Il ritratto ha una storia antica…antichissima e viene ben prima dell’autoritratto che propongo come lavoro nelle mie classi di seconda media proprio mentre studiamo il primo Rinascimento. (…in fondo alla pagina guardate che lavori pazzeschi han creato! ;))
Gli egizi distinguevano bene chi e come ritrarlo. I faraoni rappresentavano la divinità e quindi erano una bellezza idealizzata, perfetta e sempre uguale nei secoli (tranne Akhenaton, il faraone che per primo cambiò la religione e quindi l’unico di cui abbiamo un’immagine realmente somigliante). Ma i ritratti realistici, nell’antico Egitto, erano solo per le persone comuni come ad esempio uno scriba…
Nel periodo dell’arte assiro babilonese e poi in quello che si concentra su cretesi e micenei troviamo qualche altro esempio di ritratto ma si tratta sempre di ritratti intenzionali, cioè sempre simili tra loro e solo in qualche raro caso c’è il ritratto tipologico che non somiglia quindi al soggetto ma che ci permette di capirne rango, potere e categoria sociale cui appartiene.
L‘arte greca all’inizio ricerca solo la bellezza ideale e quindi Kore e Kouros, rappresentano rispettivamente la bellezza femminile e maschile. Un sorrisino accennato e nulla più…e nessuna distinzione caratterizzante se non pura bellezza come nel caso del doriforo. Ma pian piano i greci scopriranno le piccole caratteristiche che ci rendono unici…e se in Pericle sono ancora pochine e serve il nome inciso in baso per aver certezza del personaggio che ci appare bello, forte ed elegante… Euripide lo potremmo riconoscere anche incontrandolo casualmente per strada!
Gli etruschi iniziano gradualmente le caratterizzazioni dei volti…dai vasi canopi a volte qualcosa si può immaginare…ma pian piano arriveranno alla spietata accuratezza che negli artisti romani non farà sconti a nessuno… guardate il povero Commodo o il tempo che passa anche per Nerone…così come allo stesso modo, in maniera sincera, esalterà la bellezza appena potrà, come ad esempio nel ritratto di Faustina Minore.
l’arte bizantina e paleocristiana si concentra sulla religione, sui simboli…i ritratti son proprio l’ultimo dei loro pensieri. I volti son quelli e la distinzione tra le persone la fanno gioielli e accessori.
Arnolfo di Cambio ci propone quello che è probabilmente il primo ritratto realistico in Europa: Carlo I d’Angiò. Umanissimo, con tanto di rughe anche se ben determinato e fiero. Giotto ritrae il suo committente, il banchiere Enrico Scrovegni e già che c’è si autoritrae con cappellino giallo di fianco a Dante con coroncina di foglie di alloro regolamentare e anche Masaccio metterà in primo piano, di profilo e molto ben riconoscibili, i committenti della sua Trinità.
Pisanello è tra i primi a recuperare l’idea romana del ritratto di profilo sulle medaglie. Là gli imperatori…qui i grandi nomi delle Signorie italiane e seguirà lo stesso schema stilistico anche nei ritratti in pittura, importanti, appunto, come imperatori in epoca romana.
A questo punto il ritratto diventa davvero uno status symbol: se sei qualcuno, anche se non sei nobile ma solo ricco, devi assolutamente avere un tuo ritratto e…decisamente somigliante, magari realizzato da Antonello da Messina. Poi magari scegli di farti ritrarre solo dal tuo lato migliore come farà il Duca di Urbino, Federico da Montefeltro, dopo che un incidente gli devasterà il lato destro del volto…
Ma il profilo spesso è anche una scelta utilissima per sottolineare ed enfatizzare eleganza e bellezza come fanno Antonio e Piero del Pollaiolo ma anche il Ghirlandaio e tanti altri… son veri maestri nei ritratti di donne belle, eleganti e fieramente di profilo!
Botticelli rappresenta Dante di profilo con quella caratteristica fisica che rimarrà per sempre nei nostri ricordi scolastici: il naso importante e allo stesso tempo la bellezza di Simonetta Vespucci, modella della Primavera, viene sottolineata dal profilo che mostra un’acconciatura che è un trionfo di nastri intrecciati e perle… Leonardo, famoso per il ritratto della Gioconda ritratta frontalmente, sceglie il profilo per la bellezza pacata di Bianca Sforza, figlia illegittima del Duca di Milano…
Insomma il ritratto nel corso dei secoli è sempre stato protagonista nell’arte…
Ora i protagonisti siete voiii!!!
-Foglio 33×48 liscio o ruvido, appoggiate il volto e fatevi dare una mano da un compagno di classe per passare con attenzione la matita lungo tutto il vostro profilo passando anche per tutto il resto del cranio (facendo attenzione ai capelli che spesso rischiano di far deragliare la matita).
-Sistemate ora il vostro ritratto scegliendo se farlo somigliante o…sognante e immaginario
-come abbiamo ben visto nella lezione del video dedicato al ritratto dalle origini al 1400…anche lo sfondo è importante. Scegliete se usarlo per raccontare parte della vostra vita, per anticipare quello che vorreste fare in futuro o se usarlo come sfondo puramente decorativo per far risaltare il vostro volto. La tecnica libera prevede quindi qualsiasi materiale. Matite colorate, pennarelli, collage e tempere…
GUARDATE CHE AUTORITRATTI PAZZESCHIIIIIIII
E ATTENZIONE: IN QUESTO CASO ABBIAMO AVUTO ANCHE DEGLI “OSPITI A DISTANZA” CHE HANNO SCELTO DI REALIZZARE COME NOI IL LORO AUTORITRATTO DI PROFILO CONDIVIDENDO POI I LORO BELLISSIMI LAVORI! BENVENUTI RAGAZZI DELLA SMS ENRICO MATTEI DI CASTEL DI LAMA!
Antonello da Messina è un artista misterioso…nel senso che di lui si sa davvero poco, pochissimo.
Ottant’anni dopo la sua morte si eran già perse le sue tracce. Anche Giorgio Vasari, nelle sue Vite, raccontò con un po’ di fantasia la vita di questo artista siciliano che dipingeva come un fiammingo con un tocco tutto italiano!
Poi si entra davvero nel sentito dire: pare che Giovanni Bellini, artista altrettanto famoso, con uno stratagemma si fece ritrarre da Antonello solo per carpirgli i segreti di quella sua tecnica ancora poco utilizzata in Italia (pare intingesse il pennello nell’olio di lino prima di usare il colore! )
ed ecco quindi che la mostra inizia con un’opera di Roberto Venturi che ci illustra proprio questo aneddoto.
Nel 1860 però troviamo, proprio in Sicilia, in un viaggio alla ricerca di notizie e opere, lo storico dell’arte Giovanni Battista Cavalcaselle. Cavalcaselle, veneziano che partecipò anche ai moti insurrezionali del Lombardo-Veneto, uomo avventuroso che scapperà a Londra per evitare la fucilazione, conoscerà Mazzini e diventerà amico di sir Charles Eastlake, direttore della National Gallery. Cavalcaselle si appassionerà all’arte e alla vita di Antonello e inizierà davvero a fare una ricerca accurata proprio osservando le varie opere (alcune non ancora riconosciute, altre erroneamente attribuite ad Antonello).
In mostra, accanto ai dipinti di Antonello da Messina, possiamo vedere anche molti schizzi, studi, commenti, appunti…proprio di Cavalcaselle che, spesso con pochi tratti, mette in evidenza particolari che magari ci sarebbero anche potuti sfuggire!
Scopriamo così che Antonello da Messina è morto attorno ai 49 anni, a Messina ed era figlio di un maczonus, un artigiano che realizzava opere in pietra ma aveva un nonno di una certa importanza: un dominus et patronus di brigantino!
Scopriamo anche che Antonello da Messina quasi…sfiorò Milano!
Grazie ad una lettera dell’epoca, che il segretario del Duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, Cicco Simonetta, scrisse a Leonardo Botta, oratore a Venezia, veniamo a sapere che cercò di far arrivare il “pictore ceciliano” a lavorare alla corte milanese. Purtroppo nella lettera in risposta si parla di un lavoro da terminare, ma cosa di pochi giorni, dopodichè “il solennissimo depentore” sarà libero di viaggiare verso Milano. Ma Galeazzo viene ucciso proprio nel 1476 e non vedremo mai Antonello a Milano!
Antonello da Messina è un caso unico nel panorama artistico italiano quattrocentesco: usa i colori ad olio come solo i fiamminghi sapevano fare, unendo però la visione, tutta italiana, dello spazio, delle forme e soprattutto della realtà, anche psicologica, non solo estetica.
E diventa immenso nei ritratti! Ricordiamoci che in questo periodo i ritratti sono la diretta derivazione dei ritratti sulle monete romane, gli imperatori sono sempre ritratti di profilo, quindi se vuoi ben apparire…ti fai fare un ritratto di profilo.
Ma Antonello fa girare il volto alle persone che ritrae, di poco magari…ma arriva sempre a ritratti di tre quarti, lo sguardo del personaggio però è diretto, in qualche caso, vi giuro, sembra quasi seguire lo spettatore!
Gli sfondi sono neri (tranne in un caso), i colori sono decisi ma caldi e realistici, spesso il copricapo è simile. L’attenzione ai particolari è impressionante, quasi fotografica (avvicinandosi al ritratto Trivulzio, mentre questo signore sogghigna guardandoci tanto intenti ad osservarlo, potremo vedere la ricrescita irregolare della sua barba, mentre nella figura conosciuta come “marinaio”, vien quasi voglia di contare i punti del cucito che fissano le asole dei bottoni del suo vestito!). Ma una cosa caratterizza tutti questi volti: lo sguardo e il sorriso appena accennato. Sembrano quasi avere un segreto nascosto…noi non possiamo ridere con loro perché non sappiamo.
Ma loro sanno…oh se sanno…e a volte fan quasi fatica a trattenersi dal…riderci in faccia!
I due capolavori più famosi di Antonello da Messina van guardati davvero con attenzione…anche perché, ricordiamocelo: si tratta sempre di opere decisamente piccole!
Nel San Girolamo nello studio, l’artista sceglie di mostrarci il santo nel suo studio (era stato anche un eremita nel deserto prima d’esser studioso ma nel rinascimento la sua rappresentazione come uomo di scienza e cultura era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire!)
Ed ecco quindi un ambiente immenso, prospetticamente ben definito, con tanto di maioliche colorate in terra, due scorci prospettici laterali che proseguono in altrettante aperture verso l’esterno. L’architettura aragonese è tipica dell’ambiente siciliano, la cura per il particolare è tutta fiamminga, e i particolari da interpretare son degni di Sherlock Holmes. Lo studio in legno, rialzato, è quasi una moderna opera di design: il piano d’appoggio è inclinato, perfetto per scriverci sopra. I libri sulle mensole sono quasi riconoscibili, così come i foglietti appoggiati lì intorno. Il gatto e i vasi in ceramica danno un’aria casalinga alla scena…ma un leone sulla sinistra si fa avanti, seppur non minaccioso (ricordiamoci che la tradizione vede San Girolamo che salva un leone curandogli una zampa e la bestia, dicono, si affezionò al santo tanto da seguirlo ovunque stile appunto…cane di casa!). Nella parte alta della stanza, attraverso le finestre gotiche, si intravedono uccellini che svolazzano e sembrano quasi cinguettare. In primissimo piano, molto più vicini allo spettatore, vediamo un pavone e una pernice con vicino una ciotola di acqua. Il pavone è, fin dall’arte paleocristiana, simbolo del paradiso, così come l’acqua fa subito pensare alla fonte della vita, sempre con significato religioso, mentre la pernice allude probabilmente alla fedeltà a Cristo. Volendo però fare i pignoli…si potrebbero anche vedere questi animali come simboli negativi: il pavone è vanitoso e nell’acqua ci si specchia…e infatti Antonello li posiziona fuori dalla cornice architettonica e quindi ben lontani dal santo.
Nella scena dell’Annunciata vediamo una vera rivoluzione!
Fino a questo momento la scena dell’annunciazione prevedeva la Madonna e un angelo, con tanto di ali, spesso coloratissime e scenografiche…un ambiente ben definito, spesso elegantissimo, oro a profusione a simboleggiare il paradiso…
e invece Antonello leva tutto: lascia solo lei, la Madonna, ritratta come una semplice ragazza, probabilmente siciliana. In testa un velo (azzurro, va bene rivoluzionare ma a tutto c’è un limite!), un velo che ha ancora la piega di quando è stato messo via, forse in una cassapanca. Le mani sono l’unica parte di lei che si vede, oltre al volto, di tre quarti. Una mano stringe il velo, che stia ben chiuso, percarità! l’altra, seppur prospetticamente meno riuscita, fa un cenno…quasi a voler fermare l’annuncio dell’angelo.
Ah sì…ma quale angelo!? Ci avete fatto caso? in pratica l’angelo…siamo noi. L’angelo è esattamente nel punto in cui si trova lo spettatore esterno, involontariamente catapultato a far parte di una scena sacra e con un compito…di tutto rispetto!
Anche in questo caso il fondo è nero…ma lo spazio a ben vedere c’è: quel leggio, con sopra un libro aperto, la pagina che si volta al soffio di vento (saran state le ali dell’angelo…chissà), quel leggio perfettamente in prospettiva in pratica è l’unica cosa misurabile di tutta la scena, ma evidentemente basta e avanza.
Antonello da Messina e i soggetti religiosi
Nel polittico il gusto per il dettaglio, tutto fiammingo, è evidentissimo nel manto della madonna: blu e decorato con piccoli draghi d’oro!
Il piccolissimo Cristo in pietà, un quadrettino microscopico, dipinto su entrambi i lati, permette comunque ad Antonello di dipingere particolari minutissimi, eppure molto ben definiti.
Nel Cristo sorretto da tre angeli i volti sono stati irrimediabilmente distrutti da un restauro mal riuscito eppure il corpo, accasciato e sofferente, ha un realismo che fa quasi dimenticare la mancanza del volto.
Il Cristo alla Colonna soffre, ha sofferto e sa già che soffrirà ancora. Lo sguardo sembra quasi chiedere a te, spettatore, di fare qualcosa, la mimica della bocca è tristissima, quasi esasperata.
Nella Madonna Benson, rimaneggiata, restaurata, realizzata forse assieme al figlio Jacobello, Antonello ci mostra una Madonna molto reale e affettuosa, con un Bambino che abbraccia la madre pur non perdendo di vista…lo spettatore!
Nella Crocifissione di Sibiu la scena compositiva è quella classica: Cristo in mezzo ai due ladroni, uno arreso al proprio destino, l’altro che invece prova forse ancora a resistere e, gonfiando il petto, cerca di liberarsi dalla corda che lo imprigiona. Le figure ai piedi delle croci sono le solite riconoscibili, la Madonna e San Giovanni e le chiare allusioni alla morte: quel teschio in evidenza non promette bene…
Lo sfondo rappresenta il porto di Messina e pare sia davvero una rappresentazione accuratissima, con la forma a falce ben riconoscibile e decisamente affidabile dell’ambiente messinese che probabilmente aveva davanti agli occhi Antonello!
La mostra si chiude con un’opera della continuità famigliare: Jacobello, il figlio di Antonello e la sua Madonna con Bambino
Gli insegnamenti del padre sono passati al figlio. La lezione è stata ben imparata. Lo sfondo non è nero, quella è caratteristica di Antonello, ma la posizione dei volti, gli sguardi, i colori e i tanti, minuti, particolari…ne sono la prova!