Georges de La Tour, L’Europa della luce a Palazzo Reale Milano

Georges de La Tour, L’Europa della luce a Palazzo Reale Milano

Georges de la Tour, caravaggeschi, luci e ombre

Per la prima volta arrivano in Italia le opere di questo artista secentesco praticamente sconosciuto fino al 1915. Il nome circolava tra gli esperti del settore ma attribuirgli questa o quell’opera era stato, fino ad allora, parecchio complesso…

Del resto è proprio Georges de la Tour ad essere complicato! Basti pensare che i critici d’arte ne parlano quasi al plurale, è come se avesse una doppia anima: una notturna, legata alla luce delle candele che squarciano il buio…e un’anima completamente differente che vive di giorno. Infatti la luce cui fa riferimento il titolo dato alla mostra è proprio la fiammella, piccina ma quasi sempre presente.

Nella mostra di Milano la scelta è ben chiara: La notte. E in mostra troviamo quindi anche altri artisti accomunati a de la Tour dall’ elemento che diventa quasi il filo conduttore della mostra: la luce flebile eppure così importante…di una candela.

Il soggetto della Maddalena è molto apprezzato nel seicento nell’Europa cattolica, è il momento del pentimento, importantissimo nella fede per arrivare alla salvezza. Qui la donna è sola, sta meditando probabilmente sul suo passato, in un ambiente semplicissimo, buio come Caravaggio ci ha insegnato ad apprezzare (e quindi un viaggetto in Italia proabilmente de La Tour lo ha fatto davvero o comunque è venuto a contatto con il nuovo realismo caravaggesco attraverso racconti e copie di altri autori), il buio però è interrotto dalla fiamma della candela che è anche la luce dell’anima contrapposta al teschio, che viene sfiorato, dovesse mai sfuggirci eh… il teschio è una delle tante nature morte con cui de La Tour completa i suoi soggetto: è la Vanitas, rappresenta, come in tutte le nature morte barocche, la caducità della vita. “Pentiti peccatore per non finire all’inferno perché la vita è breve e può terminare all’improvviso!”.

Il ragazzino che soffia sul tizzone è di piccolo formato, come spesso accade con de La Tour, son scene di vita quotidiana che si vendono bene anche su commissione (infatti tra i pittori lorenesi suoi contemporanei troviamo spesso piccoli soggetti simili). Il buio è totale ma la luce del tizzone acceso fa emergere il profilo del ragazzino che va a delineare bene i contorni di queste forme che, se ben guardate, son quasi  semplificazioni geometriche. …vi ricordano nulla? ehheheeh pensateci e poi ne riparliamo..

De la Tour sceglie di rappresentare la realtà, persone del popolo, anche i santi sembrano quasi di passaggio, son lì per caso e hanno scordato a casa l’aureola.

Del resto questo artista, figlio di un fornaio, è una persona pratica (e pare anche con un bel caratterino che gli procurò anche qualche denuncia), Georges diventerà nobile per matrimonio ma conserverà comunque le sue radici di lavoratore…solo che cambierà lavoro e dal forno passerà alla bottega, anche di un certo successo con tanto di apprendisti! Diventerà anche pittore ordinario del re trasferendosi  a Parigi da Luneville, dove abitava con moglie e figli.

Ed ecco qui che la realtà entra nella rappresentazione biblica: Per la religione cattolica Giuda fa parte dei 12 apostoli, ed è fratello di San Giacomo Minore, come lui è rappresentato senza ambientazione e senza sfondo, i colori sono caldi, la luce mette in evidenza, in entrambi, le rughe di espressione e anche le mani, mani forti e anche un po’ sporche, sono mani che stringono un bastone e una sacca, come in San Giacomo, o tengono sulla spalla l’arma, una alabarda, con la quale viene martirizzato …oppure sono mani da contadino, come quelle di San Filippo, che regge una croce semplicissima, legata con un nastro, allusione alla corda  usata per legarlo alla croce. Queste sono scene diurne, nessuna candela qui…ma c’è comunque la luce che viene usata in maniera furbissima: guardate i bottoni (di vetro!), sulla tunica arancione di San Filippo…nella loro semplicità sono comunque al centro della scena ed è impossibile non notarli. Questo scelta di stile così legata alla realtà porterà anche ad una svista che durerà secoli: fino al 1795 questi Apostoli di Albi, realizzati da de La Tour proprio per la cattedrale di Albi, assieme ad altri apostoli, vennero scambiati e inventariati come opere di Caravaggio!

Ma de La tour è anche il sapiente esecutore di opere a metà strada tra la scena di genere e il gusto teatrale.

I due piccoli dipinti con gli anziani sono considerati  opere giovanili di La Tour. Potrebbero essere dei ritratti ma per l’abbigliamento e soprattutto per la posa della donna,  potrebbero benissimo essere anche due attori ritratti durante una rappresentazione teatrale. Lo sfondo per entrambe le figure è unico, ridotto all’essenziale eppure sono  molto espressive (l’aria di lui, redarguito da  lei con piglio deciso fa anche  un po’ sorridere!), ma guardate bene  i particolari che spesso in La Tour ci sfuggono e invece meritano tutta la nostra attenzione: i pantaloni color rosso vermiglio, le ghette in colore giallo che risaltano…la gonna guarnita così come la camicetta con i polsini in pizzo… Una precisione e un rigore di rappresentazione quasi fiamminghi. Il Suonatore di Ghironda poi è l’opera più grande attualmente attribuita a La Tour…e anche questo è strano: un soggetto comune per una tela così costosa…ma questo personaggio se la merita tutta: imponente, il realismo caravaggesco qui è ai massimi livelli. Borsa, cappello piumato e soprattutto il cane (pare che il pittore li amasse particolarmente), rendono questa figura, se possibile, ancora più reale e credibile.

Ma tra le scene di genere, di grande formato peraltro, realizzate da de La Tour, bisogna per forza ricordare quelle di risse e taverne.

Certo molti caravaggeschi avevano importato in Francia le novità dell’artista milanese che aveva trovato tanti spunti per le sue ambientazioni nelle osterie che frequentava…ma Georges sceglie di rappresentarle in maniera molto personale, sia di giorno che di notte.

La luce rimane comunque protagonista, anche mentre, solare, va a sottolineare le emozioni di personaggi del popolo, mendicanti e musicisti e forse imbroglioni, che mettono quasi in scena teatralmente un pezzetto di normale vita quotidiana dove per accaparrarsi un pezzetto di strada dove fare l’elemosina, erano davvero pronti a darsele di santa ragione! I protagonisti al centro, uno con una bombarda in  mano e una cennamella (uno strumento a fiato) infilata nella fusciacca in vita, assieme al musicista con la ghironda, sono addirittura armati di coltello e son pronti ad usare anche lo strumento musicale come arma…Intanto il personaggio al centro  spruzza il succo di limone negli occhi del presunto finto cieco, per smascherarlo. A sinistra la donna anziana ci appare terrorizzata ma se guardate sulla destra c’è il suonatore di violino che ci fissa, fissa l’osservatore facendo quasi l’occhiolino per sottolineare, forse, la messa in scena, credibilissima eh…ma comunque recitata proprio per noi!

Nella Negazione di Pietro azzarda addirittura l’episodio biblico ambientandolo però in una taverna durante una partita a dadi! E’ un soggetto perfetto per i caravaggeschi …dramma, luci e ombre, insomma perfetto per mettere in scena un’immagine ricca di allegorie: i soldati in primo piano giocando a dadi anticipano la spartizione delle vesti di Cristo tra i soldati che lo hanno crocifisso mentre San Pietro qui rimane in secondo piano, accanto alla serva, sulla sinistra in alto. Del resto i bari sono anche soggetto autonomo dell’altra opera dove addirittura si intravede un furto con destrezza o comunque un imbroglio, insomma quella manina lì seminascosta non ci dice nulla di buono…

La luce di una candela, a volte in primo piano,  a volte nascosta, illumina le forme

Illumina le armature dei soldati oppure, in bellavista, ci mostra l’abito della moglie di Giobbe mentre deride il marito, questa stessa candela è al centro della scena che ci mostra l’educazione della Vergine e mette in risalto anche come queste forme reali siano però molto riconducibili a forme essenziali e geometriche, particolare questo che, a mio parere, lega in modo indissolubile Georges de La Tour all’Italia: la luce è di Caravaggio e le forme son di Piero della Francesca, i particolari son quasi fiamminghi ma le atmosfere, il silenzio e la calma di queste scene…sono davvero una caratteristica tutta sua!

La moglie che deride è in realtà maestosa ed elegante, quasi un menhir con quel vestito rigidissimo che occupa metà della composizione ed è in netta contrapposizione con la figura del marito, Giobbe, seduto più in basso su di uno sgabello, seminudo e malamente  ricoperto da un tessuto liso, ai suoi piedi una ciotola sbeccata . Lui è anziano e la candela che ne mette in evidenza la carne flaccida è davvero impietosa…paragonato quasi ad un cane per colpa di quella ciotola… eppure con l’espressione serena e dignitosa di chi ha fede in Dio.

Il soggetto dell’educazione della Vergine è stato usato più volte dall’artista che ne farà più versioni in varie misure.  Lo spazio  in cui è ambientata la scena è domestico e dignitoso anche se  povero, Maria bambina tiene in mano la candela, unica fonte di luce, mentre si avvicina alla madre per apprendere chissà quali attività femminili… e anche qui tornano le tre caratteristiche della luce e delle atmosfere di Georges de La Tour: luce calda e tremolante, silenzio e calma.

La mostra si chiude con un ambiente dedicato ad un unico quadro:

San Sebastiano curato da Irene, qui la martire cristiana cura l’altro martire condannato a morte per la sua fede e ovviamente lo cura a lume di una lanterna. I santi qui però sono persone normali, anche abbastanza sensuali con il  santo nudo in primo piano, abbandonato alle cure sicure di Irene che, concentrata, è intenta a levare addirittura una freccia! L’opera è esposta da sola perché molto probabilmente sola è stata davvero appesa nella camera privata del Re Luigi XIII. Già nel settecento circolava la notizia che La Tour avesse regalato al sovrano un dipinto con questo soggetto, opera talmente apprezzata da aver fatto decidere al re di appenderlo nella sua camera da letto levando tutti gli altri quadri esposti  fino a quel momento. Ed ecco forse perché il pittore scelse di dipingerlo altre dieci volte (e anche qui il rimando ai doppi caravaggeschi è proprio diretto!): tutti volevano avere, in casa propria, l’opera con cui Georges de La Tour, figlio di un fornaio della Lorena e nobilitato per matrimonio, era addirittura stato accettato a corte, a Parigi!

Georges de La Tour, San Sebastiano curato da Irene, 1640

In mostra poi troviamo anche altre opere di artisti contemporanei di de La Tour e accomunati al suo lavoro per scelta dei soggetti e per i richiami caravaggeschi

Georges de La Tour. L’Europa della luce, Palazzo Reale Milano dal 07.02.2020 al 07.06.2020

Info e prenotazioni

Infoline mostra T 0292897755

La nostra natura morta

La nostra natura morta

La natura morta ormai la conosciamo…ne abbiamo parlato in classe e anche qui nel blog con un riassunto a cavallo tra i vari secoli…

Queste sono le nostre versioni della  natura morta!

Se guardate bene ogni natura morta racconta una storia, a volte abbiamo utilizzato il sistema dei messaggi nascosti grazie ai tipici oggetti simbolici (sì sì i teschi piacciono sempre parecchio!), in altri casi abbiamo provato ad immaginare il tavolo di un personaggio disordinato…

Alcune versioni sono tenerelle, altre un po’ cupe…in qualche caso siamo andati decisamente sullo splatter!

Sono realizzate con matite colorate ma in tre cerchi abbiamo scelto tecniche differenti come ad esempio il tratteggio a tratto pen, la matita hb sfumata e il pennarelli a puntini.

La natura morta

La natura morta

La natura morta è un soggetto pittorico e…no, non le hanno sparato e nessuno l’ha uccisa, tanto per mettere subito in chiaro le cose!

“Natura morta” par quasi un ossimoro, una contraddizione in termini perché la natura è viva per definizione…come si fa a parlare di natura morta!?!

eppure…

Natura morta= rappresentazione di frutta, fiori, selvaggina, strumenti musicali, libri… oggetti inanimati.

Sono oggetti a volte rappresentati fuori dal loro contesto (ad esempio un mazzo di fiori recisi in un vaso), morti quindi…ma vivi in eterno in quella particolare opera pittorica.

A parte qualche raro e particolarissimo esempio di natura morta nell’antichità questo soggetto non ha mai avuto vita autonoma fino all’arrivo di Caravaggio.

In epoca ellenistica troviamo gli asarotos oikos (casa non spazzata), quasi il pavimento delle nostre aule a fine giornata insomma…

Realizzazioni a mosaico che mostrano direttamente sui pavimenti avanzi vari (cibo, scorze di limone ecc). Asarotos e Xenia (doni augurali agli ospiti) sono probabilmente legati al culto dei morti. Il cibo caduto dalla tavola, lì per terra, rimane destinato ai famigliari defunti (no, non provate ad usarla come scusa per non pulire in terra…non funzionerà con me, tzè!)  tra l’altro  serve anche per mostrare agli ospiti gli scarti del proprio lussuoso e prelibato cibo (ancora oggi va di moda andare a sbirciare nelle pattumiere delle celebrità per scoprire cosa ha mangiato a pranzo il super vip!). Gli Xenia invece sono affreschi con simile scopo, piccole rappresentazioni cibo sulle parete, come ad esempio il cesto di fichi che troviamo in una casa a Pompei.

Per secoli troveremo pregevoli esempi di natura morta ma solo affiancati ai soggetti principali: i ritratti.

Nel 1474, ad esempio, Antonello da Messina ci mostra San Girolamo nello studio.

Il Santo è  letteralmente immerso in una incredibile scena prospettica arricchita da tante piccole nature morte, sia nella libreria che sulla scrivania del Santo ma anche in primo piano, proprio di fronte all’osservatore. Del resto lo stesso San Girolamo realizzato però da Jan van Eyck intorno al 1435, sceglie un’ambientazione simile, con contorno di natura morta compreso!

Verso la fine del 1400 l’emiliano Antonio Leonelli (conosciuto anche come Antonio da Crevalcore), raffigura San Paolo seduto al centro di piccole ma chiarissime nature morte: da un lato candele e candelabro, dall’altro penne, calamaio e forbici con effetto tridimensionale che ne fanno quasi un trompe l’oeil.

Sempre del 1400 c’è un esempio di natura morta un po’ particolare…realizzato ad intarsio in legno: lo Studiolo del duca di Urbino nel Palazzo Ducale, con oggetti quali libri, clessidre, strumenti musicali scelti anche per i loro significati simbolici.

Giuliano e Benedetto da Maiano e bottega, tarsie dello studiolo di Federico II

Anche Raffaello non ha resistito al richiamo della natura morta e nell’Estasi di Santa Cecilia mette ai suoi piedi una natura morta composta solo da strumenti musicali.

Raffaello, Santa Cecilia

Nel 1533 a stupirci con il doppio ritratto dei due “Ambasciatori” è Hans Holbein.

I due personaggi  mostrano, con una certa soddisfazione, gli scaffali ricolmi di oggetti incredibili e preziosi simbolo anche del loro piacere per lo studio e del loro potere (in aggiunta a tutto questo ai loro piedi c’è anche la misteriosa anamorfosi con un teschio!)

Un caso al limite è rappresentato da Arcimboldi. Questo pittore geniale trova quasi un compromesso tra ritratto e natura morta: realizza ritratti…composti però da oggetti (fiori, animali…ecc). Non siamo ancora quindi alla natura morta autonoma ma davvero poco ci manca!

Intorno alla metà del 1500 in Europa si cominciano a vedere opere dove gli oggetti sono più protagonisti…dei protagonisti stessi!

Basti pensare all’olandese Pieter Aertsen che nelle sue scene sacre mette le figure sacre sullo sfondo lasciando lo spazio in primo piano tutto dedicato ad incredibili nature morte.

Pieter Aertsen cristo con Marta e Maria

Dobbiamo aspettare l’arrivo di Caravaggio per vedere davvero per la prima volta, in Italia,  una tela “sprecata” solo ed esclusivamente per un soggetto inanimato.

Caravaggio, Canestra di frutta

La prima natura morta, autonoma, della nostra storia dell’arte è infatti la Canestra di frutta del 1599 (e forse chissà…senza la sponsorizzazione del Cardinal del Monte, che la commissionò per farne dono al cardinal Borromeo, ora non saremmo nemmeno qui a parlarne…).Il particolare curioso è che la stessa cesta di frutta, poco prima, la dipinge in mano ad un modello…e poco dopo  la ritroviamo protagonista della Cena in Emmaus

Caravaggio da sempre insegue la rappresentazione del vero, della realtà così com’è e anche qui non ci delude in questa sua ricerca a volte spietata: la frutta è un po’ marcia, la mela bacata, la foglia è stata mangiucchiata da un bruco di passaggio. Forse il suo cesto di frutta era davvero così o forse il pittore ha realmente voluto proporci una perfetta rappresentazione della caducità della vita, tema molto in voga in quel periodo, assieme al memento mori: ricordati che devi morire, tutto ciò che è bello, vivo, fresco è destinato a marcire e a morire, vivi bene perché non sai quando tutto questo avrà fine…

Verso la fine del 1500 troviamo molte rappresentazioni di cibo esposto (al mercato, in vendita, nelle cucine…) ma sempre con qualche personaggio, seppur sempre più defilato.

Nel 1600 la natura morta è un genere ormai diffuso in tutta Europa e diventa un vero e proprio genere pittorico.

Ed ecco quindi Pieter Claesz con la classica Vanitas (il teschio che allude alla morte, la candela richiama la luce della vita, il fiore reciso -che appassirà- e l’orologio rimandano direttamente al tempo che passa); e Evaristo Baschenis, il bergamasco maestro della rappresentazione di strumenti musicali dell’epoca, spesso anche un po’ impolverati…il tempo passa anche per loro insomma!

Gli oggetti non sono quasi mai scelti per caso, sono simbolici: il passare del tempo (orologi, clessidre) i teschi (la morte), le candele (accese o spente sono  la vita o appunto la sua fine), fiori recisi, calici e vasi in vetro (brevità e fragilità della vita) mentre gli oggetti preziosi (oro, gioielli, monete) rimandano al concetto di tutto quanto reputiamo indispensabile nella nostra vita che però sarà del tutto inutile nella morte. Spesso anche gli stessi fiori sono scelte simboliche (i gigli sono da sempre il simbolo della Madonna e alludono alla purezza).

Nel 1700 la natura morta diventa anche un’ottima scusa per mostrare vero virtuosismo: fiori perfetti, frutta prelibata…viene un po’ a mancare tutta la simbologia di vanitas e memento mori e nel nord Europa si cerca in questo genere pittorico quello che è a tutti gli effetti un quadro gradevole senza troppi messaggi nascosti.

Ecco quindi Luis Melendez con dei succosi limoni e Jean Baptiste Chardin con un tavolino pronto per una tazza di caffè e un bicchiere d’acqua.

Ma la natura morta nel corso dei secoli successivi…è ben viva, altro che morta!

La ritroveremo nel 1800  rappresentata con pochi rapidi tocchi dagli impressionisti come Manet e da Cézanne.

Braque nel 1919 ce la mostrerà da differenti punti di vista come voleva fare l’arte cubista mentre Giorgio Morandi ne farà una visione metafisica negli stessi anni.

Poco più tardi René Magritte re del surrealismo ci stupirà con oggetti che forse, chissà, sono ancora nature morte…o forse no…

 

Anche noi nel nostro piccolo abbiamo provato a disegnare delle nature morte e…non vediamo l’ora di mostrarvele: se siete curiosi cliccate qui!