Mario Sironi al Museo del Novecento a Milano


Questa retrospettiva, con circa 110 opere, ripercorre il percorso artistico di Mario Sironi, nato, quasi  per caso, in Sardegna ma con il cuore a Milano. Dal simbolismo al futurismo, dalla metafisica alla crisi espressionista fino alla pittura monumentale… qui troviamo davvero tutto.

Nasce a  Sassari, nel 1885, in una famiglia di architetti, artisti, musicisti… da un ingegnere milanese, Enrico, in Sardegna per lavoro chiamato poi a Roma per costruire ponti e argini sul Tevere. A  Roma, Mario, si iscriverà a ingegneria, come suo padre, però questi studi proprio non facevan per lui, infatti li abbandonerà dopo solo un anno anche a causa delle frequenti crisi nervose che lo accompagneranno per il resto della sua vita. Alla scuola di Nudo di via Ripetta a Roma, annessa all’Accademia di Belle arti, si trova decisamente meglio e lì conosce delle figure che saranno fondamentali per la sua formazione artistica:  Boccioni, Severini e Balla

I primi ritratti sono dedicati anche ai famigliari…al fratello, alla madre  e al cognato, marito di Cristina, la sorella maggiore, il  chimico inglese Rudolph, che fu tra i primi mecenati dell’artista cui si aggiungerà anche Margherita Sarfatti tra i primi critici d’arte a notare Sironi

In mostra possiamo apprezzare i primi tentativi dell’artista di crearsi un proprio stile. A un certo punto guarda a William Morris, ed ecco un ex libris che sicuramente lo ricorda tantissimo, ma troviamo anche uno spunto da Segantini con i suoi pascoli abitati solo da mucche e un chiaro riferimento alla pittura divisionista, probabilmente vista attraverso la sua conoscenza con Balla, nella madre che cuce…

 

Nel 1913 Sironi si avvicina al futurismo e nel 1915 lascia Roma per Milano dove entra a pieno diritto nel nucleo dirigente del movimento. Ecco quindi che la sua pittura  aderisce al futurismo per colori e temi: la ricerca della resa del movimento, e dello spazio stesso che si riempie di suoni onomatopeici e delle lettere in libertà  tanto care ai futuristi

Allo scoppio della guerra si arruola, assieme a Boccioni, Marinetti, Sant’Elia, Funi e Russolo,  nel battaglione volontari ciclisti, un corpo militare aperto a tutti i civili. Dopo aver combattuto in prima linea torna a Roma, congedato. Qui i temi futuristi come le ballerine dei locali notturni si mescolano ai manichini di chiaro riferimento metafisico…

Nel 1919  arriva a Milano e, per forza di cose quindi, la sua pittura  che già si concentra sui paesaggi più o meno  urbani, inizierà a trasformarsi…Sironi vede periferie semideserte ma comunque imponenti. Un bel mix tra drammatico pessimismo e volontà di costruire.

Pian piano anche la figura umana compare… certo in Pandora si tratta di una figura femminile che diventa quasi  parte dello stesso paesaggio sullo sfondo, non è solo un corpo nudo ma è un palazzo, gigante, cupo e immobile.. in un interno con mobili in scala normale. Volumi drammatici ma allo stesso tempo classici.  E anche nella donna con vaso…la figura femminile è in realtà un monoblocco in pietra, solida, quanto la brocca in primo piano e il paesaggio con la ciminiera sullo sfondo

Nella seconda metà degli anni venti Sironi abbandona il segno preciso che lo aveva reso tanto riconoscibile. I paesaggi urbani ci sono ancora eh, non li abbandona, ma compaiono personaggi vari con un colore molto materico che crea a volte effetti realmente tridimensionali.  Sono figure ridotte all’essenziale, quasi primitive nei loro volumi scolpiti, figure senza tempo, come la fata, ma anche senza connotazione religiosa come la famiglia che sembra quasi una scena biblica, complice anche quel velo azzurro…ma che invece rappresenta solo una famiglia, normale, al lavoro nei campi

La vita privata , artistica e politica di Sironi prosegue in maniera spedita:  nel  1919 aderisce al fascismo senza mai condividerne gli ideali per quanto riguardava le leggi razziali, ma collabora con il Popolo d’Italia, il quotidiano di Mussolini per il quale disegna svariate vignette. Nel frattempo la famiglia cresce e nascono le due figlie. E lui espone alla I mostra del Novecento italiano alla Permanente per poi passare nelle maggiori città e gallerie dell’epoca: da Parigi a Ginevra e Zurigo, Nizza, Berlino, Buenos Aires…

Ma a partire dal 1929 inizia la crisi: artistica e personale. Si separa dalla moglie e si lega a Mimì Costa e  la sua pittura tende ora all’espressionismo. Pennellate violente, un disegno veloce, le figure sono appena abbozzate, lontanissime dalle sue prime raffigurazioni dove i volumi e il peso stesso delle persone era trattato in maniera così definita. La crisi espressionista viene superata alla fine del 1930, Sironi torna a una figurazione più ferma, potremmo definirla meglio definita e meno tormentata come nel Nudo e l’albero, che anticipa la sua stagione monumentale

In questo periodo Sironi lavora moltissimo e abbandona il cavalletto per tornare all’affresco. Secondo lui il quadro è una forma insufficiente e nel suo Manifesto della pittura murale, dichiara l’affresco una forma d’arte sociale perché a disposizione di tutti, senza dover passare per mostre, regole di mercato e collezionismo privato. In questi affreschi c’è l’ideologia del regime senza però mai arrivare ad un’arte di propaganda…anche perché la sua idea della vita era tragica, le atmosfere sono mistiche e drammatiche: tutto molto lontano dalle idee propagandiste dell’epoca.

Nel 1943 la guerra blocca qualsiasi tipo di committenza pubblica. Si torna quindi al cavalletto e ai paesaggi urbani. Nel frattempo si fa sentire anche l’influenza di una grande mostra di Carrà a Brera, del 1942…ed ecco quindi apparire manichini tra cumuli di macerie…in una città che guerra o non guerra, non è che cambi poi molto eh…rimane comunque e sempre deserta. Nel settembre del 1943 aderisce alla Repubblica di Salò,  anche se scrisse «S’è rotto tutto in questi mesi, tutto. Non sono rimaste che macerie e paura». Il 25 aprile viene fermato da una brigata partigiana e si salva dalla fucilazione grazie a Gianni Rodari che lo riconosce e stimando il suo lavoro gli firma un lasciapassare.

Il 1945 è l’immagine della sua disperazione: Sironi assiste al crollo di tutti  i suoi ideali politici.  Tre anni dopo la figlia Rossana si suicida a soli 18 anni… Ed ecco il Lazzaro che non risorge, anzi è proprio schiacciato dalla pietra del sepolcro, morto come le sue speranze. Nel dopoguerra, tra processi di epurazione vari, se la cavò senza condanne ma iniziano gli anni della solitudine. Dipinge, passa mesi a Cortina, realizza scene teatrali per la Scala di Milano, per il Teatro di Firenze e di Ostia. Le sue forme monolitiche e imponenti tendono a disfarsi, arriva quasi a livelli di pittura informale

Le città, i palazzi di Sironi, tagliati nella pietra, precisi e ben definiti…non ci sono più, non c’è più nulla della sua vita precedente, la distruzione è totale. Fa ancora qualche mostra pur rifiutando le biennali di Venezia. Morirà di broncopolmonite a Milano, nel 1961. L’ultimo quadro, un paesaggio urbano sfatto e destabilizzante ha questo titolo scritto proprio dall’artista, sul retro, ed è stato ritrovato ancora sul cavalletto, dopo la sua morte.

Museo del Novecento Piazza del Duomo 8, Milano

-L’esposizione continua negli spazi del Museo del Novecento al quarto piano e in alcune sale a lui dedicate nella Casa Museo Boschi Di Stefano- Si accede alla mostra dedicata a Sironi, al piano terra, ma anche a tutto il resto del Museo del Novecento (altre opere dell’artista sono al quarto piano) e alla Casa Museo Boschi di Stefano, con lo stesso biglietto!

Milano dal 23 Luglio 2021 al 27 Marzo 2022

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