La natura morta

La natura morta è un soggetto pittorico e…no, non le hanno sparato e nessuno l’ha uccisa, tanto per mettere subito in chiaro le cose!

“Natura morta” par quasi un ossimoro, una contraddizione in termini perché la natura è viva per definizione…come si fa a parlare di natura morta!?!

eppure…

Natura morta= rappresentazione di frutta, fiori, selvaggina, strumenti musicali, libri… oggetti inanimati.

Sono oggetti a volte rappresentati fuori dal loro contesto (ad esempio un mazzo di fiori recisi in un vaso), morti quindi…ma vivi in eterno in quella particolare opera pittorica.

A parte qualche raro e particolarissimo esempio di natura morta nell’antichità questo soggetto non ha mai avuto vita autonoma fino all’arrivo di Caravaggio.

In epoca ellenistica troviamo gli asarotos oikos (casa non spazzata), quasi il pavimento delle nostre aule a fine giornata insomma…

Realizzazioni a mosaico che mostrano direttamente sui pavimenti avanzi vari (cibo, scorze di limone ecc). Asarotos e Xenia (doni augurali agli ospiti) sono probabilmente legati al culto dei morti. Il cibo caduto dalla tavola, lì per terra, rimane destinato ai famigliari defunti (no, non provate ad usarla come scusa per non pulire in terra…non funzionerà con me, tzè!)  tra l’altro  serve anche per mostrare agli ospiti gli scarti del proprio lussuoso e prelibato cibo (ancora oggi va di moda andare a sbirciare nelle pattumiere delle celebrità per scoprire cosa ha mangiato a pranzo il super vip!). Gli Xenia invece sono affreschi con simile scopo, piccole rappresentazioni cibo sulle parete, come ad esempio il cesto di fichi che troviamo in una casa a Pompei.

Per secoli troveremo pregevoli esempi di natura morta ma solo affiancati ai soggetti principali: i ritratti.

Nel 1474, ad esempio, Antonello da Messina ci mostra San Girolamo nello studio.

Il Santo è  letteralmente immerso in una incredibile scena prospettica arricchita da tante piccole nature morte, sia nella libreria che sulla scrivania del Santo ma anche in primo piano, proprio di fronte all’osservatore. Del resto lo stesso San Girolamo realizzato però da Jan van Eyck intorno al 1435, sceglie un’ambientazione simile, con contorno di natura morta compreso!

Verso la fine del 1400 l’emiliano Antonio Leonelli (conosciuto anche come Antonio da Crevalcore), raffigura San Paolo seduto al centro di piccole ma chiarissime nature morte: da un lato candele e candelabro, dall’altro penne, calamaio e forbici con effetto tridimensionale che ne fanno quasi un trompe l’oeil.

Sempre del 1400 c’è un esempio di natura morta un po’ particolare…realizzato ad intarsio in legno: lo Studiolo del duca di Urbino nel Palazzo Ducale, con oggetti quali libri, clessidre, strumenti musicali scelti anche per i loro significati simbolici.

Giuliano e Benedetto da Maiano e bottega, tarsie dello studiolo di Federico II

Anche Raffaello non ha resistito al richiamo della natura morta e nell’Estasi di Santa Cecilia mette ai suoi piedi una natura morta composta solo da strumenti musicali.

Raffaello, Santa Cecilia

Nel 1533 a stupirci con il doppio ritratto dei due “Ambasciatori” è Hans Holbein.

I due personaggi  mostrano, con una certa soddisfazione, gli scaffali ricolmi di oggetti incredibili e preziosi simbolo anche del loro piacere per lo studio e del loro potere (in aggiunta a tutto questo ai loro piedi c’è anche la misteriosa anamorfosi con un teschio!)

Un caso al limite è rappresentato da Arcimboldi. Questo pittore geniale trova quasi un compromesso tra ritratto e natura morta: realizza ritratti…composti però da oggetti (fiori, animali…ecc). Non siamo ancora quindi alla natura morta autonoma ma davvero poco ci manca!

Intorno alla metà del 1500 in Europa si cominciano a vedere opere dove gli oggetti sono più protagonisti…dei protagonisti stessi!

Basti pensare all’olandese Pieter Aertsen che nelle sue scene sacre mette le figure sacre sullo sfondo lasciando lo spazio in primo piano tutto dedicato ad incredibili nature morte.

Pieter Aertsen cristo con Marta e Maria

Dobbiamo aspettare l’arrivo di Caravaggio per vedere davvero per la prima volta, in Italia,  una tela “sprecata” solo ed esclusivamente per un soggetto inanimato.

Caravaggio, Canestra di frutta

La prima natura morta, autonoma, della nostra storia dell’arte è infatti la Canestra di frutta del 1599 (e forse chissà…senza la sponsorizzazione del Cardinal del Monte, che la commissionò per farne dono al cardinal Borromeo, ora non saremmo nemmeno qui a parlarne…).Il particolare curioso è che la stessa cesta di frutta, poco prima, la dipinge in mano ad un modello…e poco dopo  la ritroviamo protagonista della Cena in Emmaus

Caravaggio da sempre insegue la rappresentazione del vero, della realtà così com’è e anche qui non ci delude in questa sua ricerca a volte spietata: la frutta è un po’ marcia, la mela bacata, la foglia è stata mangiucchiata da un bruco di passaggio. Forse il suo cesto di frutta era davvero così o forse il pittore ha realmente voluto proporci una perfetta rappresentazione della caducità della vita, tema molto in voga in quel periodo, assieme al memento mori: ricordati che devi morire, tutto ciò che è bello, vivo, fresco è destinato a marcire e a morire, vivi bene perché non sai quando tutto questo avrà fine…

Verso la fine del 1500 troviamo molte rappresentazioni di cibo esposto (al mercato, in vendita, nelle cucine…) ma sempre con qualche personaggio, seppur sempre più defilato.

Nel 1600 la natura morta è un genere ormai diffuso in tutta Europa e diventa un vero e proprio genere pittorico.

Ed ecco quindi Pieter Claesz con la classica Vanitas (il teschio che allude alla morte, la candela richiama la luce della vita, il fiore reciso -che appassirà- e l’orologio rimandano direttamente al tempo che passa); e Evaristo Baschenis, il bergamasco maestro della rappresentazione di strumenti musicali dell’epoca, spesso anche un po’ impolverati…il tempo passa anche per loro insomma!

Gli oggetti non sono quasi mai scelti per caso, sono simbolici: il passare del tempo (orologi, clessidre) i teschi (la morte), le candele (accese o spente sono  la vita o appunto la sua fine), fiori recisi, calici e vasi in vetro (brevità e fragilità della vita) mentre gli oggetti preziosi (oro, gioielli, monete) rimandano al concetto di tutto quanto reputiamo indispensabile nella nostra vita che però sarà del tutto inutile nella morte. Spesso anche gli stessi fiori sono scelte simboliche (i gigli sono da sempre il simbolo della Madonna e alludono alla purezza).

Nel 1700 la natura morta diventa anche un’ottima scusa per mostrare vero virtuosismo: fiori perfetti, frutta prelibata…viene un po’ a mancare tutta la simbologia di vanitas e memento mori e nel nord Europa si cerca in questo genere pittorico quello che è a tutti gli effetti un quadro gradevole senza troppi messaggi nascosti.

Ecco quindi Luis Melendez con dei succosi limoni e Jean Baptiste Chardin con un tavolino pronto per una tazza di caffè e un bicchiere d’acqua.

Ma la natura morta nel corso dei secoli successivi…è ben viva, altro che morta!

La ritroveremo nel 1800  rappresentata con pochi rapidi tocchi dagli impressionisti come Manet e da Cézanne.

Braque nel 1919 ce la mostrerà da differenti punti di vista come voleva fare l’arte cubista mentre Giorgio Morandi ne farà una visione metafisica negli stessi anni.

Poco più tardi René Magritte re del surrealismo ci stupirà con oggetti che forse, chissà, sono ancora nature morte…o forse no…

 

Anche noi nel nostro piccolo abbiamo provato a disegnare delle nature morte e…non vediamo l’ora di mostrarvele: se siete curiosi cliccate qui!

 

 

One thought on “La natura morta

  • 20 Gennaio 2018 at 15:31
    Permalink

    Bellissima la pipa di Magritte

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