sorpresa e anche qualche risata: dall’automa diabolico della Collezione Settala (che muoveva davvero occhi e bocca emettendo un suono infernale!) ai volti dell’Arcimboldo.
Oggetti reali che ritroviamo dipinti in forme magari assurde e incredibili con l’ormai riconoscibilissimo…tocco alla Bosch: uno stile nato per stupire e divertire uno spettatore del Rinascimento…che però ancora oggi lascia a bocca aperta anche la folla a noi contemporanea, stipata davanti a queste opere… modernissime per forme, colori e ironia.