I draghi li conosciamo tutti…non perché abitino normalmente nei nostri salotti ma perché vivono da sempre nelle fiabe che ci hanno letto da piccoli…son protagonisti di leggende e racconti e ovviamente sono stati spesso rappresentati nella storia dell’arte!
La cosa pazzesca è che di draghi se ne trovano un po’ ovunque in diverse culture del mondo…Dai draghi rappresentati sulla porta di Ishtar nell’arte babilonese, passando poi per l’arte greca e romana, arrivando al trionfo dei draghi nel periodo medievale…
Ritrovando poi i draghi, simbolo del demonio, uccisi dai Santi Giorgio e Michele in tutto il rinascimento… Draghi tetri nel barocco, draghetti eleganti nel settecento…draghi impegnativi per tutto il 1800…
Draghi europei e draghi orientali…
Draghi su muri e su pelle…
Draghi simbolo di rinascita, di emancipazione, forza e saggezza…
E quindi anche noi ci siamo cimentati con i draghi!
Foglio 33×48, liscio o ruvido, diviso in due. Il primo drago si poteva ricalcare partendo da una forma data molto semplice che quindi veniva spontaneo migliorare e personalizzare. Il secondo drago era pura invenzione. Un drago in bianco e nero, a matita o tratto pen e uno a colori, a matite sfumate, con sfondi alternati. Un ottimo lavoro per mettere alla prova la fantasia ma anche la tecnica!
Io amo i draghi…ma direi che son piaciuti parecchio anche ai miei studenti!!!
A 150 anni dalla prima mostra degli impressionisti, quella nello studio di Nadar, ecco una mostra monografica dedicata a lui e solo a lui: Giuseppe De Nittis, che assieme a Boldini e a Zandomeneghi rappresentò uno spicchio di Italia in terra francese, les italiens de Paris, che esponevano di fianco a Monet, Degas, Renoir…
Da Barletta, dove nasce, si trasferisce a Napoli per studiare all’Accademia di Belle Arti dove si iscrive contro il volere della famiglia e da dove viene espulso solo due anni dopo, nel 1863. Assieme ad un gruppo di pittori si avvicina alla pittura en plein air, prima a Portici e poi, siamo ormai nel 1866, in diretto contatto con i macchiaioli toscani conosciuti direttamente a Firenze…proprio quando Cecioni è invece a Napoli, faranno insieme parte della Scuola di Resìna…questa corrente pittorica italiana legata al verismo e ai macchiaioli…
Ed ecco quindi un esempio perfetto, sembra quasi una inquadratura dei videogiochi in soggettiva: l’occhio dello spettatore si immerge nel paesaggio napoletano seguendo questa strada lunghissima che si perde all’orizzonte. I due cavalli visti dall’alto della carrozza sono appena accennati eppure chiarissimi, dipinti praticamente en plein air mentre l’artista lavora assieme ad un altro artista, Caillebotte, pittore francese che sarà anche promotore della pittura impressionista, che di ritorno dalla guerra franco prussiana, nel 1872, era in Italia e si ritrova a girare assieme a De Nittis, tornato in Italia proprio a causa della stessa guerra, in una carrozza che era praticamente una sorta di studio mobile.
Nell’ottobre del 1864 De Nittis conosce Léontine Lucille Gruvelle, quella che poi diventerà sua moglie, musa e modella ma anche presenza costante nella vita del pittore, incarnando perfettamente il modello di donna parigina contemporanea: colta, raffinata ed elegante. Sarà proprio lei a pubblicare nel 1895 i ricordi autobiografici del marito e ad apparire innumerevoli volte nelle tele dell’artista
Nel novembre del 1870 De Nittis è costretto a lasciare Parigi a causa della guerra franco prussiana e dei disordini della Comune, trascorre così lunghi periodi in Italia dedicandosi a studi di paesaggio alle pendici del Vesuvio, dichiarando proprio «Mi aveva preso, come accade a molti, l’amore per la montagna, per il Vesuvio».
La Parigi di De Nittis è la brillante capitale del Secondo impero di Napoleone III. Moderna, caotica, mondana e vivacissima. Ecco perché sceglierà di viverci stabilmente a parte numerosi viaggi tra Italia e Inghilterra. Deciderà di descrivere la vita moderna, di cui diventerà uno dei pittori migliori, capace di raccontarne con vivacità gli svaghi e i protagonisti. La moda contemporanea così ben rappresentata dai tantissimi ritratti femminili è qui al suo massimo splendore.
Giuseppe De Nittis diventa proprio il cantore della modernità e della mondanità parigina. Al suo occhio attento non sfugge nessuno di quei particolari che caratterizzano questa città, in questo momento in piena trasformazione. Al pittore non interessa granchè la classica veduta urbana e nemmeno i classici monumenti storici, testimonianze di un passato glorioso… a De Nittis interessa la Parigi moderna, in costruzione con tanto di impalcature, con la sua vita di società nei luoghi pubblici dove tutti corrono e si muovono, impegnatissimi, vendendo arance sotto la pioggia o…magari anche solo mentre si spettegola passeggiando al parco…
Dalla fine degli anni Settanta dell’Ottocento, De Nittis inizia a studiare gli effetti della luce artificiale in interno, in un tipo di ricerca parallela ma complementare a quella condotta en plein air. Nascono così numerose scene di salotti ripresi a lume di candela o lampade a gas, interni riccamente decorati e popolati da una folla elegante e distinta.
Nell’inverno tra il 1874 e il 1875 una nevicata eccezionale ricopre Parigi e per De Nittis, abituato poi al clima del meridione italiano e al sole…è un momento di gioioso stupore.
Nell’aprile del 1874 De Nittis parte per Londra, rompe definitivamente con il mercante Goupil e va, in pratica, alla ricerca di nuovi committenti. Nella capitale inglese ritrova il pittore James Tissot che lo introduce nell’ambiente londinese favorendo la conoscenza con il ricco banchiere Kaye Knowles che per De Nittis diventerà semplicemente Mr. K. E che diventerà uno tra i più grandi sostenitori dell’artista. E anche in Inghilterra…il nostro De Nittis si trova benissimo
Nel 1874 sarà proprio Degas ad invitarlo a partecipare alla storica prima mostra del gruppo presso lo studio del fotografo Nadar, al quale il nostro De Nittis invia 5 opere, ovviamente en plein air. Ed ecco che De Nittis, dal cuore italiano, si porta un po’ di Francia in Inghilterra… già perché anche nei suoi numerosi soggiorni al di là della Manica si dedica alla pittura all’aria aperta.
Il gusto per l’arte orientale che pervaderà tutta Europa…inizia in realtà proprio da Parigi quando, nel 1867, il Giappone partecipa per la prima volta all’Esposizione universale conquistando artisti, letterati, critica e pubblico. Anche De Nittis ovviamente è vittima di questo fascino orientale e nel 1869 si cimenta in soggetti giapponesizzanti
Nei primi anni Ottanta De Nittis è all’apice della carriera ma, oserei dire incredibilmente…inizia a mostrare insofferenza per i ritmi frenetici della città…proprio quei particolari metropolitani che tanto lo avevano affascinato all’inizio della carriera… Inizia quindi a passare sempre più tempo in campagna a Saint Germaine en Laye dove morirà improvvisamente il 21 agosto del 1884 nella casa di campagna.
Nello studio restano le sue opere, le ultime incompiute, i ritratti iniziati alla moglie Leontine sull’amaca…la moglie francese che aveva reso parigino l’artista italiano che aveva portato la pittura francese in Inghilterra… l’artista pugliese che aveva iniziato a dipingere un vulcano in eruzione per passare poi ai fumi delle strade cittadine e alle nebbie inglesi per finire il suo percorso immerso in una natura che si poteva dipingere solo rimanendoci completamente immersi, come solo i pittori impressionisti avevano insegnato a fare… morto giovanissimo, secondo le parole di Alexandre Dumas figlio: Morto in piena giovinezza, in pieno amore, in piena gloria. Come gli eroi e i semidei.
Affrontando il Realismo abbiamo imparato quanto fosse importante, per questi artisti, il tema del lavoro.
Come rivendicazione politica per mettere sullo stesso piano l’importanza dell’essere umano, degno sempre e comunque d’essere rappresentato, sia che fosse un principe o un nobile ricco ed elegante, sia che fosse un operaio in abiti da lavoro, come ad esempio gli Spaccapietre di Courbet.
Lavorano con fatica, non son certo un’immagine gradevole, non guardano lo spettatore perché sono impegnati e concentrati. I vestiti sono laceri e si vedono bene tutti gli attrezzi da lavoro a portata di mano.
Anche le Spigolatrici di Millet ci mostra un lavoro faticoso e in questo caso anche molto poco appagante. Fece scandalo tra la ricca nobiltà francese quando venne esposto al Salòn del 1857 perché in pratica era un po’ un atto di accusa nei confronti della ricca classe dirigente. Le tre donne, soprannominate subito “le tre grazie dei poveri”, hanno aspetto dimesso e viene mal di schiena solo a guardarle. Raccolgono le spighe di grano avanzate dopo la mietitura, insomma lavorano per recuperare gli scarti. Abiti consumati, mani arrossate e gonfie, non son certo eleganti e gradevoli alla vista. L’unica cosa che attenua un po’ tutta la scena è la luce, quella luce che ci ricorda la presenza divina nel cielo con lo stormo di uccelli che volano liberi…liberi come quelle donne non saranno mai.
Come accusa alle condizioni in cui erano costretti a vivere molti lavoratori dell’epoca, come ad esempio il Vagone di terza classe di Daumier
Le figure hanno lo sguardo perso nel vuoto a causa della stanchezza. Le posizioni stesse con cui sono seduti ci fanno fisicamente sentire la fatica sopportata, bambini donne, anziani…non si riesce a dare loro un’età precisa perché son praticamente tutti con i volti deformati dalla loro vita di fatica e lavoro e anche un viaggio che dovrebbe essere quasi un momento di riposo e a volte di gioia…diventa una sorta di girone infernale, ammassati tra altri lavoratori in un vagone dove, ricordiamolo, era anche possibile caricare animali vari, andando così a formare un ambiente non certo profumato ed accogliente.
Come immagine poetica dell’onestà del lavoro che serve a creare, in terra, quella che è la volontà di Dio che comunque vede e provvede ed è sempre presente nella vita dei credenti, come nell’Angelus di Millet
Il momento coglie i due lavoratori nei campi durante un attimo di pausa e di riposo, al suono delle campane ci si ferma a pregare per tre volte al giorno (alba, mezzogiorno e tramonto). La chiesa c’è, sullo sfondo e la pausa è anche il momento per tirare il fiato. Il lavoro nei campi è duro, gli attrezzi (carriola, secchi e rastrello), vengono messi momentaneamente da parte. Capo chino e mani giunte è il momento della preghiera a Dio che è nell’aria, in quella luce soffusa presente in molte opere di questo artista. Una luce calda che accompagna e quasi protegge chi si comporta bene, lavorando e pregando, in cambio di una vita…chissà se non proprio felice, almeno con la dignità data dall’onestà.
Impariamo a disegnare gocce e biglie tridimensionali e…nessuna paura: basterà seguire il tutorial di disegno passo a passo!
Occorrente:
1 cartoncino grigio (io ho usato il fondo di un album), ma il lavoro viene bene anche su foglio normale bianco
tappi di tutte le misure ma anche qualsiasi oggetto tondo da usare come dima (tappi, spillette, monete…anche il compasso va bene eh…ma per le goccine piccole è più comodo usare una dima!)
una riga o un righello per segnare dove andrà a finire l’ombra
matite colorate, se usate il cartoncino grigio meglio preferire una marca un po’ grassa (andranno bene quelle che avete, al massimo farete più fatica a sfumare), matita 2B, 3B e un correttore bianco a penna (o un qualsiasi pennarellino bianco)
cartoncino grigio, riga, tappi e matita
una volta disegnati i cerchi segnate la direzione delle ombre partendo dalla lampadina che avrete disegnato in un angolino
selezionate colori vari per ogni forma, meglio se avete tre gradazioni
per comodità in classe ho fatto usare una dima per la lampadina
BIGLIE
Guardate bene la differenza della luce che va a definire le forme solide da quelle liquide…
Nelle biglie procedete così
COLORATE DI NERO LA PARTE OPPOSTA ALLA LUCE
POI PASSATE AL GRIGIO
RIFINITE CON IL BIANCO
TOCCO DI MAGIA UNA LINEA COLORATA IN GIALLO, COME LA LUCE DELLA LAMPADINA
SEGUITE LA LINEA DELL’OMBRA E DISEGNATE UN CONO IN GRIGIO
AGGIUNGETE MATITA 2B E 3B
SFUMATE SOLO L’OMBRA CON LA PUNTA DEL DITO
PUNTO DI LUCE CON PENNARELLLO O CORRETTORE BIANCO
GOCCE LIQUIDE
Attenzione perché dovete ricordare che la luce passa attraverso la goccia e si riflette al suo interno…quindi è indispensabile procedere così (e volendo potete deformare un pochino il vostro cerchio perfetto)
POCO NERO DAL LATO OPPOSTO ALLA LUCE
BIANCO DECISO AL CENTRO
MOLTO NERO DAL LATO DOVE LA LUCE TOCCA LA GOCCIA LASCIANDO PERO’ UN CERCHIETTO VUOTO
COLORATE IN BIANCO IL CERCHIETTO
PUNTO DI BIANCO A PENNARELLO PROPRIO AL CENTRO DEL CERCHIETTO
e ora volete davvero esagerare?! ma siiii dai dai daiiiiii
GOCCIA DI ACQUA SU SUPERFICIE COLORATA
COLORATE UNA PARTE DELLO SFONDO E DISEGNATE SOPRA LA VOSTRA FORMA
CANCELLATE IL COLORE ALL’INTERNO DELLA FORMA
COLORATE PROCEDENDO COME NELLE GOCCE LIQUIDE
…vediamo come ve la siete cavata… attendo fiduciosa!
Il ritratto ha una storia antica…antichissima e viene ben prima dell’autoritratto che propongo come lavoro nelle mie classi di seconda media proprio mentre studiamo il primo Rinascimento. (…in fondo alla pagina guardate che lavori pazzeschi han creato! ;))
Gli egizi distinguevano bene chi e come ritrarlo. I faraoni rappresentavano la divinità e quindi erano una bellezza idealizzata, perfetta e sempre uguale nei secoli (tranne Akhenaton, il faraone che per primo cambiò la religione e quindi l’unico di cui abbiamo un’immagine realmente somigliante). Ma i ritratti realistici, nell’antico Egitto, erano solo per le persone comuni come ad esempio uno scriba…
Nel periodo dell’arte assiro babilonese e poi in quello che si concentra su cretesi e micenei troviamo qualche altro esempio di ritratto ma si tratta sempre di ritratti intenzionali, cioè sempre simili tra loro e solo in qualche raro caso c’è il ritratto tipologico che non somiglia quindi al soggetto ma che ci permette di capirne rango, potere e categoria sociale cui appartiene.
L‘arte greca all’inizio ricerca solo la bellezza ideale e quindi Kore e Kouros, rappresentano rispettivamente la bellezza femminile e maschile. Un sorrisino accennato e nulla più…e nessuna distinzione caratterizzante se non pura bellezza come nel caso del doriforo. Ma pian piano i greci scopriranno le piccole caratteristiche che ci rendono unici…e se in Pericle sono ancora pochine e serve il nome inciso in baso per aver certezza del personaggio che ci appare bello, forte ed elegante… Euripide lo potremmo riconoscere anche incontrandolo casualmente per strada!
Gli etruschi iniziano gradualmente le caratterizzazioni dei volti…dai vasi canopi a volte qualcosa si può immaginare…ma pian piano arriveranno alla spietata accuratezza che negli artisti romani non farà sconti a nessuno… guardate il povero Commodo o il tempo che passa anche per Nerone…così come allo stesso modo, in maniera sincera, esalterà la bellezza appena potrà, come ad esempio nel ritratto di Faustina Minore.
l’arte bizantina e paleocristiana si concentra sulla religione, sui simboli…i ritratti son proprio l’ultimo dei loro pensieri. I volti son quelli e la distinzione tra le persone la fanno gioielli e accessori.
Arnolfo di Cambio ci propone quello che è probabilmente il primo ritratto realistico in Europa: Carlo I d’Angiò. Umanissimo, con tanto di rughe anche se ben determinato e fiero. Giotto ritrae il suo committente, il banchiere Enrico Scrovegni e già che c’è si autoritrae con cappellino giallo di fianco a Dante con coroncina di foglie di alloro regolamentare e anche Masaccio metterà in primo piano, di profilo e molto ben riconoscibili, i committenti della sua Trinità.
Pisanello è tra i primi a recuperare l’idea romana del ritratto di profilo sulle medaglie. Là gli imperatori…qui i grandi nomi delle Signorie italiane e seguirà lo stesso schema stilistico anche nei ritratti in pittura, importanti, appunto, come imperatori in epoca romana.
A questo punto il ritratto diventa davvero uno status symbol: se sei qualcuno, anche se non sei nobile ma solo ricco, devi assolutamente avere un tuo ritratto e…decisamente somigliante, magari realizzato da Antonello da Messina. Poi magari scegli di farti ritrarre solo dal tuo lato migliore come farà il Duca di Urbino, Federico da Montefeltro, dopo che un incidente gli devasterà il lato destro del volto…
Ma il profilo spesso è anche una scelta utilissima per sottolineare ed enfatizzare eleganza e bellezza come fanno Antonio e Piero del Pollaiolo ma anche il Ghirlandaio e tanti altri… son veri maestri nei ritratti di donne belle, eleganti e fieramente di profilo!
Botticelli rappresenta Dante di profilo con quella caratteristica fisica che rimarrà per sempre nei nostri ricordi scolastici: il naso importante e allo stesso tempo la bellezza di Simonetta Vespucci, modella della Primavera, viene sottolineata dal profilo che mostra un’acconciatura che è un trionfo di nastri intrecciati e perle… Leonardo, famoso per il ritratto della Gioconda ritratta frontalmente, sceglie il profilo per la bellezza pacata di Bianca Sforza, figlia illegittima del Duca di Milano…
Insomma il ritratto nel corso dei secoli è sempre stato protagonista nell’arte…
Ora i protagonisti siete voiii!!!
-Foglio 33×48 liscio o ruvido, appoggiate il volto e fatevi dare una mano da un compagno di classe per passare con attenzione la matita lungo tutto il vostro profilo passando anche per tutto il resto del cranio (facendo attenzione ai capelli che spesso rischiano di far deragliare la matita).
-Sistemate ora il vostro ritratto scegliendo se farlo somigliante o…sognante e immaginario
-come abbiamo ben visto nella lezione del video dedicato al ritratto dalle origini al 1400…anche lo sfondo è importante. Scegliete se usarlo per raccontare parte della vostra vita, per anticipare quello che vorreste fare in futuro o se usarlo come sfondo puramente decorativo per far risaltare il vostro volto. La tecnica libera prevede quindi qualsiasi materiale. Matite colorate, pennarelli, collage e tempere…
GUARDATE CHE AUTORITRATTI PAZZESCHIIIIIIII
E ATTENZIONE: IN QUESTO CASO ABBIAMO AVUTO ANCHE DEGLI “OSPITI A DISTANZA” CHE HANNO SCELTO DI REALIZZARE COME NOI IL LORO AUTORITRATTO DI PROFILO CONDIVIDENDO POI I LORO BELLISSIMI LAVORI! BENVENUTI RAGAZZI DELLA SMS ENRICO MATTEI DI CASTEL DI LAMA!
Affrontando il Romanticismo…abbiamo conosciuto l’opera di Théodore Géricault, La zattera della Medusa e i tragici eventi che hanno ispirato l’artista per questo capolavoro drammatico.
In terza media si pensa al futuro con più ottimismo ma in pratica si è anche pronti ad iniziare un nuovo viaggio: quello verso la scuola superiore
Il tema quindi è quello della zattera, certo, ma vista più come un’imbarcazione non solo per la salvezza ma per il viaggio che ci attende.
Un’imbarcazione qualsiasi, purché possa galleggiare e che possa portare nel nostro viaggio ciò cui teniamo e che riteniamo utile o indispensabile.
Un gatto, la chitarra, la musica in generale, lo sport, un’amicizia, un’esperienza unica e indimenticabile… Portiamoci dietro tutto, perché il nostro “tutto” fa parte del viaggio!
Tecnica libera, foglio piccolo, obbligo di linee a tratto pen nero da qualche parte…
Guernica, l’opera di Picasso, nasce quasi all’improvviso e nasce con e contro la guerra.
Guernica dopo il bombardamento
Guernica, Picasso, 1937
Il Governo Repubblicano spagnolo nel mese di gennaio del 1937, richiede all’artista un’opera che rappresenti la Spagna all’Esposizione mondiale di Parigi in quello stesso anno. Passano tre mesi e mezzo e Picasso ancora non ha iniziato il suo lavoro. Si avvicina a quella tela immensa ma manca l’ispirazione…chissà. Il 26 aprile 1937, le forze aeree italo-tedesche in appoggio ai nazionalisti franchisti che tentavano di rovesciare la Repubblica spagnola, bombardano Guernica, città basca. L’incursione aerea della Legione Condor con la partecipazione dell’Aviazione Legionaria italiana mette in moto Picasso che terminerà l’opera a giugno dello stesso anno, appena in tempo per l’Esposizone. Ma Picasso è a Parigi in quel periodo…”vede” quindi la guerra, la morte e la distruzione, attraverso i giornali che informano il mondo di quell’orrore. Giornali in bianco e nero che in parte vengono citati nella parte bassa delle figure, con quei trattini tanto simili ai caratteri di stampa.
Giornali che ho quindi chiesto ai ragazzi di utilizzare liberamente…cercando e scegliendo articoli e titoli riguardanti la guerra attuale, in Ucraina ma possibilmente, cercando anche riferimenti ad altre guerre perché nel mondo le guerre…non sono mai finite. Quotidiani in qualsiasi lingua e libera scelta del soggetto: tutta l’opera o solo qualche particolare. Unico obbligo: il non colore. La morte non ha colore. La morte per Picasso ma anche per noi, è rappresentata da un cartoncino nero, tratto bianco, carta di giornale.
Il 20 febbraio 1909 su Le Figaro viene pubblicato, da Filippo Tommaso Marinetti, il Manifesto del Futurismo (perché va bene che Milano all’epoca era la città italiana più moderna…ma se devi annunciare al mondo la nascita del nuovo movimento artistico…anche Milano ti sembra provinciale e quindi scegli un grande quotidiano con respiro internazionale e vai a Parigi!)
Manifesto Futurista su Le Figaro 1909
Le idee futuriste puntano a cambiare il mondo. Tutto ciò che c’è nel mondo, a partire dalle piccole cose. Dalla moda all’arredamento, dalla cucina alla musica. Via tutto quanto sa di vecchio. Viva il colore e la follia!
Gli artisti futuristi, serissimi a vedersi, in realtà abbinavano ai vestiti classici dell’epoca, calzini spaiati a righe colorate e sotto quelle giacche nere…ecco i loro meravigliosi gilet coloratissimi!
Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni, Severini
Ed ecco le nostre versioni!
Fedele Azari nel 1924 pubblica La flora futurista ed equivalenti plastici di odori artificiali
Basta coi fiori naturali
Dobbiamo ormai constatare la decadenza della flora naturale che non risponde più al nostro gusto.
I fiori sono rimasti monotonamente immutabili attraverso i millenni della creazione a delizia dei multiformi romanticismi di tutte le epoche e come espressione del cattivo gusto nei più banali decorativismi.
Oggi, ad eccezione di alcune specie tropicali a grande sviluppo da noi poco conosciute, essi lasciano completamente indifferenti od arrivano anzi ad urtare la nostra sensibilità futurista dal punto di vista plastico e coloristico.
D’altra parte la letteratura e la pittura contemporanea non hanno ancora smesso di farne largo abuso con le più trite immagini e coi più stucchevoli soggetti.
Creazione di una flora plastica futurista
Stabilito ormai che i fiori fornitici dalla natura non ci interessano più, noi futuristi per rallegrare, vivificare e decorare i nostri quadri e i nostri ambienti abbiamo iniziato la creazione di una flora plastica
originalissima
assolutamente inventata
coloratissima
profumatissima
e soprattutto inesauribile per la infinita varietà degli esemplari.
Nel 2003 alle Galerie Nordenhake di Berlino è stata proposta una fedele ricostruzione dei fiori progettati dai futuristi.
Ricostruzione del Giardini futurista, 2003, Nordenhake gallery
Ho quindi chiesto ai miei studenti di pensare, progettare e realizzare, il loro giardino futurista: coloratissimo, eterno e a prova del mio pollice nero!!!
La nostra scuola in chiave espressionista, lo sappiamo bene, non sarebbe proprio tanto simile a quella reale… L’espressionismo nasce come contrapposizione al naturalismo e all’impressionismo. Ha origine da artisti come Van Gogh, Munch e Gauguin… Fauve, Die Brücke e Der blaue Reiter partono sì dall’osservazione della realtà ma ciò che ci mostrano è visto attraverso i loro occhi. Sguardi, anche dato il momento, non sempre sereni ma di sicuro impatto. Ho quindi proposto un lavoro che partiva proprio da questa domanda: Se tu fossi un pittore espressionista come rappresenteresti la tua scuola?
Ho proposto alcune immagini ma ho lasciato anche piena libertà di autonomia (qualcuno ha fatto le foto in prima persona a luoghi di fianco alla scuola).
Tecnica libera (qualcuno ha scelto di fare un lavoro utilizzando la tavoletta grafica, alcuni hanno usato pennarelli, altri tempere, altri ancora pastelli a cera o matite colorate), unico obbligo: osare!