De Chirico a Palazzo Reale a Milano

De Chirico a Palazzo Reale a Milano

A Palazzo Reale a Milano dal  25 settembre 2019 al 19 gennaio 2020 scopriamo De Chirico!

  • Se non avete voglia di leggere…ecco il link diretto al video ma vi avviso: nell’articolo c’è parecchio di più! 😉

Le opere sono tantissime e arrivano da ogni parte del mondo. Ma dovevano essere qui, tutte insieme, affiancate una all’altra proprio per mostrarci il mondo di De Chirico. Un mondo immaginario, un mondo metafisico, atmosfere fatte di silenzi e personaggi muti. Qui parlano solo i colori.

L’allestimento stesso della mostra si rifà alla pittura di questo artista che in fondo dipingeva cose molto normali e quotidiane, senza orpelli strani eppure riusciva a creare mondi fantastici seppur con oggetti comuni e riconoscibili (ed ecco spiegati i pavimenti del museo lasciati a vista – stranamente non ricoperti da moquette- e le quinte prospettiche spesso proprio con le finestre tagliate di scorcio tanto care alle prospettive allucinate di De Chirico).

Giorgio De chirico vive in una costante condizione di sradicamento: geografico ma anche famigliare ed emotivo.  Nato in Grecia da genitori italiani (ingegnere il padre, baronessa la madre), tornerà poi a vivere e a studiare in Italia e in Germania. Le sue opere e la stessa esposizione, ruotano attorno a lui e ai suoi autoritratti (tanti, bellissimi e spesso molto ironici). I suoi mondi sono le piazze che lo hanno reso famoso e i tagli prospettici che mettono in evidenza i personaggi, spesso ridotti a manichini, rappresentati con colori accesi…sono i colori caldi del mediterraneo che lo accompagnano sempre.

Il Centauro morente, probabilmente realizzato a Milano, accoglie i visitatori della mostra. Sta soffrendo mentre il suo assassino si allontana. Sembra la scena di un film (e spesso le opere di De Chirico anticipano scene del cinema). Forse la morte del centauro rappresenta la morte del padre nel 1905 cui seguirà il cambiamento radicale della vita di tutta la famiglia che lascerà la Grecia per far ritorno in Italia.

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Centauro morente 1909

Gli autoritratti

De Chirico era decisamente un po’ narcisista…i suoi autoritratti sono parecchi, diversi tra loro eppure uniti nel mostrarci quest’uomo a trecentosessanta gradi. Nell’autoritratto del 1911 riprende la posa di una famosa fotografia che ritrae il filosofo tedesco Nietzsche, con il mento appoggiato ad una mano. Quasi contemporaneamente però l’artista decide di ritrarre sua madre, sullo sfondo una finestra che si apre su di un fondale, la realtà per De Chirico è questa, va tutta cercata nell’introspezione psicologica più che nella natura stessa. A 23 anni, nel 1912, l’artista si vede come un uomo del rinascimento, di profilo e  con uno sfondo con tanto di torrione alle spalle. I due ritratti poi diventano uno solo: l’artista e la madre, quasi un quadro nel quadro…la realtà sta già diventando meno definita…

Ma gli autoritratti sono tanti, sono a figura intera, riprendono solo il volto, sono in stile antico…Insomma qui De Chirico davvero si diverte!

Se per  quello nudo gli vien chiesto di ricoprirsi, si veste autonomamente da torero e poi da nobile del barocco. Si rappresenta in piena trasformazione da uomo a statua, giovane e anziano. Ma è sempre lui: l’artista irriverente che gioca a travertirsi mostrandoci ogni volta un nuovo lato di sè.

De Chirico è il pittore dell’architettura.

Che detto così par quasi un ossimoro…eppure… eppure a Torino, dove passa poco tempo tra il 1911 e il 1912 scopre l’architettura e gli spazi che avevano affascinato anche Nietzsche. e qui ha origine l’idea iconografica delle Piazze d’Italia. Paesaggi chiusi e ben definiti da forme geometriche come rettangoli di finestre, scorci che acquistano un valore metafisico proprio perché isolati dallo spazio circostante. Sono scorci  urbani caratterizzati dall’assenza di abitanti e quindi, anche per questo, hanno sempre un’aria vagamente inquietante dove il tempo è sospeso e sembra quasi di vivere quel momento che nei film precede il fattaccio! Fermi, muti, immobili…in silenzio: qui anche le ombre sono un vero enigma. Fateci caso, De Chirico ci ripropone spesso gli stessi soggetti: porticato, torre, treno in corsa. Colori pieni e ombre nette…tutti particolari presenti, ad esempio, nell’Ariadne, esposta nel 1913 nella mostra allestita autonomamente dallo stesso artista nel suo studio parigino. Probabilmente proprio queste forme così classiche eppure sempificate saranno tra le ispirazioni che porteranno al razionalismo italiano di epoca fascista che cercherà proprio di ricreare, nel mondo reale, questo mondo metafisico.

Ferrara

All’inizio della prima guerra mondiale i fratelli De Chirico, arruolatisi volontariamente,  vengono mandati a Ferrara, in fanteria. Qui De Chirico si trova con il fratello Andrea (Savinio) nella città rinascimentale per eccellenza. E’ la città di Ercole d’Este, è la corte che accolse artisti visionari come Ercole de Roberti e Cosme Tura…ma anche il Savonarola! Si narra che sia identificata come la città della pazzia (causata, non lo immaginavo proprio, dalla coltivazione intensiva di canapa!). De Chirico, inutile dirlo, qui si sente a casa e passerà parecchio tempo proprio nell’ospedale per malattie nervose. Anche qui sceglie soggetti quotidiani che però grazie a scorci prospettici improbabili e a ombre impossibili, tra squadre e scatole e biscotti…anticipano il surrealismo. I biscotti sembrano appesi al vassoio che diventa praticamente una piazza dove troviamo enormi squadre. I colori sono artificiali e son proprio quelli dei pittori quattrocenteschi che De Chirico sta sicuramente ammirando a Ferrara. L’amico lontano cui accenna nell’altra opera è probabilmente Paul Guillaume, il suo gallerista parigino ed ecco forse spiegata la scelta di esaltare proprio i colori della bandiera francese: bianco, rosso e blu! La natura morta con il pane a quattro corna e il crumiro invece è un chiaro riferimento alla quotidianità italiana mentre al centro c’è proprio un occhio con valenza sciamanica, un occhio enorme a raffigurare il pensiero dell’artista che avrebbe proprio detto: “bisogna scoprire l’occhio in ogni cosa”. L’interno metafisico con faro invece incastra un paesaggio genovese (città d’origine della madre) su di una struttura fatta di cavalletti. Fateci caso…sono sempre dipinti claustrofobici quelli di questo periodo, lo spazio è pieno e lo sguardo deve necessariamente seguire un percorso ben definito.

I manichini

Dal 1917 gli spazi vuoti dei mondi metafisici di De Chirico iniziano ad animarsi…sì ma non di persone bensì  di manichini! Manichini in legno, senza volti, son proprio quelli che si utilizzano in sartoria…anche in questo caso quindi sono oggetti abbastanza comuni, tecnicamente normali ma che decontestualizzati assumono ben altre inquietanti forme. Pare che l’idea di questo soggetto, privo di emozioni,  Giorgio De Chirico l’abbia presa dall’opera scritta dal fratello Savinio, Chants de mi mort, dove il protagonista era un uomo senza volto. La figura di Orfeo, molto cara all’artista, torna qui nelle vesti stanche. L’eroe mitologico che con il bel canto ammansisce le bestie qui invece si mostra stanco…ha deposto tutti gli strumenti e siede un po’ sbracato su di un blocco di pietra. Nell’archeologo il manichino è più umano, la posa è morbida e il richiamo al classicismo è evidente nelle rovine romane incastrate nel corpo stesso del manichino. L’archeologo è in pratica un po’ l’artista stesso, con i propri studie le sue memorie…uno scavo nel proprio essere insomma.

Le muse inquietanti sono il dipinto iconico con il quale viene più spesso ricordato De Chirico, ecco forse perché deciderà di replicarle più volte mettendo in pratica una prassi antica, già in uso nelle botteghe rinascimentali e che con il meccanismo della serialità ispirerà poi anche A. Warhol!

Gli abbracci

I manichini di De Chirico hanno comunque un cuore e possono amare anche senza volto e spesso pur essendo privi di braccia…e vederli mentre provano sentimenti è un vero spettacolo! Ed ecco quindi il figliol prodigo/manichino che abbraccia il  padre/statua sceso dal piedistallo per l’occasione. Colorato e un po’ traballante il primo, granitico e solido il secondo…paragonato forse alla saggezza dell’età che offre certezze e sicurezze. Ettore e Andromaca del 1923 sono gli amanti un po’ stile fumetto. L’abbraccio di lei, quasi una statua, mentre cerca di trattenere teatralmente l’amato che va, di fatto, a morire. Tutto inutile…Troia, sullo sfondo,  è già in fiamme e lo spettacolo deve continuare (la teatralità dei gesti e delle pose è sottolineata anche dalle tende ai lati, proprio quelle di un palcoscenico!). Come spesso sceglieva di fare De Chirico, un buon soggetto si può anche ripetere e quindi ecco Ettore e Andromaca,  sgargianti nei loro colori mentre si abbracciano (solo un anno dopo). Lui formato da un assemblaggio di squadre e figure geometriche mentre lei è creata dal panneggio che ricorda la pittura di Raffaello. Le mura lì vicino son quelle di Troia e in quest’opera, come spesso accade, diventano quinte prospettiche che chiudono l’orizzonte.

 

Il Trittico

Il filosofo del trittico ha la testa da manichino e il corpo che si sta trasformando in statua di pietra. Le gambe sproporzionatamente corte mentre i pensieri hanno origine dalla pancia: calco, lira, colonna, libro…in evidenza il motto “sono quello che sono”.

Gladiatori e trofei

Le scene iniziano a riempirsi di strani personaggi…dai gladiatori, alla scuola dove imparano a combattere, al luogo dove vengono creati i loro trofei. I gladiatori lottano rimanendo immobili, rigidi come sculture, muti come statue. Non c’è violenza, del resto…in una stanza così piccola c’è poco da scannarsi. I tre creatori di trofei assemblano un po’ alla rinfusa simboli e oggetti arrivando così fino al soffitto. Bauli, cavalli e castelli sono oggetti comuni che qui assumono un differente significato e una diversa collocazione.

I cavalli

I cavalli di De Chirico sono spesso in coppia. trottano al chiuso ma anche all’aperto. Sono quasi monocromatici al fianco di rovine classiche oppure sono colorati e perfettamente isneirti in una piazza. Quando però finiscono in una piccola camera…è subito Surrealismo!

I bagni misteriosi

Questa seria è una di quelle più famose realizzate dall’artista. Personaggi nudi e personaggi vestiti, piscine che diventano canali… Pare che l’origine delo tema sia un ricordo infantile di De Chirico, quasi un pensiero ossessivo che vedeva nella scaletta di legno degli stabilimenti balneari un momento di sgomento perchè finiva in acqua e praticamente svaniva… Nella Quadriennale del 1935 i Bagni Misteriosi furono tra le opere maggiormente apprezzate per questa vena surreale eppure ancora metafisica. I bagni diventano un momento di assurdità visiva, le figure nuotano anche nell’acqua-parquet e sullo sfondo queste cabine con le finestre forate sono come piccole teste mascherate che osservano…e si torna al mistero. In mostra anche il modellino realizzato per la Fontana, reale, che si trova ancora oggi a Milano al parco sempione, recentemente restaurata.

 

E qui di seguito una carrellata di altre opere in mostra, a partire da classiche nature morte, a volte perfettamente barocche, a paesaggi con evidenti richiami a stili del passato (una veduta di Venezia pare realizzata da Canaletto!)!

 

KUNIYOSHI IL VISIONARIO DEL MONDO FLUTTUANTE

KUNIYOSHI IL VISIONARIO DEL MONDO FLUTTUANTE

Per la prima volta in Italia una mostra monografica completamente dedicata a Utagawa Kuniyoshi, contemporaneo del più famoso Hokusai, altrettanto geniale ma meno conosciuto.

 Il «mondo fluttuante» cioè l’Ukiyoe  è una realtà parallela, un mondo a parte dove perdersi nel piacere allontanando dolore e malinconie del mondo reale.

I grandi artisti di questo periodo come Moronobu, Harunobu, Utamaro, Hokusai e Kuniyoshi  ancora oggi affascinano lo spettatore con immagini a temi fissi del teatro, della tradizione, della natura e del paesaggio, dei piaceri quotidiani della vita delle città di Edo, e delle bellezze femminili. Ma Ukiyoe è anche un genere di stampa artistica giapponese su carta impressa a silografia, del periodo Edo (tra il XVII e il XX secolo). Gli ukiyoe non erano costosi perché pensati proprio come prodotti di massa per abitanti delle città  non sempre ricchissimi.

Non aspettatevi opere immense, non stiamo parlando di affreschi o opere ad olio su tela…si tratta comunque di stampe, il formato è sempre piuttosto simile, poco più di un A4, spesso le singole stampe vengono usate accostate formando così trittici o polittici anche a sei stampe. I colori sono accesi e brillanti, i tratti decisi e spesso movimentati, il disegno è sempre elegantissimo e molto moderno. Le sfumature sono solo accennate, le figure non hanno ombre e la prospettiva non viene presa granché in considerazione (scelte tipiche dell’arte dell’ukiyoe)

E’ una mostra che ho amato fosse anche solo per l’incredibile presenza di rane, gatti, draghi e mostri!

Kuniyoshi nasce nel 1797 e muore  nel 1861 diventa famoso a metà del 1800 con una serie di silografie policrome (la xilografia è la stampa su legno, per ogni colore serve una nuova matrice, insomma diciamocelo: un lavoro decisamente più complicato dei sistemi di stampa attuali).

Il tema che lo porta al successo illustra 108 eroi di un romanzo di fine 1700 che all’epoca divenne poi  un best seller in Cina e Giappone: sono briganti guerrieri che operano a favore del popolo oppresso dalle ingiustizie e dalla corruzione governativa. Sono uomini violenti e potenti, muscolosi, con il corpo ricoperto da tatuaggi…le stesse figure che oggi rivediamo, seppur modernizzate,  in manga e anime!

Kuniyoshi viene definito «visionario» nella mostra a lui dedicata proprio per sottolineare la sua immaginazione senza confini.

Vedremo bellezze femminili, guerrieri ed eroi, mostri, immagini ironiche e giochi ottici che per molti versi ci ricordano il nostro Arcimbodo, l’artista  lombardo  che proponeva ritratti composti da oggetti e animali nei secoli del manierismo e che forse davvero era conosciuto anche in Giappone! Vedremo ritratti di donne, bambini, attori kabuki e fantasmi…

Del resto Kuniyoshe mostra subito di avere idee differenti dai colleghi, infatti conosce e si ispira dichiaratamente anche ad artisti europei che aveva visto sicuramente attraverso opere e incisioni arrivate fino in Giappone ed a sua volta è stato molto amato in Occidente, anche Monet aveva alcune sue opere esposte in casa!

La mostra è divisa in 5 sezioni con 165 opere:

1.Beltà, cioè l’Universo femminile con bellezze varie, dalle geishe alle donne delle case da tè, alle madri e a tutte le figure femminili mostrate anche in normali scene quotidiane

…e guardate un po’ a chi si sono ispirati per l’immagine simbolo del film Matrix! Alle donne di Kuniyoshi che si riparano dalla pioggia sotto ad ombrelli con i nomi dello sponsor della xilografia!

2.Paesaggi e vedute con immagini dei luoghi famosi della capitale Orientale, Edo (sede dello shogunato), ma anche immagini del monte Fuji.

3.Eroi e guerrieri. Il tema che lo ha reso famoso, i famosissimi uomini mitologici (ma anche donne e bambini) che combattono contro mostri, animali e altre leggende.

4.Giochi e parodie, la sezione più curiosa, con ritratti che han fatto di questo artista l’Arcimboldo giapponese. Opere quasi a puzzle che ci mostrano un mondo umoristico, giocoso ed illusionistico che si esprime al massimo nei «giga» (caricature) e nei kagee (giochi di ombre).

 

5.Gatti, la passione di Kuniyoshi. Li rappresenta in moltissime opere, come soggetti principali o come comprimari. Pare che vivesse circondato da decine di gatti e in casa avesse anche un altarino dedicato ai suoi felini defunti così come si usa nella religione buddhista per ricordare i familiari estinti. In qualche caso l’artista replica scene tipiche del genere di bellezze femminili come gli intrattenimenti nelle case da tè usando i gatti al posto dei protagonisti oppure li usa per giochi visivi che si rifanno a proverbi, ossimori o effetti calligrafici

MUSEO DELLA PERMAMENTE

VIA TURATI 34 MILANO

DAL 4 OTTOBRE 2017 AL 28 GENNAIO 2018