La natura morta

La natura morta

La natura morta è un soggetto pittorico e…no, non le hanno sparato e nessuno l’ha uccisa, tanto per mettere subito in chiaro le cose!

“Natura morta” par quasi un ossimoro, una contraddizione in termini perché la natura è viva per definizione…come si fa a parlare di natura morta!?!

eppure…

Natura morta= rappresentazione di frutta, fiori, selvaggina, strumenti musicali, libri… oggetti inanimati.

Sono oggetti a volte rappresentati fuori dal loro contesto (ad esempio un mazzo di fiori recisi in un vaso), morti quindi…ma vivi in eterno in quella particolare opera pittorica.

A parte qualche raro e particolarissimo esempio di natura morta nell’antichità questo soggetto non ha mai avuto vita autonoma fino all’arrivo di Caravaggio.

In epoca ellenistica troviamo gli asarotos oikos (casa non spazzata), quasi il pavimento delle nostre aule a fine giornata insomma…

Realizzazioni a mosaico che mostrano direttamente sui pavimenti avanzi vari (cibo, scorze di limone ecc). Asarotos e Xenia (doni augurali agli ospiti) sono probabilmente legati al culto dei morti. Il cibo caduto dalla tavola, lì per terra, rimane destinato ai famigliari defunti (no, non provate ad usarla come scusa per non pulire in terra…non funzionerà con me, tzè!)  tra l’altro  serve anche per mostrare agli ospiti gli scarti del proprio lussuoso e prelibato cibo (ancora oggi va di moda andare a sbirciare nelle pattumiere delle celebrità per scoprire cosa ha mangiato a pranzo il super vip!). Gli Xenia invece sono affreschi con simile scopo, piccole rappresentazioni cibo sulle parete, come ad esempio il cesto di fichi che troviamo in una casa a Pompei.

Per secoli troveremo pregevoli esempi di natura morta ma solo affiancati ai soggetti principali: i ritratti.

Nel 1474, ad esempio, Antonello da Messina ci mostra San Girolamo nello studio.

Il Santo è  letteralmente immerso in una incredibile scena prospettica arricchita da tante piccole nature morte, sia nella libreria che sulla scrivania del Santo ma anche in primo piano, proprio di fronte all’osservatore. Del resto lo stesso San Girolamo realizzato però da Jan van Eyck intorno al 1435, sceglie un’ambientazione simile, con contorno di natura morta compreso!

Verso la fine del 1400 l’emiliano Antonio Leonelli (conosciuto anche come Antonio da Crevalcore), raffigura San Paolo seduto al centro di piccole ma chiarissime nature morte: da un lato candele e candelabro, dall’altro penne, calamaio e forbici con effetto tridimensionale che ne fanno quasi un trompe l’oeil.

Sempre del 1400 c’è un esempio di natura morta un po’ particolare…realizzato ad intarsio in legno: lo Studiolo del duca di Urbino nel Palazzo Ducale, con oggetti quali libri, clessidre, strumenti musicali scelti anche per i loro significati simbolici.

Giuliano e Benedetto da Maiano e bottega, tarsie dello studiolo di Federico II

Anche Raffaello non ha resistito al richiamo della natura morta e nell’Estasi di Santa Cecilia mette ai suoi piedi una natura morta composta solo da strumenti musicali.

Raffaello, Santa Cecilia

Nel 1533 a stupirci con il doppio ritratto dei due “Ambasciatori” è Hans Holbein.

I due personaggi  mostrano, con una certa soddisfazione, gli scaffali ricolmi di oggetti incredibili e preziosi simbolo anche del loro piacere per lo studio e del loro potere (in aggiunta a tutto questo ai loro piedi c’è anche la misteriosa anamorfosi con un teschio!)

Un caso al limite è rappresentato da Arcimboldi. Questo pittore geniale trova quasi un compromesso tra ritratto e natura morta: realizza ritratti…composti però da oggetti (fiori, animali…ecc). Non siamo ancora quindi alla natura morta autonoma ma davvero poco ci manca!

Intorno alla metà del 1500 in Europa si cominciano a vedere opere dove gli oggetti sono più protagonisti…dei protagonisti stessi!

Basti pensare all’olandese Pieter Aertsen che nelle sue scene sacre mette le figure sacre sullo sfondo lasciando lo spazio in primo piano tutto dedicato ad incredibili nature morte.

Pieter Aertsen cristo con Marta e Maria

Dobbiamo aspettare l’arrivo di Caravaggio per vedere davvero per la prima volta, in Italia,  una tela “sprecata” solo ed esclusivamente per un soggetto inanimato.

Caravaggio, Canestra di frutta

La prima natura morta, autonoma, della nostra storia dell’arte è infatti la Canestra di frutta del 1599 (e forse chissà…senza la sponsorizzazione del Cardinal del Monte, che la commissionò per farne dono al cardinal Borromeo, ora non saremmo nemmeno qui a parlarne…).Il particolare curioso è che la stessa cesta di frutta, poco prima, la dipinge in mano ad un modello…e poco dopo  la ritroviamo protagonista della Cena in Emmaus

Caravaggio da sempre insegue la rappresentazione del vero, della realtà così com’è e anche qui non ci delude in questa sua ricerca a volte spietata: la frutta è un po’ marcia, la mela bacata, la foglia è stata mangiucchiata da un bruco di passaggio. Forse il suo cesto di frutta era davvero così o forse il pittore ha realmente voluto proporci una perfetta rappresentazione della caducità della vita, tema molto in voga in quel periodo, assieme al memento mori: ricordati che devi morire, tutto ciò che è bello, vivo, fresco è destinato a marcire e a morire, vivi bene perché non sai quando tutto questo avrà fine…

Verso la fine del 1500 troviamo molte rappresentazioni di cibo esposto (al mercato, in vendita, nelle cucine…) ma sempre con qualche personaggio, seppur sempre più defilato.

Nel 1600 la natura morta è un genere ormai diffuso in tutta Europa e diventa un vero e proprio genere pittorico.

Ed ecco quindi Pieter Claesz con la classica Vanitas (il teschio che allude alla morte, la candela richiama la luce della vita, il fiore reciso -che appassirà- e l’orologio rimandano direttamente al tempo che passa); e Evaristo Baschenis, il bergamasco maestro della rappresentazione di strumenti musicali dell’epoca, spesso anche un po’ impolverati…il tempo passa anche per loro insomma!

Gli oggetti non sono quasi mai scelti per caso, sono simbolici: il passare del tempo (orologi, clessidre) i teschi (la morte), le candele (accese o spente sono  la vita o appunto la sua fine), fiori recisi, calici e vasi in vetro (brevità e fragilità della vita) mentre gli oggetti preziosi (oro, gioielli, monete) rimandano al concetto di tutto quanto reputiamo indispensabile nella nostra vita che però sarà del tutto inutile nella morte. Spesso anche gli stessi fiori sono scelte simboliche (i gigli sono da sempre il simbolo della Madonna e alludono alla purezza).

Nel 1700 la natura morta diventa anche un’ottima scusa per mostrare vero virtuosismo: fiori perfetti, frutta prelibata…viene un po’ a mancare tutta la simbologia di vanitas e memento mori e nel nord Europa si cerca in questo genere pittorico quello che è a tutti gli effetti un quadro gradevole senza troppi messaggi nascosti.

Ecco quindi Luis Melendez con dei succosi limoni e Jean Baptiste Chardin con un tavolino pronto per una tazza di caffè e un bicchiere d’acqua.

Ma la natura morta nel corso dei secoli successivi…è ben viva, altro che morta!

La ritroveremo nel 1800  rappresentata con pochi rapidi tocchi dagli impressionisti come Manet e da Cézanne.

Braque nel 1919 ce la mostrerà da differenti punti di vista come voleva fare l’arte cubista mentre Giorgio Morandi ne farà una visione metafisica negli stessi anni.

Poco più tardi René Magritte re del surrealismo ci stupirà con oggetti che forse, chissà, sono ancora nature morte…o forse no…

 

Anche noi nel nostro piccolo abbiamo provato a disegnare delle nature morte e…non vediamo l’ora di mostrarvele: se siete curiosi cliccate qui!

 

 

Piccola guida per il percorso “Arte Moderna” in Brera!

Piccola Guida  per il turista faidate alla Pinacoteca di Brera!

Se ti sei distratto durante la visita con la tua classe o se vuoi fare da guida ai tuoi amici e famigliari o se proprio sei stato assente e hai bisogno di riassunti minimi su… tutto… questo è l’articolo per te!

Percorso artistico in Pinacoteca di Brera: Romanticismo, Macchiaioli, Divisionismo, Futurismo, Cubismo, Metafisica

 

Sala XXXVII

Romanticismo -1830 circa

Movimento artistico, musicale, culturale e letterario sviluppatosi al termine del XVIII secolo in Germania per poi diffondersi in tutta Europa. In contrapposizione all’Illuminismo esalta emotività,  passioni e caratteri individuali. Si vuole sottolineare il  concetto di popolo e nazione tornando alle origini che hanno portato alle moderne nazioni, al periodo del Medioevo.

1 – IL BACIO  1859

Francesco Hayez        
Hayez tre versioni Il bacio brera

  Opera simbolo del romanticismo italiano. Ambiente e abbigliamento medievali. Un bacio passionale, soprattutto per quell’epoca, forse un addio (lui ha un piede già sul gradino). Il fianco di lei è inclinato verso sinistra per far intravedere l’arma dell’amato (è un combattente!), il colpo di luce sul fianco della ragazza permette così di mettere in evidenza anche la bravura tecnica dell’artista che rappresenta una seta azzurra cangiante che sembra vera. Si intravede una figura nell’ombra, forse una spia. Il significato nascosto infatti è tutto politico. È stato realizzato dopo gli accordi segreti di Plombières che vedevano Francia e Italia alleate contro gli Austriaci. I colori non sono casuali, i colori del le varie parti di abbigliamento infatti formano le bandiere di Italia e Francia strette in un abbraccio cioè in un patto. Questo soggetto ebbe molta fortuna tanto che l’artista ne fece più copie variando di volta in volta i colori. Nella versione eseguita per celebrare la proclamazione del Regno di Italia, l’azzurro  francese quasi scompare e il vestito della ragazza è praticamente bianco.    

2 – TRISTE PRESENTIMENTO 1862

Girolamo Induno
Induno, Triste presentimento

Posto nella parete di fronte al più celebre “il Bacio” di Hayez, è la prova di quanto fosse diventato famoso e simbolico quel soggetto. In questa scena dove una ragazza rimira, un piccolo ritratto dell’amato (garibaldino, lo si capisce dalla giubba rossa abbandonata con noncuranza sulla sedia), amato  partito per la guerra dalla quale forse non tornerà. IL soggetto risorgimentale è molto ben illustrato grazie a vari particolari storici, ad esempio il piccolo busto di Garibaldi in una nicchia, una rivista appesa alla finestra e una piccola stampa appesa alla parete proprio del Bacio di Hayez, opera simbolo per tutti gli uomini pronti a morire per la propria patria.   

3 – RITRATTO DI ALESSANDRO MANZONI 1841

Francesco Hayez
Alessandro Manzoni, Hayez
Teresa Manzoni, Hayez

Il classico ritratto di Manzoni che compare su tutti i libri di letteratura! Ci mostra un Manzoni molto quotidiano, a  noi sembra molto composto ma paragonato ai ritratti ufficiali dell’epoca, molto più rigidi e impostati, appare davvero come una persona normale in un momento di tranquillità famigliare. IL committente dell’opera infatti è Stefano Stampa, figliastro di Manzoni che richiede ad Hayez un doppio ritratto (al suo fianco nella stessa parete infatti trovate la moglie Teresa), immagini da tenere in famiglia, senza la pomposità richiesta a ritratti ufficiali di persone famose quale era già Manzoni in quell’epoca. Non c’è nessun riferimento alla sua professione, in mano ha addirittura una tabacchiera che veniva usata molto probabilmente davvero solo in privato.

4 – MALINCONIA 1840

Francesco Hayez
Hayez ,Malinconia

Opera descritta addirittura dallo stesso artista nelle sue memorie: per lui la malinconia è rappresentata  da una giovane donna in vesti medievali, preda di un sentimento amoroso, soggetto ripreso dal vivo, fiori nel vaso compresi. I fiori richiamano direttamente le nature morte anche perché tendono a sfiorire come, forse, l’amore per l’uomo magari lontano o magari proprio simbolo di un amore finito (chissà magari sono l’ultimo omaggio floreale di un amato che si è poi allontanato) ma anche se sfioriti son comunque un suo ricordo e buttarli non è semplice. Le vesti scomposte (con tanto di spalla nuda esposta!) sono assolutamente inusuali per una donna per bene che all’epoca, vi ricordo, andava a letto più vestita e coperta di quanto noi andiamo in giro oggi normalmente per strada. Ma l’amore è il suo unico pensiero e forse appunto magari si tratta anche di un amore infelice.

 

Sala XXXVII

Macchiaioli   -1862 circa

Gruppo di artisti attivi a Firenze, si incontravano infatti al caffè Michelangelo. Prendono il nome da una definizione dispregiativa che li definiva così per lo stile pittorico, a macchie appunto, tanto lontano dalla precisione quasi maniacale per le sfumature e la resa dei materiali tanto cara ad Hayez e alla generazione di  quegli artisti che ai macchiaioli avevan fatto da maestri nelle Accademie di Belle Arti. Anticipatori, seppur di poco, della tecnica che rese famosi  gli impressionisti francesi. Veristi per definizione, vogliono rappresentare la realtà così come la vediamo, a volte un po’ a macchie, con contorni indefiniti. Spesso son cronisti sul campo, quasi fotografi, per gli episodi delle guerre di indipendenza che mostrano in momenti poco eroici, con intento anticelebrativo.

5 – IL PERGOLATO 1868

Silvestro Lega
Lega, Il pergolato

Dipinta dall’artista sui colli fiorentini, ripresa dal vero, mostra un momento di calmo e quasi noioso pomeriggio estivo di una famiglia della media borghesia.  Le donne si fanno aria con il ventaglio, la bambina sullo sfondo forse sta decantando una poesia, una cameriera arriva a portare il caffè. L’attenzione dell’artista è tutta per i toni di luce che attraversando le foglie del pergolato colorano di macchie chiare i vestiti delle figure femminili nell’ombra rinfrescante.

6  – IL RIPOSO 1887

Giovanni Fattori
Fattori, Riposo (carro rosso)

Raffigura un contadino mentre riposa assieme ai suoi buoi. I colori utilizzati sono principalmente quelli primari: il carro rosso, il campo giallo e il cielo blu. Il carro si intravede appena, è quasi fuoricampo, è un esempio di taglio fotografico, comune ormai ai soggetti di pittori abituati a convivere con la fotografia che ha permesso di inquadrare soggetti non sempre perfettamente al centro creando opere non proprio messe in posa  ma appunto quasi “fotografate all’improvviso”. È anche l’esempio di come fossero cambiati i soggetti scelti dai pittori moderni, senza committenza e spesso quindi senza molti soldi, si ritrovavano a dover dipingere magari più volte su di una stessa tela nel caso l’opera finita non avesse incontrato il favore del pubblico trovando un compratore. Spesso per risparmiare questi pittori non usano nemmeno delle tele ma riciclano i cartoni di spedizione.

 

Sala XXXVIII

Divisionismo    -1891 circa

Movimento pittorico che prende spunto dal Puntinismo francese per quanto riguarda la tecnica che utilizza i colori primari (a filamenti, non proprio a puntini come i francesi), ma strettamente legato alla corrente della Scapigliatura Lombarda. Contorni sfumati, leggerezza e luminosità uniti a tematiche allegoriche e sociali.

7 – PASCOLI DI PRIMAVERA 1896

Giovanni Segantini
Segantini, Pascoli a primavera

Artista dall’infanzia tormentata, nato ad Arco (all’epoca in Austria) cresce poi a Milano da una sorella, viene arrestato, rinchiuso in riformatorio, ma riesce a studiare all’Accademia di Belle arti di Brera. Apolide forse per un errore (la sorella restituì il certificato di cittadinanza austriaca senza però richiedere quello nuovo all’Italia) andrà avanti e indietro tra la città e le sue montagne fino a quando sposerà Bice Bugatti (sì sì quella delle automobili) e vivrà poi in svizzera. I suoi paesaggi sono i veri protagonisti delle sue opere anche se son spesso presenti uomini (piccoli di fronte alla grandezza della natura) e animali (di montagna). Anche in quest’opera ci son delle figurine umane piccolissime che si intravedono in lontananza ma al centro in primo piano troviamo una mucca e un vitellino, ritratti dal vivo, appositamente messi in posa per esser copiati dal vero con la tecnica divisionista (allontanatevi per vedere bene il quadro anche se lo spazio è effettivamente ridotto).

8 – FIUMANA 1895

Giuseppe Pellizza da Volpedo
Pellizza, Fiumana

Quest’opera è rimasta incompiuta per volontà dell’artista così come un altro quadro preparatorio per lo stesso soggetto. La versione finale “Quarto Stato”  è attualmente esposta nel Museo del Novecento (piazza Duomo).  Ritrae dal vivo i concittadini e gli amici del pittore, i cittadini di Volpedo (ancora oggi i discendenti si ritrovano per mettere in scena quest’opera). L’immagine diventa un simbolo per i diritti dei  lavoratori che stanno scioperando (cosa illegale all’epoca) e avanzano verso lo spettatore lasciandosi alle spalle il buio per andare simbolicamente verso la luce. Le tre figure in primo piano rappresentano le lotte per i diritti dei lavoratori. La donna con il bambino in braccio, moglie del pittore, ricorda come fossero nulli i diritti legati alla maternità che spesso di fatto faceva perdere il lavoro, così come erano nulle le tutele legate agli infortuni sul lavoro (forse la mano del personaggio con la barba è nascosta perché ferita). Al centro  la figura maschile tiene la giacca come il David di Michelangelo teneva la fionda con cui vinse sul gigante Golia. Fiumana è un fiume in piena che distrugge tutto ciò che incontra, questo fiume è composto da lavoratori di campagna e di città (sullo sfondo si intravedono due differenti edifici che poi svaniranno nella versione finale). La versione finale è attualmente esposta nel Museo del Novecento ma di libero accesso a chiunque senza pagar biglietto di ingresso perché comprata attraverso una pubblica sottoscrizione da tutti i cittadini di Milano.

Sala X

Futurismo   -1909

Movimento artistico e culturale che ha origine a Milano (ma il Manifesto futurista verrà pubblicato su “Le Figaro” di Parigi nel 1909 per avere più visibilità. Il movimento interesserà molti campi quali ad esempio la musica, la moda, la cucina, l’arredamento. Si divide in due fasi: una prima della guerra (vista con favore dai futuristi, la guerra distrugge e permette di ricreare tutto più nuovo, più bello e più moderno).Una seconda fase invece inizia con la fine della guerra che con i suoi orrori ha mostrato il crollo degli ideali futuristi, in questa fase i futuristi si avvicinano al cubismo. Vogliono mostrare il movimento, la modernità, esaltano tutto quanto è nuovo, dalla luce elettrica, alle auto, agli aerei. Voglion cambiare l’abbigliamento (basta nero w il colore!) e anche la cucina italiana (utilizzeranno coloranti artificiali e impiattamenti molto simili a quelli modernissimi che noi ora vediamo in tv o nelle manifestazioni di street food dove si mangiano miniporzioni con le mani. Per loro la vera musica è quella dei rumori di produzione delle fabbriche.

9 – AUTORITRATTO  1909

Umberto Boccioni
Boccioni, autoritratto

Frontalmente vediamo questo ritratto ma sul retro ne potremmo vedere un altro, incompleto e forse non particolarmente gradito all’autore. Eseguito nello studio del pittore in via Adige a Milano, all’epoca periferia, ma nello sfondo si vedono palazzi in costruzione, la modernità che avanza! Reduce da un viaggio in Russia mostra con orgoglio il suo colbacco e la sua tavolozza (è un artista ma anche un uomo di mondo). La tecnica è ancora divisionista seppur in maniera meno evidente.

10 – LA CITTA’ CHE SALE   1910

Umberto Boccioni
Boccioni, Citta che sale

 La città sale, i nuovi palazzi sono sempre più alti, tutto è in movimento. Colori accesi ed irreali, la scena mostra un cavallo imbizzarrito (rosso furore!) mentre due persone vestite di verde e blu e di rosso e verde, cercano di calmarlo. Cavallo e persone essendo in movimento veloce vengon riprodotti più volte con una tecnica tipica per i futuristi (che poi verrà adottata anche nei cartoni animati). La periferia di palazzoni sullo sfondo è modernissima anche grazie ad una locomotiva a vapore (si intravede sulla sinistra) che sfreccia veloce.

11 – RISSA IN GALLERIA  1910

Umberto Boccioni
Boccioni, Rissa galleria

Tecnicamente ancora divisionista ma in maniera esasperata, l’adesione al futurismo qui è evidente. Il luogo è la Galleria Vittorio Emanuele a Milano, il cuore della modernità dell’epoca. Il salotto buono dove i futuristi inscenavano le loro perfomance artistiche sconvolgendo i passanti con vere e finte risse iniziate con “l’urlo di guerra”  -ZANG!-  Al quale i presenti, pronti ad interagire con chiunque,  rispondevano  -TUMB  TUMB!-. Il movimento della scena è enfatizzato dall’uso dei colori primari e dalla luce (elettrica! Ci sono i primi lampioni, impossibile non rappresentarli). Compare anche una delle prime scritte in un quadro, quel “Caff” insegna del caffè in galleria teatro di questi tumultuosi incontri al quale siete invitati ancora oggi, voi osservatori dell’opera, proprio da un passante che si rivolge verso di voi alzando le braccia.

Sala X

Cubismo  -1907 circa

Termine dato quasi per caso con intento dispregiativo per criticare un’opera di Braque, un paesaggio con casette che sembravano appunto “cubetti in legno per bambini”. Per gli artisti cubisti sfondo e soggetto si fondono. Non esiste più solo un punto di vista ma più lati dello stesso soggetto visti da differenti punti di osservazione, in tutto questo entra anche il tempo a complicare le immagini perché è quello che permette la visione simultanea solo vagamente anticipata dai prossimi quadri che rappresentano un momento di passaggio tra i due movimenti: futurismo e cubismo.

12 – RITMI DI OGGETTI   1911

Carlo Carrà
Carrà, Ritmi di oggetti

Opera quasi di passaggio tra il movimento del futurismo e la compenetrazione dei piani dovuta ai differenti punti di vista del cubismo. La scena si svolge in galleria (ne vedete la cupola in vetro e ferro riflessa al centro, forse sul piano del tavolo). Molto probabilmente si tratta di tre amici (lo si capisce contando proprio i punti di vista differenti) che stanno bevendo assenzio (c’è uno spicchio sulla destra esattamente di quel particolare tipo di verde). Arriva il cameriere portando un vassoio con sopra una bottiglia da seltz (un punto di vista ce la mostra intera mentre un altro ne mostra solo una parte). Nel frattempo arriva il quarto ospite, in bicicletta. Se guardate bene infatti  c’è proprio una serie di ruote che partono dal lato in alto a destra fino ad arrivare al centro del lato inferiore del quadro con la bicicletta intera, probabilmente appoggiata al tavolino e finalmente ferma (ma poi si rimetterà in movimento proseguendo il giro e uscendo dalla scena verso sinistra). E se guadate bene potete anche scoprire il nome del bar: ci son due lettere rovesciate rosse che formano la parola “Zu” (sembra il numero 2 perché la Z è un riflesso), è il famoso bar Zucca.

13 – LE NORD SUD   1912

Gino Severini
Severini, LeNord Sud

Anche in questo caso l’autore utilizza la visione simultanea tipica del cubismo per mostrare una scena in movimento. Siamo nella metropolitana di Parigi, la fermata è PIgalle (qui scritta con una L in più proprio perché vista al volo dal treno in corsa). Le protagoniste sono due eleganti signore vestite una in marrone e una in blu, con tanto di stola di visone e merletti bianchi, veletta e cappellino con le piume.  Il cartello con la scritta “I classe” sulla destra, ha una S rovesciata perché è uno di quei cartelli appesi per un solo filo e quindi sta ruotando su se stesso.

14 – CAMERA INCANTATA    1917

Carlo Carrà
Carrà, La Camera Incantata

L’autore è lo stesso del “ritmo di oggetti” anche se si fa fatica a crederci. Ma il momento della sua vita è profondamente diverso. Nel primo quadro c’era ancora l’entusiasmo  e la fiducia nel futuro, qui invece la guerra e i suoi effetti devastanti  hanno paralizzato anche la sua voglia di movimento e di modernità.  Qui la scena è statica, il tempo si è fermato (la meridiana sullo sfondo non ha l’asta per segnare l’ora) ai momenti felici dell’infanzia dell’autore. Pur orfano di madre (sarta, infatti c’è un manichino rivestito di stoffe), riconosce quanto gli sia mancato l’amore materno (il manichino non ha le braccia quindi non può abbracciare). Ma allo stesso tempo sottolinea i momenti sereni passati con il padre (rappresentato dal parrucchino), durante giornate di pesca (il galleggiante rosso e il filo da pesca), le vittorie ottenute (il pesce incorniciato. Il tubo in metallo allude forse ai tanti lavori svolti da Carrà, idraulico compreso. Sullo sfondo l’ignoto, la porta nera, la paura del domani. Unico accenno, minimo, alla fiducia futurista è il respingente di una locomotiva, tanto cara ai futuristi, appoggiata sopra al manichino.

Sala X

Metafisica  -1917 circa

Questa corrente pittorica vuole rappresentare la realtà anche attraverso gli altri sensi, non limitandosi alla sola vista. Gli sfondi seguono molteplici punti di fuga prospettici creando una sensazione di spaesamento. Non ci sono presenze umane, il colore è a campitura piatta. Non c’è un tempo ben definito. Tutto appare immobile e misterioso.

15 – PAESAGGIO URBANO  1920

Mario Sironi
Sironi, Paesaggio urbano con camion

Nel periodo in cui questo artista aderisce maggiormente allo stile metafisico troviamo svariati paesaggi urbani. Sono città immense, deserte e silenziose. Anche l’orario non è definito, cielo chiaro ma camion al buio. Sono città svuotate dalla guerra, monocromatiche, con forme geometriche essenziali. Non si muove nulla, paradossalmente nemmeno il camion sembra muoversi in mezzo alla strada deserta.

16 – TESTA DI TORO   1942

Pablo Picasso
Picasso, testa di toro

Il toro è morto brutalmente, il sangue ne è la prova. La tovaglia “buona”, bianco candido, appena tirata fuori da un cassetto mostra i segni delle pieghe ma non ingentilisce la scena. La finestra fa da sfondo ma automaticamente lo nega, i vetri infatti sono opachi e non si vede nulla oltre quel vetro. Rappresenta infatti l’isolamento vissuto dal pittore durante gli anni della guerra. Non vuole rappresentare l’esterno perché non vuole vederlo, troppo orrore, troppo dolore, lo stesso dolore che si prova guardando la testa del toro con le orbite vuote.