Bosch e un altro Rinascimento a palazzo Reale a Milano

Bosch e un altro Rinascimento a palazzo Reale a Milano

Bosch e un altro Rinascimento, a Palazzo Reale: una mostra dedicata non tanto e non solo all’artista olandese…ma soprattutto a quanto il suo lavoro abbia poi  influito su tutti i suoi contemporanei!

Nella mappa si può vedere il suo successo concentrato soprattutto in Italia settentrionale, Spagna e mondo asburgico (Il re Filippo di Spagna fu un vero appassionato di questo artista tanto da portarlo a collezionare le opere di Bosch comprandole un po’ ovunque ed ecco perché ancora oggi la Spagna è tra i Paesi che possiedono il maggior numero di opere di Hieronymus Bosch).

1 Bosch e il fantastico

Bosch, Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio (aperto), 1501

Al rinascimento ufficiale quindi, quello classico, L’artista olandese contrappone un mondo con scene infernali e oniriche. Pensate: è proprio un cronista suo contemporaneo, Marcantonio Michiel, a fornire la prima descrizione delle opere di Bosch usando parole come: inferno, mostri e sogni. Di Bosch si parla, all’epoca, come di pictor gryllorum, pittore di scene ridicole. Ed ecco che la mostra si apre con quella che è l’opera probabilmente più emblematica del lavoro di Bosch: Il Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio. Nella stessa opera troviamo tutte le caratteristiche associate a questo artista: fuochi infernali, architetture contorte, mostri, ibridi, personaggi grotteschi e scene stravaganti.

La parte esterna del trittico è monocroma, tranne una piccolissima torcia accesa, in rosso fuoco. Questa realizzazione a grisaglia non è nuova nella tradizione fiamminga. E’ una scelta anche teatrale…all’apertura dei pannelli esterni, i fedeli rimanevano ancora più stupiti di fronte alla meraviglie delle immagini colorate della pala d’altare aperta.

Il trittico dei Santi eremiti, della fine del 1400, in prestito da Venezia, faceva probabilmente parte della collezione che già sin dal primo cinquecento, era di proprietà del cardinale veneziano Domenico Grimani. Quest’opera tra l’altro ha anche la firma dell’autore, bene in vista in basso nel pannello centrale.

Bosch Trittico degli eremiti, fine 1400

Anche nelle meditazioni di San Giovanni Battista, apparentemente più tranquilla, in realtà troviamo la cifra stilistica di Bosch: forme strane e scene impossibili…sono opere che vanno viste da vicino, nei minimi particolari. Ed è questa anche una scelta artistica per stimolare la curiosità dello spettatore e per costringerlo a fermarsi ad osservare e a meditare sulle scene che presentano sempre diversi livelli di lettura, sia moralistico-religiosi che ridicoli e allegorici.

Hieronymus Bosch: San Giovanni Battista in meditazione, 1495

2 Classico e anticlassico tra Italia e Penisola Iberica

Nell’immaginario comune dell’epoca quindi…lo stile di Bosch si lega soprattutto all’aspetto fantasioso e bizzarro delle sue opere. Nel rinascimento diventa quindi una sorta di alternativa…un altro rinascimento, appunto.

Ma questa dicotomia così forzata lo è soprattutto per noi ora. Noi oggi identifichiamo il rinascimento con l’arte classica con la ricerca dell’equilibrio e del bello ma se ci pensiamo bene…anche  Leonardo da Vinci, artista d’eccellenza del rinascimento…già nel suo codice trivulziano si era divertito ad inserire figure caricaturali con volti deformi, tutto sommato non così distanti dalle immagini folli di Bosch.

Nel cinquecento, il fantastico e il mostruoso era una parte figurativa ben presente nelle grottesche, che sono poi di origine classica, riscoperte negli affreschi della Domus aurea diffusa anche grazie alle rielaborazioni di Raffaello.

Grottesche Domus Aurea

E troveremo quindi decorazioni simili in forme e contesti differenti: come motivo a stampa nell’esempio di Nicoletto Rosex, incisore italiano, che crea grottesche con nudi, mascheroni e elementi fantastici che verranno poi riutilizzati nel 1530 per i rilievi dell’Università di Salamanca… e sempre a  Salamanca troviamo poi una serie di capitelli mostruosi nel chiostro del convento di Las Duenas.

Le sculture in legno policromo e dorato del Retablo de San Benito di Berruguete, ma anche quelle di   Gaspar de Tordesillas, suo allievo, che realizza il  Retablo de San Antonio Abad nello stesso monastero a Valladolid, uniscono la tradizione medievale al recupero del mondo classico ai nuovi modelli rinascimentali.

E le stesse decorazioni a grottesche le troviamo anche negli arazzi su disegno di Perin del Vaga, allievo di Raffaello, realizzati per la residenza di Andrea Doria a Genova.

Maestro della marca geometrica da un cartone di Perin del Vaga, Arazzo grottesca con allegoria del dio Marte, 1540-60

Insomma il fantastico e le sue molteplici interpretazioni continueranno a coesistere per tutto il millecinquecento: lo scudo di Praga con mostri in perfetto  in “stile Bosch” accanto alla Rotella milanese post raffaelliana di evidente stampo classico.

3 Il sogno

Nell’Europa meridionale il nome di Bosch viene associato fin dai primi decenni del 500, all’invenzione pittorica di inferni, sogni e incubi e fin da subito viene ripreso da artisti suoi seguaci.

Il tema onirico lo ritroviamo un po’ ovunque e il collegamento diretto va subito alle invenzioni di Bosch, anche nei mostriciattoli riprodotti addirittura nei calamai.

calamai con mostri marini

Anche in opere apparentemente…normali, come Il Sogno della scuola di Battista  Dossi e l’Allegoria della vita umana di Ghisi, … in tutte queste opere in realtà troviamo collegamenti diretti alle scene di Bosch, ai suoi mostri e ai suoi incubi.

4 La magia

Riti magici e sabba infernali diventano soggetti molto apprezzati fino al seicento inoltrato. Non dimentichiamo i processi per stregoneria e la pubblicazione di manuali e trattati per riconoscere e punire le streghe…Di volta in volta troveremo il Diavolo rappresentato da donne seduttive oppure streghe orribili che mangiano bambini.

5 Visioni apocalittiche

Il giudizio universale è lo spartiacque tra salvezza e dannazione eterna. Nella religione cristiana si vede spesso Cristo che separa meritevoli e peccatori. E ovviamente è un soggetto che piace parecchio a collezionisti e committenti delle opere di Bosch…il trittico del Giudizio Universale esposto qui a Palazzo Reale apparteneva al cardinale Marino Grimani nipote del collezionista veneziano Domenico Grimani. Ed è un vero piacere osservare i mostri marini e terrestri che affiancano i demoni che hanno creato ogni sorta di sistema per meglio torturare i peccatori!

Bosch, Giudizio Universale, interno, 1500

Il giudizio finale, il paradiso e l’inferno  diventano  quindi un’ottima scusa per dipingere mostri, demoni e immagini perfettamente in linea con quelle di Bosch.

Attraverso la stampa e una sorta di passaparola dell’arte l’invenzione di Bosch arriverà fino alle chiese peruviane del diciassettesimo secolo come nel caso dell’immenso giudizio universale nel convento di S. Francesco a Cuzco …

Diego Quispe Tito, Giudizio Universale, Convento San Francesco, 1675, Cuzco

6 Le tentazioni di Sant’Antonio

Bosch e i suoi seguaci amano questo soggetto e ne fanno svariate versioni che piacciono moltissimo in tutta Europa. L’iconografia del santo torturato dai demoni e tentato da donne sensuali ha sicuramente un carattere morale …ma è anche la scusa per dare carta bianca all’artista che potrà così sbizzarrirsi tra mostri e chimere.

 

Ma qui non è solo Bosch a fare scuola ma anche l’artista tedesco Martin Schongauer che ci mostra il santo trasportato fisicamente in cielo dai demoni.

7 la stampa come mezzo di divulgazione

Il marchio di Bosch, cioè  quelli che possiamo definire come mostriciattoli, non nasce immediatamente…ci si arriva tramite un processo di selezione e ripetizione di queste immagini e la diffusione delle opere di Bosch è avvenuta principalmente attraverso la stampa. Molti incisori, soprattutto fiamminghi, hanno fin da subito iniziato a riprodurre le sue opere dichiarandolo: sono idee di Bosch. C’è poi lo strano caso di Brueguel il Vecchio che non si limita a copiare le scene di Bosch ma le reinterpreta proprio, riuscendo quindi a vivere  esattamente nel mondo immaginario di Bosch preferendo l’emulazione all’imitazione e qui  possiamo vedere le sue intepretazioni attraverso le incisioni di Pieter van der Heyden tratte dai Sette oeccati Capitali di Brueguel, serie ricordata persino  dal Vasari che ne sottolinea anche l’intento umoristico.

8 Il mondo asburgico

L’arte di Bosch piace davvero tanto agli Asburgo, la dinastia che nel cinquecento dominava l’Europa, il bello è che anche il re di Francia, Francesco I di Valois, uno dei principali oppositori della casata asburgica, era molto interessato alle opere di Bosch…passione portata avanti anche dai suoi discendenti. Queste due famiglie dettavano un po’ la moda del momento e quindi è anche grazie a loro e alle loro corti,  se il fenomeno Bosch si trasferirà anche in  una serie di arazzi, qui anche una versione più tarda dell’arazzo dedicato all’elefante, arazzo svanito misteriosamente nel nulla…

9 la curiosità e il collezionismo enciclopedico

Nel Cinquecento nel mondo delle corti si sviluppano forme di collezionismo enciclopedico o universale. Insomma si colleziona di tutto di più…Delle camere delle meraviglie, le wunderkammer… con gli oggetti esposti e collezionati si esprime lo status sociale del proprietario e si cerca un collegamento con il mondo invisibile. Sono mirabilia, opere nate per suscitare sorpresa e anche qualche risata: dall’automa diabolico della Collezione Settala (che muoveva davvero occhi e bocca emettendo un suono infernale!) ai volti dell’Arcimboldo.

Oggetti reali che ritroviamo dipinti in forme magari assurde e incredibili con l’ormai riconoscibilissimo…tocco alla Bosch: uno stile nato per stupire e divertire uno spettatore del Rinascimento…che però ancora oggi lascia a bocca aperta anche la folla a noi contemporanea, stipata davanti a queste opere… modernissime per forme, colori e ironia.

Escher al Museo degli Innocenti di Firenze

Escher al Museo degli Innocenti di Firenze

Escher al Museo degli Innocenti, partita da New York, passata poi per svariate città nel mondo e in Italia, come Roma, Genova e Milano eccola ora a Firenze. Una mostra itinerante e  campione di incassi dedicata a Escher: 200 opere esposte negli spazi unici dello storico Museo degli Innocenti progettato dal Brunelleschi, una mostra indimenticabile!

Con una parte di allestimento che permette allo spettatore di entrare praticamente a far parte di questo mondo di illusioni e inganni dell’occhio attraverso giochi e installazioni che lo rendono protagonista…perfettamente in linea con l’idea di Cornelis Escher

“Il mio lavoro è un gioco, un gioco molto serio”

L’artista gioca con l’architettura, con la matematica, con le regole prospettiche e spazia tra arte e scienza. Ecco perché nonostante sia stato scoperto ed apprezzato relativamente tardi…ancora oggi i suoi lavori affascinano lo spettatore e ispirano musicisti, designer e artisti…

I primi lavori dell’artista partono dall’Art Nouveau, movimento artistico caratterizzato da ornamenti e forme decorative ispirate ai soggetti naturali.Lo si capisce dai suoi primi lavori e anche dalla sua prima mostra, durata soli 13 giorni, in Italia, a Siena, al Circolo artistico senese, mostra per la quale lo stesso artista progetterà e realizzerà il manifesto, in bianco e nero, così come lo sono le sue opere: xilografie e litografie.

Collabora anche con poeti come il suo amico Aad van Stolk  per il quale illustrerà Flor de Pascua…perché è così che si vede Hescher, un illustratore dall’occhio molto attento, con una capacità grafica che diventa presto perfetta alleata per i giochi ottici che tanto lo renderanno famoso.

Con i Giorni della Creazione dedicati ai 6 giorni più importanti nella Bibbia, grazie alla rappresentazione del secondo giorno, ispirata alla Grande Onda di Hokusai, diventerà famosissimo anche in patria perché l’associazione per la promozione e l’estetica nell’istruzione superiore commissionò all’artista ben 300 stampe da appendere nelle classi delle scuole superiori olandesi.

Recupera anche dal passato il sistema degli emblemi fiamminghi e medievali, una combinazione didattico moraleggiante di immagini e testo,  destinata a far riflettere il lettore sulla propria vita. Li rappresenta con scritta in latino…e commento in olandese!

Il viaggio in Italia e la successiva lunga permanenza nel nostro paese…si vede in maniera ben chiara nella sua produzione: paesaggi, particolari, vedute…quasi una sorta di raccolta da Grand Tour settecentesco dove lo sguardo di Hescher si allena a definire l’immagine dell’insieme senza però mai tralasciare il particolare.

L’talia della amatissima Toscana ma anche tutto il sud: Sicilia, Abruzzo, Calabria e Costiera Amalfitana.

 

Anche se poi torna a lavorare e a vivere a Roma, suo punto fermo dove vivrà per anni assieme alla moglie, Jetta Umiker, figlia di un industriale svizzero sposata a incontrerà Jetta Umiker, figlia di un industriale svizzero sposata a Viareggio.

L’occhio di Escher è pazzesco sia nelle immagini di ampio respiro…che in quelle che possiamo immaginare abbiano richiesto forse una lente di ingrandimento o una visione davvero molto molto  ravvicinata…

L’altro viaggio fondamentale nel suo percorso artistico è sicuramente quello in Spagna, nel 1936, dove rimane folgorato dalla tassellazione, la decorazione tipica dell’Alhambra di Granada. La tassellazione sono figure geometriche che compaiono anche come ornamenti in edifici costruiti dai sumeri e anche un altro artista, prima di Escher, aveva iniziato a sperimentare questo sistema decorativo: Kolomon Moser che nel 1899 aveva pubblicato su Ver Sacrum, la rivista del movimento artistico Jugendskolomon moser till, una serie di figure animate…Ma, sorpresa sorpresa,  Escher venne a sapere di questo collega che in pratica lo aveva anticipato….solo nel 1954 e, serenamente dichiarò di sentirsi meno solo nella sua complessa ricerca di disegni simmetrici animati.

Lo spazio può essere diviso in maniera regolare dandogli anche un senso e una forma. Precisione e ripetizione , geometria e matematica. Insomma qui si arriva alla perfezione! I campi grigi e geometrici si trasformano in uccelli che si alzano in volo e…guardate bene: i bianchi vanno a destra mentre quelli neri a sinistra. La loro unione rappresenta il passaggio dalla notte al giorno così come il passaggio tra acqua e cielo avviene attraverso la forma dei rispettivi animali che vivono questi elementi. I pesci si alzano e si trasformano  in uccelli che volano in cielo…

Geometrie che diventano fantasie, spazi illusori e impossibili, immagini che si trasformano in altre immagini… Singole forme che ora sono soggetto e ora sono sfondo. Ma anche prospettive invertite, intrecci di linee in movimento, inganni visivi dell’occhio. L’occhio dell’osservatore è messo decisamente a dura prova. Metti a fuoco questo…ah no forse è quello…o quell’altro ancora il vero soggetto? Chissà…

Ed ecco che dalla tassellazione il passo successivo è breve:  iniziano le sperimentazioni dedicate alle superfici riflettenti che mettono, se possibile, ancora più in crisi le nostre certezze…

Escher mostra una sorta di attrazione per la struttura dello spazio più ancora che dell’elemento stesso. Spazio che ha una sua struttura matematica, certo, ma la sua passione per le forme dei cristalli e le superfici topologiche come il nastro di Moebius, cioè oggetti percepiti come se fossero a due face ma che se ben osservati in realtà ne hanno una sola…lo portano a immagini se possibile ancora più folli…

Forme che contengono altre forme…che sono esse stesse nuove forme…

Escher era un vero ammiratore delle opere di Piranesi, incisore e architetto italiano del settecento.  Le carceri d’invenzione, di Piranesi hanno geometrie rigorose seppur inquietanti, con ambienti, grate, scale e hanno sicuramente ispirato molte delle opere di Escher che si basano sulle architetture impossibili. Scale senza fine, cortili interni squadrati in piani sovrapposti e popolati da persone che sembrano quasi obbligate a stare in perenne movimento, salendo e scendendo ma di fatto senza poter cambiare mai realmente di piano.

Escher oggi è conosciutissimo e molto apprezzato. Si può quasi parlare di eschermania. Troviamo riferimenti ai suoi lavori nei campi più disparati. Dall’arredamento alla musica.  La rappresentazione del paradosso, infatti,  ha avuto un ascendente importante anche su musicisti e gruppi anni sessanta che hanno usato le sue opere come copertine dei loro album.

Le geometrie dell’artista olandese si ritrovano  in personaggi dei fumetti, come i personaggi dei cartoni animati come i simpson e delle serie tv come squid game nonché ovviamente anche in immagini pubblicitarie. Il punto di vista surreale ed impossibile di escher….è ormai entrato a pieno diritto anche nel nostro modo di vedere le cose.

Sorolla, pittore di luce

Sorolla, pittore di luce

Sorolla, il pittore di luce, a Palazzo Reale Milano, dal 25 febbraio al 26 giugno 2022


Una bella mostra monografica che ci fa scoprire (o riscoprire) l’artista spagnolo, Sorolla, il “pittore di luce” famosissimo nella sua epoca: la Belle Epoque e definito dai suoi contemporanei come “il più grande pittore vivente al mondo”! A cavallo tra Europa e America, una carriera di successo fortemente voluta e inseguita, quasi studiata a tavolino… che ha richiesto impegno, dedizione e studio.

Sorolla, valenciano, attaccatissimo alle sue tradizioni, ai suoi amori e alle sue passioni, si porta nel cuore e nel suo lavoro tutto questo bagaglio emotivo e riesce a fonderlo con ciò che impara “sul campo”. I tagli fotografici arrivano direttamente dalla passione per la fotografia, la tecnologia più moderna dell’epoca (il suo primo datore di lavoro sarà proprio Antonio Garcia, fotografo di successo e suo futuro suocero).

Gli scorci prospettici e la monumentalità delle figure hanno quel sapore rinascimentale inconfondibile, assorbito probabilmente negli anni di vita passati in Italia, a più riprese, tra Roma e Assisi. Il tocco rapido e la pennellata fluida sono figli diretti della pittura impressionista e della tecnica en plein air che vive direttamente nel suo soggiorno parigino.

L’eleganza delle figure e delle composizioni sono la rappresentazione su tela di tutto quello che è Art Nouveau e ricerca costante della bellezza. Uomo del suo tempo si inserisce perfettamente in ambienti artistici differenti dove verrà molto richiesto come ritrattista di personaggi di alto rango così come da amici di famiglia.

Il suo legame fortissimo con il mare lo accompagnerà sempre facendogli sfruttare i meravigliosi giochi dei riflessi della luce sull’acqua. Nella sua tavolozza di colori risaltano gli azzurri e i blu e i violetti di cieli, onde e schiuma del mare ma anche tutta la gamma dei gialli di sabbia e sole. E il bianco. Un bianco mai puro ma reso da infinite ombreggiature colorate a macchie rapide. Un bianco che ancora oggi sembra quasi acciecare lo spettatore che di fronte alle sue opere si sente trascinato fisicamente in altri spazi…lontani eppure così vicini perché sempre vicini al cuore dell’artista. Sorolla  ha uno stile pittorico che è praticamente una narrazione… e, cari miei, come sa raccontare Sorolla…nessuno mai… 😉

Monet a Palazzo Reale a Milano dal Marmottan di Parigi

Monet a Palazzo Reale a Milano dal Marmottan di Parigi

In mostra troviamo una selezione di opere di Claude Monet, direttamente dal Musée Marmottan di Parigi. Ma il Marmottan, lo studioso,  aveva una vera passione per l’arte napoleonica e quindi tutta dedicata al neoclassicismo, un gusto lontanissimo da quello che caratterizza la pittura impressionista che però, nel 1966, eredita, stavolta dal figlio minore dell’artista, Michael Monet, la più vasta collezione al mondo di opere di Monet.

Del resto, ricordiamolo, l’impressionismo stesso ebbe origine proprio da un’altra mostra, nel 1874, nello studio del fotografo più famoso dell’epoca, Nadar, il folle che oltre a ritrarre i più famosi personaggi dell’epoca, riuscì a fotografare Parigi dall’alto, salendo su di una mongolfiera! L’esposizione del 1874,  ospitando i nuovi pittori, anche lì accosta le loro opere modernissime a quelle più classiche realizzate da artisti in voga in quel momento, farà poi scrivere il famigerato articolo al giornalista Luis Leroy che diede il nome, con intento dispregiativo, a questa nuova corrente, prendendo spunto proprio dall’opera di Monet, «Impressione, levar del sole».

Con l’impressionismo nasce anche la pittura en plein air, all’aria aperta, impossibile fino all’ottocento perché resa possibile solo dall’invenzione dei colori in tubetto, colori che prima richiedevano un intero studio a disposizione e tempi e competenze, quasi da piccolo chimico. Ora è tutto più immediato. Gli artisti viaggiano, anche grazie allo sviluppo della rete ferroviaria, portandosi dietro tutto l’occorrente per dipingere…sì certo tele piccole, molto trasportabili. Ma il cambiamento è realmente epocale anche se ci son problemi dati proprio dal luogo…ad esempio la necessità di dipingere molto velocemente, per non perdere la luce, per non incorrere nei guai di un tempo variabile, un vento emozionante ma sicuramente scomodo, uno stormo di piccioni incontinenti insomma i rischi sono tanti!… Si iniziano a vedere le pennellate, il tratto deve essere rapido per forza, cambia anche la gamma cromatica perché i colori, visti e rappresentati alla luce del giorno, sono molto diversi da quelli cui erano ormai tutti abituati lavorando al chiuso in uno studio. Monet a volte dipingeva direttamente su di una barca attrezzata, per rimanere più vicino all’acqua! A volte si faceva dare una mano, come facchino, da Poly, un pescatore di aragoste, qui ritratto con lo sguardo  in tralice e la barba incolta e quell’aria un po’0 così, diciamo ruvida che va a sottolineare il carattere schivo del pescatore e la vita dura che caratterizza le condizioni di vita sull’isola di Belle-ile-en-mer

E sapete chi, letteralmente, trascinò all’aria aperta Monet? Eugéne Boudin che, pochi lo sanno, è un po’ il padre dell’impressionismo, seppur in maniera inconsapevole. Figlio di un marinaio, inizia a lavorare nel campo artistico, diciamo così,  aprendo una cartoleria. Conosce quindi artisti vari, tra i quali anche Millet, che lo convinceranno a lasciare il negozio per darsi all’arte. Una sua frase fa ben capire questo nuovo approccio all’arte: «Tre colpi di pennello dal vivo valgono più di due giorni di lavoro al cavalletto».  Quando è già affermato, incontra un Monet diciassettenne, nel 1858 e gli mostra, letteralmente, tutto il mondo e il modo di dipingere en plein air. In mostra abbiamo un’opera con delle mucche come soggetto. Anche Johan Jongkind, viene considerato da Monet un suo maestro nonché amico e con questo artista e collega condividerà viaggi e scoperte, tanto che alla sua morte, quando le sue opere vennero vendute all’asta, Monet comprò questa veduta di Avignone, datata 1873…proprio la data del primo soggiorno del pittore in questa cittadina.

Nel 1870 Monet sposa Camille Doncieux e vanno, chiamiamola luna di miele, all’hotel Tivoli a Trouville-sur-mer… Ma i soldi son pochi e così l’idea è anche quella di vendere i lavori del pittore ai vari turisti che frequentano la costa. Ed ecco quindi che Monet dipinge il porto di Trouville, l’Hotel del Roches Noires e svariati ritratti della neomoglie, Camille, in spiaggia anche mentre è in compagnia della moglie di Boudin, oppure da sola, vestita di bianco. Monet viaggerà parecchio, sia in Francia che all’Estero (anche in Italia eh, a Bordighera!) e del suo viaggio in Olanda abbiamo come ricordo questa immagine del porto di Zaandam ah sappiamo che ne parlerà, per lettera, anche al suo amico Pissarro, lodando i paesaggi olandesi per i colori , i mulini a vento e le barche…

I pittori impressionisti rivoluzionano la pittura non solo per quanto riguarda la tecnica ma anche per quanto riguarda il soggetto che diventa quasi…secondario! Cercano le sensazioni che un paesaggio o una scena quotidiana possono suscitare in loro e per rappresentarle al meglio ricorrono all’osservazione della luce e dei colori che inevitabilmente variano proprio a seconda della luce che li va ad illuminare. Se la luce poi varia, si muove, anche rapidamente…per il pittore impressionista è davvero il massimo.

Ma perché tutto questo? Perché ormai la fotografia è arrivata e ha cambiato tutto nel mondo dell’arte! I pittori si ritrovano ad avere come concorrente diretto della pittura uno strumento meccanico certo molto diverso dalle macchine fotografiche cui noi oggi siamo abituati eh…ma sicuramente molto più rapido e fedele di un dipinto. Il pittore impressionista quindi cerca di andare oltre alla fotografia (anche senza demonizzarla eh, molti pittori dell’epoca useranno le fotografie come basi per i loro lavori, ma appunto proponendo ciò che le immagini dell’epoca non potevano fare. Del resto erano fotografie in bianco e nero, con tempi lunghi di esposizione che spesso causavano una fotografia mossa con risultati quindi molto rigidi e poco emozionanti…quello che invece riuscivano a fare i pittori!) ed ecco quindi che Monet inizia a dipingere il vento che muove le foglie sugli alberi e i fili d’erba nei prati…

 

Dipinge l’acqua che scorre nella Senna o il mare mosso che lambisce le rocce alla base delle  case nel dipartimento della Creuse. ma…Monet ama dipingere più volte lo stesso soggetto proprio per poterlo rappresentare nei vari momenti del giorno con la luce che cambia i colori e modifica quasi forme e sensazioni

L’abbiamo già accennato ma ricordiamolo: la pittura di Monet e di tutti gli impressionisti che lavorano all’aria aperta, è possibile solo grazie ai nuovi pigmenti sintetici appena apparsi sul mercato. Pratici e in tubetto, certo, ma anche molto più saturi dei pigmenti tradizionali. La palette di Monet cambia con il tempo e con la tecnica: dal 1860 rinuncia al nero e ai colori scuri come il blu di Prussia, pian piano eliminerà anche il giallo di cromo e il verde smeraldo perché erano poco stabili e tendevano a cambiare troppo con il passare del temp. L’arancio cadmio ad esempio, è stato inventato solo nel 1820 ma si diffuse tardi perché era troppo costoso, puro è arancione ma mescolandolo si ottengono infinite sfumature di gialli e di verdi. Il Viola di cobalto chiaro si trova dal 1859, una novità assoluta per gli artisti che prima dovevano mischiare rosso e blu per ottenerlo e…non era certo una cosa semplice! Monet lo usa parecchio e di questo colore disse: «Ho finalmente scoperto il vero colore dell’atmosfera, è violetto. L’aria fresca è violetta. Fra tre anni tutti lavoreranno con il violetto».

A Londra dove soggiornerà per tre volte tra il 1899 e il 1901 Monet sperimenta un po’ di tutto. Paesaggi spettrali generati dalla nebbiolina del Tamigi e la nebbia, cari miei, fa perdere la testa a Monet: impalpabile, difficilissima da rappresentare…è però importantissima per gli studi del pittore sulla, luce e il colore che con la nebbia variano in maniere incredibili

E con le vedute del Parlamento inglese, dipinte in momenti e soggiorni differenti, inizia una nuova fase di ricerca. Il soggetto diventa solo un pretesto da cui partire per le serie di dipinti tutti uguali…eppure tutti così pazzescamente diversi.

Nel frattempo aveva scelta di tornare alla vita cittadina di una Parigi che rappresentava la metropoli  con fabbriche, stazioni e moderni mezzi di locomozione, luoghi ai quali dedicò parecchi dei suoi studi

Nel 1890 Monet, finalmente raggiunge una tranquillità economica, dopo che per anni e anni era vissuto al limite della povertà (spesso lo aveva aiutato economicamente l’amico e collega Caillebotte). Acquista quindi un casolare a Giverny per dedicarsi al giardinaggio per realizzare così un parco ornamentale intorno alla casa. Rose, gelsomini, narcisi e…uno stagno con ninfee bianche e rosa. Un ottimo spunto per dipingere sì all’aria aperta…ma con tutte le comodità d’essere a casa.

Le ninfee sono una scusa, un pretesto per analizzare la luce nel suo variare a seconda delle ore e anche per mostrare al mondo come procedeva in questo studio: «per ore», esponendo quindi poi questa serie di dipinti alla galleria Durand-Ruel con la mostra intitolata «Le ninfee, serie di paesaggi d’acqua» che fu molto apprezzata da pubblico e critica.

E qui dobbiamo fare necessariamente un piccolo passo indietro e ricordare il legame strettissimo tra Monet  e l’arte orientale. L’arte orientale era rimasta chiusa entro i suoi confini tranne  sporadici e timidi contatti fino ad esplodere con l’Esposizione Universale di Parigi del 1867  e anche oltre. Le opere del mondo fluttuante, ukiyo-e, stampe che in patria erano diffusissime, spesso venivano poi riciclate come imballaggi per proteggere le pregiate ceramiche destinate all’esportazione. Ed ecco quindi che in Francia arrivarono proprio in questo modo, nel 1856, i lavori di Hokusai, Utamaro e altri. L’artista Bracquemonde che riconobbe in quegli imballaggi immagini ben più preziose, iniziò a diffonderle e a parlarne in giro decretandone così un incredibile successo.

 

Monet ritrae sua moglie Camille, in posa con ventaglio e kimono rosso con stampato, sulla stoffa, un samurai che sembra quasi avere vita propria. E il Giappone torna nei ritratti delle passeggiate dove le figure femminili si riparano dal sole così come le figure orientali si riparano dall’acqua nelle stesse identiche pose.

 

Ma il legame tra l’artista e l’arte giapponese lo troviamo anche  in qualche inquadratura di paesaggi che ricordano davvero tanto le stampe orientali.

L’oriente lo ritroviamo anche nelle composizioni spesso asimmetriche, elegantissime e  nella scelta dei fiori come soggetti, come gli Iris che ricoprivano realmente lo stagno di Givergny, i preferiti da Monet erano proprio i giaggioli dai petali viola-blu e questa è una delle nove tel  dedicate a questo tema. Il soggetto è libero dalla prospettiva tradizionale, sulla destra la tela è lasciata volutamente incompleta e parte sicuramente dalle stampe giapponesi per arrivare poi ad uno stile autonomo.

Nel 1893 Monet si fa allestire in giardino il suo personale ponte giapponese nel laghetto con le ninfee, all’inizio un ponticello semplice, ma nei dieci anni successivi aggiungerà i glicini dalle fioriture alternate. Ora il ponte non unisce più solo le due sponde del lago ma è anche perfetto scenario per rappresentare e studiare la luce, tanto che diventerà il soggetto principale di 47 opere, tutte con lo stesso identico titolo. Le prime avranno uno stile ancora realistico, il ponte è riconoscibile al centro della composizione ombreggiato dalle foglie che si riflettono sull’acqua

Verso i 70 anni, nel 1908, Monet però inizia ad avere grossi problemi di vista. Le ore di lavoro si riducono durante il giorno limitandosi alle ore più luminose e indossando un ampio cappello di paglia per proteggere gli occhi da quella luce indispensabile al lavoro dell’artista ma quasi dolorosa. La cataratta è nemica diretta del famoso occhio di Monet, lo sguardo sensibilissimo verso  tutti i colori che lo circondano…un occhio che inizia a tradire l’artista ma che getta le basi per la pittura di tutto il novecento e anticipando l’arte astratta

I colori cambiano, i dettagli si perdono, la percezione delle distanze diventa molto meno affidabile. Le opere testimoniano questo cambiamento, ormai è quasi cieco! Ma a 83 anni Monet si fa operare all’occhio destro e riconquista la vista, anche se ovviamente non del tutto. E dalle forme sfaldate prima, dalla cataratta e poi dalla visione trasformata dalla luce, arriva fino a forme che non ricordano, se non molto vagamente, il soggetto da cui era partito… come ad esempio nella serie del Salice piangente che si trasforma via via in linee di colore astratto.

Ormai il Monet impressionista è stato sorpassato dal Monet che, anziano, risulta modernissimo e nelle varie serie che realizza mette bene in evidenza l’evoluzione della forma: il passaggio dalla precisione dell’arte giapponese, allo studio delle luci, delle forme che si sfaldano e cambiano…fino al problema  delle ombre, argomento discusso tra i pittori suoi contemporanei. Nelle opere di Monet le ombre non sono mai nere ma sempre colorate, soprattutto di violetto e di blu per le ombre create dal sole mentre sono in verde per le ombre della luce al tramonto

GUGGENHEIM La collezione Thannhauser. Da Van Gogh a Picasso

GUGGENHEIM La collezione Thannhauser. Da Van Gogh a Picasso

GUGGENHEIM
La collezione Thannhauser. Da Van Gogh a Picasso…a Palazzo Reale a Milano!

Immaginate una famiglia di ricchi collezionisti ebrei che dalla fine del Novecento si fa notare tra i maggiori mercanti d’arte per la spiccata passione per l’arte di avanguardia.

Immaginate come poteva essere casa loro…anzi no, non serve immaginarla, una serie di fotografie in mostra ci fanno realmente capire cosa significa l’incontro tra una donazione privata, questa dei Thannhauser e un museo come il Guggenheim. Opere che finiscono direttamente in mostra in un museo…passando dal salotto buono!

Le cinquanta opere esposte coprono praticamente un secolo di storia dell’arte  partendo cronologicamente dalle opere impressioniste e post impressioniste degli artisti più famosi come Cézanne, Seurat e Renoir. Renoir che qui ci presenta Lise Tréhot, modella ma anche compagna dello stesso Renoir per ben sei anni. Qui non ancora impressionista ma quasi. La pennellata è delicata e la scena intima e quotidiana. Il pappagallino in gabbia quasi soffoca quanto la donna in questo ambiente dell’alta borghesia effettivamente un po’ troppo ricolmo di decorazioni, suppellettili e la stessa veste, scomoda, pesante ed opprimente. Ma guardate bene i colori e il gioco di sguardi: c’è proprio un filo sottile che collega questo pappagallino variopinto alla donna che ha nelle pieghe del vestito un richiamo diretto alle piume e nel colore dell’orecchino…lo stesso identico colore delle sbarre della gabbietta. Le donne all’epoca effettivamente non vivevano certo in massima libertà come gli uomini…erano ingabbiate proprio come gli uccellini!

Di Manet vediamo due donne, differenti eppure accomunate dalla stessa pennellata imprecisa eppure così chiara nel definire forme e colori.

Della figura femminile Davanti allo specchio vediamo bene solo la schiena, nuda, il corsetto allargato che permette appena il respiro. lo specchio non ci mostra il suo volto che possiamo solo immaginare…Ma noi siamo lì dentro con lei, lo spettatore fa parte quasi del dipinto, lei sa che di non essere sola, ecco perché porta indietro quel braccio e, quasi, ci sfiora. La donna con il vestito a righe invece ci guarda serena. L’opera tra l’altro è stata ritrovata incompleta nella soffitta dell’artista ed è stata sicuramente completata, nello sfondo, da altre mani (ci sono addirittura delle fotografie dell’epoca come prova del suo essere incompleta…ma per vendere bene un quadro è meglio sia tutto colorato no?!) E quindi la figura femminile e il suo vestito, originariamente pare essere stato addirittura descritto come “violetto”, oltre al completamento forzato hanno subito anche una bella verniciatura lucida e, nelle intenzioni, protettiva che ingiallendo negli anni…aveva reso addirittura il vestito verde! Appena prima della mostra l’opera è stata restaurata completamente tornando, si spera, ai colori originari…quelle righe blu notte che tanto andavano di moda in questi abiti elegantissimi dal corsetto che levava il fiato!

Dalle opere impressioniste si arriva poi ai paesaggi, qui nemmeno poi troppo esotici, di Gauguin che forse confonde la lingua tahitiana e sceglie come titolo la traduzione di “vieni qui” per un dipinto bucolico con palme e maiali in primo piano. I paesaggi di Van Gogh sono contorti  e sofferti così come probabilmente era la visione del mondo che aveva l’artista in quel momento in cui, proprio a Saint Rémy, era ricoverato nel manicomio psichiatrico e vedeva nella pittura en plein  air una forma di terapia.  E si rimane  poi stupiti di fronte ad un Monet che a Venezia ripensa sicuramente al Canaletto ma che preferisce cogliere l’atmosfera della laguna veneziana più che i particolari dei palazzi riflessi nei canali.

I Paesaggi cittadini che sceglie di rappresentare il giovane Picasso appena arrivato a Parigi per l’Exposition Universelle, nell’ottobre del 1900, sono movimentati come lo doveva essere il giorno della festa per la presa della Bastiglia o come le scene della famosa sala da ballo di Montmartre dove l’artista rappresenta una scena notturna un po’ decadente animata da ricchi, giovani della borghesia francese e prostitute, ben riconoscibili nel lato a sinistra dell’opera, grazie a quel trucco così marcato. Il taglio dell’opera è fotografico, e proprio di taglio dobbiamo parlare visto e considerato che i personaggi laterali sono proprio, almeno in parte, fuori dalla scena dipinta, così da far avvicinare il più possibile lo spettatore a questa atmosfera parigina…

Si arriva poi all’espressionismo che trasforma i paesaggi cercando la rappresentazione delle sensazioni e delle emozioni più che la rappresentazione realistica della natura… e abbiamo così un Braque che nei pressi di Anversa dipinge con colori improbabili il porto nelle Fiandre. Del resto anche i fondatori del Cavaliere Azzurro,  Kandinsky e Marc, ricercano il potenziale espressivo del colore e le associazioni simboliche per immaginare  un futuro migliore proprio attraverso l’arte. La montagna diventa blu, blu come il Cavaliere del loro sogno utopistico mentre la mucca, giallissima addirittura con macchie blu,  è leggiadra come se fosse una ballerina di Degas!

Ai Thannhauser piaceva sostenere gli artisti  emergenti fin dagli anni precedenti la Grande Guerra ma dagli anni ’30, causa crisi economica internazionale prima e per l’ascesa del nazismo poi, sono costretti a chiudere la Galleria di Berlino trasferendosi a Parigi e poi a New York. In America la residenza Thannhauser diventa un punto di incontro per personalità di spicco dell’epoca del mondo dell’arte, certo, ma anche della musica, del teatro e del cinema: Bernstein, Duchamp, Toscanini e Picasso…Tutti presenti in questo salotto che era anche fucina di idee e sponsorizzazione per i tanti grandi nomi all’inizio della loro carriera. Ed ecco i primi accenni dell’arte cubista quando Picasso lavora fianco a fianco con Braque nei Pirenei Francesi, i toni di grigio e marrone formano i piani delle case che si incastrano tra loro caratterizzati dalla molteplicità di punti di vista contemporanei. Anche Delaunay sceglie come soggetto le città e ne fa addirittura una serie di otto dipinti, in mostra ne possiamo vedere uno, caratterizzato dalle pennellate a quadrettini regolari e dai tocchi di colore vivace, rossi e verdi che risaltano sul bianco e sul grigio dello sfondo.

Non mancano comunque le classiche nature morte, anche queste che vanno variando man mano che passa il tempo e varia lo stile artistico…

Ma in mostra troviamo anche Rousseau il Doganiere, Gris, Picabia, Matisse e Klee…

Milano, Palazzo Reale, dal 17 ottobre 2019 al 1 marzo 2020

De Chirico a Palazzo Reale a Milano

De Chirico a Palazzo Reale a Milano

A Palazzo Reale a Milano dal  25 settembre 2019 al 19 gennaio 2020 scopriamo De Chirico!

  • Se non avete voglia di leggere…ecco il link diretto al video ma vi avviso: nell’articolo c’è parecchio di più! 😉

Le opere sono tantissime e arrivano da ogni parte del mondo. Ma dovevano essere qui, tutte insieme, affiancate una all’altra proprio per mostrarci il mondo di De Chirico. Un mondo immaginario, un mondo metafisico, atmosfere fatte di silenzi e personaggi muti. Qui parlano solo i colori.

L’allestimento stesso della mostra si rifà alla pittura di questo artista che in fondo dipingeva cose molto normali e quotidiane, senza orpelli strani eppure riusciva a creare mondi fantastici seppur con oggetti comuni e riconoscibili (ed ecco spiegati i pavimenti del museo lasciati a vista – stranamente non ricoperti da moquette- e le quinte prospettiche spesso proprio con le finestre tagliate di scorcio tanto care alle prospettive allucinate di De Chirico).

Giorgio De chirico vive in una costante condizione di sradicamento: geografico ma anche famigliare ed emotivo.  Nato in Grecia da genitori italiani (ingegnere il padre, baronessa la madre), tornerà poi a vivere e a studiare in Italia e in Germania. Le sue opere e la stessa esposizione, ruotano attorno a lui e ai suoi autoritratti (tanti, bellissimi e spesso molto ironici). I suoi mondi sono le piazze che lo hanno reso famoso e i tagli prospettici che mettono in evidenza i personaggi, spesso ridotti a manichini, rappresentati con colori accesi…sono i colori caldi del mediterraneo che lo accompagnano sempre.

Il Centauro morente, probabilmente realizzato a Milano, accoglie i visitatori della mostra. Sta soffrendo mentre il suo assassino si allontana. Sembra la scena di un film (e spesso le opere di De Chirico anticipano scene del cinema). Forse la morte del centauro rappresenta la morte del padre nel 1905 cui seguirà il cambiamento radicale della vita di tutta la famiglia che lascerà la Grecia per far ritorno in Italia.

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Centauro morente 1909

Gli autoritratti

De Chirico era decisamente un po’ narcisista…i suoi autoritratti sono parecchi, diversi tra loro eppure uniti nel mostrarci quest’uomo a trecentosessanta gradi. Nell’autoritratto del 1911 riprende la posa di una famosa fotografia che ritrae il filosofo tedesco Nietzsche, con il mento appoggiato ad una mano. Quasi contemporaneamente però l’artista decide di ritrarre sua madre, sullo sfondo una finestra che si apre su di un fondale, la realtà per De Chirico è questa, va tutta cercata nell’introspezione psicologica più che nella natura stessa. A 23 anni, nel 1912, l’artista si vede come un uomo del rinascimento, di profilo e  con uno sfondo con tanto di torrione alle spalle. I due ritratti poi diventano uno solo: l’artista e la madre, quasi un quadro nel quadro…la realtà sta già diventando meno definita…

Ma gli autoritratti sono tanti, sono a figura intera, riprendono solo il volto, sono in stile antico…Insomma qui De Chirico davvero si diverte!

Se per  quello nudo gli vien chiesto di ricoprirsi, si veste autonomamente da torero e poi da nobile del barocco. Si rappresenta in piena trasformazione da uomo a statua, giovane e anziano. Ma è sempre lui: l’artista irriverente che gioca a travertirsi mostrandoci ogni volta un nuovo lato di sè.

De Chirico è il pittore dell’architettura.

Che detto così par quasi un ossimoro…eppure… eppure a Torino, dove passa poco tempo tra il 1911 e il 1912 scopre l’architettura e gli spazi che avevano affascinato anche Nietzsche. e qui ha origine l’idea iconografica delle Piazze d’Italia. Paesaggi chiusi e ben definiti da forme geometriche come rettangoli di finestre, scorci che acquistano un valore metafisico proprio perché isolati dallo spazio circostante. Sono scorci  urbani caratterizzati dall’assenza di abitanti e quindi, anche per questo, hanno sempre un’aria vagamente inquietante dove il tempo è sospeso e sembra quasi di vivere quel momento che nei film precede il fattaccio! Fermi, muti, immobili…in silenzio: qui anche le ombre sono un vero enigma. Fateci caso, De Chirico ci ripropone spesso gli stessi soggetti: porticato, torre, treno in corsa. Colori pieni e ombre nette…tutti particolari presenti, ad esempio, nell’Ariadne, esposta nel 1913 nella mostra allestita autonomamente dallo stesso artista nel suo studio parigino. Probabilmente proprio queste forme così classiche eppure sempificate saranno tra le ispirazioni che porteranno al razionalismo italiano di epoca fascista che cercherà proprio di ricreare, nel mondo reale, questo mondo metafisico.

Ferrara

All’inizio della prima guerra mondiale i fratelli De Chirico, arruolatisi volontariamente,  vengono mandati a Ferrara, in fanteria. Qui De Chirico si trova con il fratello Andrea (Savinio) nella città rinascimentale per eccellenza. E’ la città di Ercole d’Este, è la corte che accolse artisti visionari come Ercole de Roberti e Cosme Tura…ma anche il Savonarola! Si narra che sia identificata come la città della pazzia (causata, non lo immaginavo proprio, dalla coltivazione intensiva di canapa!). De Chirico, inutile dirlo, qui si sente a casa e passerà parecchio tempo proprio nell’ospedale per malattie nervose. Anche qui sceglie soggetti quotidiani che però grazie a scorci prospettici improbabili e a ombre impossibili, tra squadre e scatole e biscotti…anticipano il surrealismo. I biscotti sembrano appesi al vassoio che diventa praticamente una piazza dove troviamo enormi squadre. I colori sono artificiali e son proprio quelli dei pittori quattrocenteschi che De Chirico sta sicuramente ammirando a Ferrara. L’amico lontano cui accenna nell’altra opera è probabilmente Paul Guillaume, il suo gallerista parigino ed ecco forse spiegata la scelta di esaltare proprio i colori della bandiera francese: bianco, rosso e blu! La natura morta con il pane a quattro corna e il crumiro invece è un chiaro riferimento alla quotidianità italiana mentre al centro c’è proprio un occhio con valenza sciamanica, un occhio enorme a raffigurare il pensiero dell’artista che avrebbe proprio detto: “bisogna scoprire l’occhio in ogni cosa”. L’interno metafisico con faro invece incastra un paesaggio genovese (città d’origine della madre) su di una struttura fatta di cavalletti. Fateci caso…sono sempre dipinti claustrofobici quelli di questo periodo, lo spazio è pieno e lo sguardo deve necessariamente seguire un percorso ben definito.

I manichini

Dal 1917 gli spazi vuoti dei mondi metafisici di De Chirico iniziano ad animarsi…sì ma non di persone bensì  di manichini! Manichini in legno, senza volti, son proprio quelli che si utilizzano in sartoria…anche in questo caso quindi sono oggetti abbastanza comuni, tecnicamente normali ma che decontestualizzati assumono ben altre inquietanti forme. Pare che l’idea di questo soggetto, privo di emozioni,  Giorgio De Chirico l’abbia presa dall’opera scritta dal fratello Savinio, Chants de mi mort, dove il protagonista era un uomo senza volto. La figura di Orfeo, molto cara all’artista, torna qui nelle vesti stanche. L’eroe mitologico che con il bel canto ammansisce le bestie qui invece si mostra stanco…ha deposto tutti gli strumenti e siede un po’ sbracato su di un blocco di pietra. Nell’archeologo il manichino è più umano, la posa è morbida e il richiamo al classicismo è evidente nelle rovine romane incastrate nel corpo stesso del manichino. L’archeologo è in pratica un po’ l’artista stesso, con i propri studie le sue memorie…uno scavo nel proprio essere insomma.

Le muse inquietanti sono il dipinto iconico con il quale viene più spesso ricordato De Chirico, ecco forse perché deciderà di replicarle più volte mettendo in pratica una prassi antica, già in uso nelle botteghe rinascimentali e che con il meccanismo della serialità ispirerà poi anche A. Warhol!

Gli abbracci

I manichini di De Chirico hanno comunque un cuore e possono amare anche senza volto e spesso pur essendo privi di braccia…e vederli mentre provano sentimenti è un vero spettacolo! Ed ecco quindi il figliol prodigo/manichino che abbraccia il  padre/statua sceso dal piedistallo per l’occasione. Colorato e un po’ traballante il primo, granitico e solido il secondo…paragonato forse alla saggezza dell’età che offre certezze e sicurezze. Ettore e Andromaca del 1923 sono gli amanti un po’ stile fumetto. L’abbraccio di lei, quasi una statua, mentre cerca di trattenere teatralmente l’amato che va, di fatto, a morire. Tutto inutile…Troia, sullo sfondo,  è già in fiamme e lo spettacolo deve continuare (la teatralità dei gesti e delle pose è sottolineata anche dalle tende ai lati, proprio quelle di un palcoscenico!). Come spesso sceglieva di fare De Chirico, un buon soggetto si può anche ripetere e quindi ecco Ettore e Andromaca,  sgargianti nei loro colori mentre si abbracciano (solo un anno dopo). Lui formato da un assemblaggio di squadre e figure geometriche mentre lei è creata dal panneggio che ricorda la pittura di Raffaello. Le mura lì vicino son quelle di Troia e in quest’opera, come spesso accade, diventano quinte prospettiche che chiudono l’orizzonte.

 

Il Trittico

Il filosofo del trittico ha la testa da manichino e il corpo che si sta trasformando in statua di pietra. Le gambe sproporzionatamente corte mentre i pensieri hanno origine dalla pancia: calco, lira, colonna, libro…in evidenza il motto “sono quello che sono”.

Gladiatori e trofei

Le scene iniziano a riempirsi di strani personaggi…dai gladiatori, alla scuola dove imparano a combattere, al luogo dove vengono creati i loro trofei. I gladiatori lottano rimanendo immobili, rigidi come sculture, muti come statue. Non c’è violenza, del resto…in una stanza così piccola c’è poco da scannarsi. I tre creatori di trofei assemblano un po’ alla rinfusa simboli e oggetti arrivando così fino al soffitto. Bauli, cavalli e castelli sono oggetti comuni che qui assumono un differente significato e una diversa collocazione.

I cavalli

I cavalli di De Chirico sono spesso in coppia. trottano al chiuso ma anche all’aperto. Sono quasi monocromatici al fianco di rovine classiche oppure sono colorati e perfettamente isneirti in una piazza. Quando però finiscono in una piccola camera…è subito Surrealismo!

I bagni misteriosi

Questa seria è una di quelle più famose realizzate dall’artista. Personaggi nudi e personaggi vestiti, piscine che diventano canali… Pare che l’origine delo tema sia un ricordo infantile di De Chirico, quasi un pensiero ossessivo che vedeva nella scaletta di legno degli stabilimenti balneari un momento di sgomento perchè finiva in acqua e praticamente svaniva… Nella Quadriennale del 1935 i Bagni Misteriosi furono tra le opere maggiormente apprezzate per questa vena surreale eppure ancora metafisica. I bagni diventano un momento di assurdità visiva, le figure nuotano anche nell’acqua-parquet e sullo sfondo queste cabine con le finestre forate sono come piccole teste mascherate che osservano…e si torna al mistero. In mostra anche il modellino realizzato per la Fontana, reale, che si trova ancora oggi a Milano al parco sempione, recentemente restaurata.

 

E qui di seguito una carrellata di altre opere in mostra, a partire da classiche nature morte, a volte perfettamente barocche, a paesaggi con evidenti richiami a stili del passato (una veduta di Venezia pare realizzata da Canaletto!)!

 

Antonello da Messina…a Milano!

Antonello da Messina…a Milano!

ANTONELLO DA MESSINA…a Milano!

PALAZZO REALE  21 Febbraio – 2 Giugno, 2019

Antonello da Messina è un artista misterioso…nel senso che di lui si sa davvero poco, pochissimo.

Ottant’anni dopo la sua morte si eran già perse le sue tracce. Anche Giorgio Vasari, nelle sue Vite, raccontò con un po’ di fantasia la vita di questo artista siciliano che dipingeva come un fiammingo con un tocco tutto italiano!

Poi si entra davvero nel sentito dire: pare che Giovanni Bellini, artista altrettanto famoso, con uno stratagemma si fece ritrarre da Antonello solo per carpirgli i segreti di quella sua tecnica ancora poco utilizzata in Italia (pare intingesse il pennello nell’olio di lino prima di usare il colore! )

ed ecco quindi che la mostra inizia con un’opera di Roberto Venturi che ci illustra proprio questo aneddoto.

Roberto Venturi, Giovanni Bellini apprende i segreti della pittura ad olio spiando Antonello, 1870

Nel 1860 però troviamo, proprio in Sicilia, in un viaggio alla ricerca di notizie e opere,  lo storico dell’arte Giovanni Battista Cavalcaselle. Cavalcaselle, veneziano che partecipò anche ai moti insurrezionali del Lombardo-Veneto, uomo avventuroso che scapperà a Londra per evitare la fucilazione, conoscerà Mazzini e diventerà amico di sir Charles Eastlake, direttore della National Gallery. Cavalcaselle  si appassionerà all’arte e alla vita di Antonello e inizierà davvero a fare una ricerca accurata proprio osservando le varie opere (alcune non ancora riconosciute, altre erroneamente attribuite ad Antonello).

In mostra, accanto ai dipinti di Antonello da Messina, possiamo vedere anche molti schizzi, studi, commenti, appunti…proprio di Cavalcaselle che, spesso con pochi tratti, mette in evidenza particolari che magari ci sarebbero anche potuti sfuggire!

Scopriamo così che Antonello da Messina è morto attorno ai 49 anni, a Messina ed era figlio di un maczonus, un artigiano che realizzava opere in pietra ma aveva un nonno di una certa importanza: un dominus et patronus di brigantino!

Scopriamo anche che Antonello da Messina quasi…sfiorò Milano!

Grazie ad una lettera dell’epoca, che il segretario del Duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, Cicco Simonetta, scrisse a Leonardo Botta, oratore a Venezia, veniamo a sapere che cercò di far arrivare il “pictore ceciliano” a lavorare alla corte milanese. Purtroppo nella lettera in risposta si parla di un lavoro da terminare, ma cosa di pochi giorni, dopodichè “il solennissimo depentore” sarà libero di viaggiare verso Milano. Ma Galeazzo viene ucciso proprio nel 1476 e non vedremo mai Antonello a Milano!

Antonello da Messina è un caso unico nel panorama artistico italiano quattrocentesco: usa i colori ad olio come solo i fiamminghi sapevano fare, unendo però la visione, tutta italiana, dello spazio, delle forme e soprattutto della realtà, anche psicologica, non solo estetica.

E diventa immenso nei ritratti! Ricordiamoci che in questo periodo i ritratti sono la diretta derivazione dei ritratti sulle monete romane, gli imperatori sono sempre ritratti di profilo, quindi se vuoi ben apparire…ti fai fare un ritratto di profilo.

Ma Antonello fa girare il volto  alle persone che ritrae, di poco magari…ma arriva sempre a ritratti di tre quarti, lo sguardo del personaggio però è diretto, in qualche caso, vi giuro, sembra quasi seguire lo spettatore!

Gli sfondi sono neri (tranne in un caso), i colori sono decisi ma caldi e realistici, spesso il copricapo è simile. L’attenzione ai particolari è impressionante, quasi fotografica (avvicinandosi al ritratto Trivulzio, mentre questo signore sogghigna guardandoci tanto intenti ad osservarlo, potremo vedere la ricrescita irregolare della sua barba, mentre nella figura conosciuta come “marinaio”, vien quasi voglia di contare i punti del cucito che fissano le asole dei bottoni del suo vestito!). Ma una cosa caratterizza tutti questi volti: lo sguardo e il sorriso appena accennato. Sembrano quasi avere un segreto nascosto…noi non possiamo ridere con loro perché non sappiamo.

Ma loro sanno…oh se sanno…e a volte fan quasi fatica a trattenersi dal…riderci in faccia!

I due capolavori più famosi di Antonello da Messina van guardati davvero con attenzione…anche perché, ricordiamocelo: si tratta sempre di opere decisamente piccole!

Nel San Girolamo nello studio, l’artista sceglie di mostrarci il santo nel suo studio (era stato anche un eremita nel deserto prima d’esser studioso ma nel rinascimento la sua rappresentazione come uomo di scienza e cultura era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire!)

Ed ecco quindi un ambiente immenso, prospetticamente ben definito, con tanto di maioliche colorate in terra, due scorci prospettici laterali che proseguono in altrettante aperture verso l’esterno. L’architettura aragonese è tipica dell’ambiente siciliano, la cura per il particolare è tutta fiamminga, e i particolari da interpretare son degni di Sherlock Holmes. Lo studio in legno, rialzato, è quasi una moderna opera di design: il piano d’appoggio è inclinato, perfetto per scriverci sopra. I libri sulle mensole sono quasi riconoscibili, così come i foglietti appoggiati lì intorno. Il gatto e i vasi in ceramica danno un’aria casalinga alla scena…ma un leone sulla sinistra si fa avanti, seppur non minaccioso (ricordiamoci che la tradizione vede San Girolamo che salva un leone curandogli una zampa e la bestia, dicono, si affezionò al santo tanto da seguirlo ovunque stile appunto…cane di casa!). Nella parte alta della stanza, attraverso le finestre gotiche, si intravedono uccellini che svolazzano e sembrano quasi cinguettare. In primissimo piano, molto più vicini allo spettatore, vediamo un pavone e una pernice con vicino una ciotola di acqua. Il pavone è, fin dall’arte paleocristiana, simbolo del paradiso, così come l’acqua fa subito pensare alla fonte della vita, sempre con significato religioso, mentre la pernice allude probabilmente alla fedeltà a Cristo. Volendo però fare i pignoli…si  potrebbero anche vedere questi animali come simboli negativi: il pavone è vanitoso e nell’acqua ci si specchia…e infatti Antonello li posiziona fuori dalla cornice architettonica e quindi ben lontani dal santo.

Nella scena dell’Annunciata vediamo una vera rivoluzione!

Fino a questo momento la scena dell’annunciazione prevedeva la Madonna e un angelo, con tanto di ali, spesso coloratissime e scenografiche…un ambiente ben definito, spesso elegantissimo, oro a profusione a simboleggiare il paradiso…

e invece Antonello leva tutto: lascia solo lei, la Madonna, ritratta come una semplice ragazza, probabilmente siciliana. In testa un velo (azzurro, va bene rivoluzionare ma a tutto c’è un limite!), un velo che ha ancora la piega di quando è stato messo via, forse in una cassapanca. Le mani sono l’unica parte di lei che si vede, oltre al volto, di tre quarti. Una mano stringe il velo, che stia ben chiuso, percarità! l’altra, seppur prospetticamente meno riuscita, fa un cenno…quasi a voler fermare l’annuncio dell’angelo.

Ah sì…ma quale angelo!? Ci avete fatto caso? in pratica l’angelo…siamo noi. L’angelo è esattamente nel punto in cui si trova lo spettatore esterno, involontariamente catapultato a far parte di una scena sacra e con un compito…di tutto rispetto!

Anche in questo caso il fondo è nero…ma lo spazio a ben vedere c’è: quel leggio, con sopra un libro aperto, la pagina che si volta al soffio di vento (saran state le ali dell’angelo…chissà), quel leggio perfettamente in prospettiva in pratica è l’unica cosa misurabile di tutta la scena, ma evidentemente basta e avanza.

Antonello da Messina, Annunciata, 1475-1476

Antonello da Messina e i soggetti religiosi

Nel polittico il gusto per il dettaglio, tutto fiammingo, è evidentissimo nel manto della madonna: blu e decorato con piccoli draghi d’oro!

Il piccolissimo Cristo in pietà, un quadrettino microscopico, dipinto su entrambi i lati, permette comunque ad Antonello di dipingere particolari minutissimi, eppure molto ben definiti.

Nel Cristo sorretto da tre angeli i volti sono stati irrimediabilmente distrutti da un restauro mal riuscito eppure il corpo, accasciato e sofferente, ha un realismo che fa quasi dimenticare la mancanza del volto.

Il Cristo alla Colonna soffre, ha sofferto e sa già che soffrirà ancora. Lo sguardo sembra quasi chiedere a te, spettatore, di fare qualcosa, la mimica della bocca è tristissima, quasi esasperata.

Nella Madonna Benson, rimaneggiata, restaurata, realizzata forse assieme al figlio Jacobello, Antonello ci mostra una Madonna molto reale e affettuosa, con un Bambino che abbraccia la madre pur non perdendo di vista…lo spettatore!

Nella Crocifissione di Sibiu la scena compositiva è quella classica: Cristo in mezzo ai due ladroni, uno arreso al proprio destino, l’altro che invece prova forse ancora a resistere e, gonfiando il petto, cerca  di liberarsi dalla corda che lo imprigiona. Le figure ai piedi delle croci sono le solite riconoscibili, la Madonna e San Giovanni e le chiare allusioni alla morte: quel teschio in evidenza non promette bene…

Lo sfondo rappresenta il porto di Messina e pare sia davvero una rappresentazione accuratissima, con la forma a falce ben riconoscibile e  decisamente affidabile dell’ambiente messinese che probabilmente aveva davanti agli occhi Antonello!

La mostra si chiude con un’opera della continuità famigliare: Jacobello, il figlio di Antonello e la sua Madonna con Bambino

Gli insegnamenti del padre sono passati al figlio. La lezione è stata ben imparata. Lo sfondo non è nero, quella è caratteristica di Antonello, ma la posizione dei volti, gli sguardi, i colori e i tanti, minuti,  particolari…ne sono la prova!

Jacobello di Antonello da Messina, Madonna con Bambino, 1480

ORARI

  • Lunedì: 14:30 – 19:30 (9.00 – 14.30 solo scuole)
  • Martedì – Mercoledì – Venerdì – Domenica: 09:30 – 19:30
  • Giovedì e Sabato: 09:30 – 22:30

La biglietteria chiude un’ora prima

 

BIGLIETTI

  • Intero: € 14 (prevendita € 2)
    Tutti gli individuali
  • Ridotto: € 12 (prevendita € 2)
  • Ridotto famiglia: € 10 + 6 (prevendita € 1)
    1 o 2 adulti + ragazzi dai 6 ai 14 anni

Mostra DENTRO CARAVAGGIO Palazzo Reale Milano 2017

Mostra DENTRO CARAVAGGIO a Palazzo Reale, Milano.

La mostra è davvero particolare. Va infatti vista “fronte/retro” perché ogni opera ha un lato nascosto da sbirciare.

Il retro dei pannelli, allestiti con schermi, mostrano le varie indagini diagnostiche.

Scopriremo così ripensamenti, prove di progettazione e misure prese direttamente incidendo il fondo bruno sul quale poi l’artista dipingerà “a risparmio” lasciando cioè a vista il fondo!

Cosa aggiunge tutto questo studio tecnologico alla meraviglia che ci offre Caravaggio? Personalmente non ho le idee chiare a riguardo, mi riservo di meditarci ancora un po’…

Intanto godetevi la mostra che merita davvero (informazioni di servizio in fondo alla pagina).

PRESENTAZIONE E BIOGRAFIA DI CARAVAGGIO

Piccola audioguida che segue il percorso della mostra

Giuditta e Oloferne, olio su tela, 145x195cm, 1602. In prestito dalla Galleria Barberini, Roma
Giuditta e Oloferne, olio su tela, 145x195cm, 1602. In prestito dalla Galleria Barberini, Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

Maddalena penitente, olio su tela, 122,5x98,5cm, 1595 circa. In prestito dalla Galleria Doria Pamphilj di Roma
Maddalena penitente, olio su tela, 122,5×98,5cm, 1595 circa. In prestito dalla Galleria Doria Pamphilj di Roma

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riposo durante la fuga in Egitto, olio su tela, 135,5x166,5 cm, 1595 circa. In prestito dalla Galleria Doria Pamphilj, Roma
Riposo durante la fuga in Egitto, olio su tela, 135,5×166,5 cm, 1595 circa. In prestito dalla Galleria Doria Pamphilj, Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

Buona Ventura, olio su tela, 115x150 cm, 1593. In prestito dalla Pinacoteca Capitolina di Roma
Buona Ventura, olio su tela, 115×150 cm, 1593. In prestito dalla Pinacoteca Capitolina di Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

Ragazzo morso da un ramarro, olio su tela 65,8 x 52,3. 1595 circa, in prestito dalla Fondazione Longhi di Firenze
Ragazzo morso da un ramarro, olio su tela 65,8 x 52,3. 1595 circa, in prestito dalla Fondazione Longhi di Firenze

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

San Francesco in estasi, olio su tela 128,4x92,5 cm, 1595. In prestito dal museo Wadsworth Atheneum ad Hartford (Connecticut)
San Francesco in estasi, olio su tela 128,4×92,5 cm, 1595. In prestito dal museo Wadsworth Atheneum ad Hartford (Connecticut)

 

 

 

 

 

 

 

 

Marta e Maria Maddalena, olio su tela, 100x134,5cm, 1598. in prestito dal Museo Institute of Arts, Detroit
Marta e Maria Maddalena, olio su tela, 100×134,5cm, 1598. in prestito dal Museo Institute of Arts, Detroit

 

 

 

 

 

 

 

Sacrificio di Isacco, olio su tela, 104x135 cm, 1603. In prestito dalla Galleria degli Uffizi di Firenze
Sacrificio di Isacco, olio su tela, 104×135 cm, 1603. In prestito dalla Galleria degli Uffizi di Firenze

 

 

 

 

 

 

 

 

Sacra Famiglia con San Giovannino, olio su tela 116x94 cm, 1605 circa. In prestito dal Metropolitan Museum di New York
Sacra Famiglia con San Giovannino, olio su tela 116×94 cm, 1605 circa. In prestito dal Metropolitan Museum di New York

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

San Giovanni Battista, olio su tela, 173x133 cm, 1604. In prestito dal Museo Nelson-Atkins, Kansas City
San Giovanni Battista, olio su tela, 173×133 cm, 1604. In prestito dal Museo Nelson-Atkins, Kansas City

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

San Giovanni Battista, olio su tela, 94x131cm, 1604 circa. In prestito dalla Galleria Corsini di Roma
San Giovanni Battista, olio su tela, 94x131cm, 1604 circa. In prestito dalla Galleria Corsini di Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

San Girolamo in meditazione, olio su tela, 118x81cm, 1605 circa. In prestito dal Monastero de Santa Maria, Montserrat
San Girolamo in meditazione, olio su tela, 118x81cm, 1605 circa. In prestito dal Monastero de Santa Maria, Montserrat

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Incoronazione di spine, olio su tela, 125x178cm, 1602/1603. In prestito dalla Collezione della Banca Popolare di Vicenza
Incoronazione di spine, olio su tela, 125x178cm, 1602/1603. In prestito dalla Collezione della Banca Popolare di Vicenza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

San Francesco in meditazione, olio su tela 130x90cm, 1605/1606. In prestito dal Museo Civico Ala Ponzone, Cremona
San Francesco in meditazione, olio su tela 130x90cm, 1605/1606. In prestito dal Museo Civico Ala Ponzone, Cremona

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Madonna dei Pellegrini, olio su tela, 260x150cm, 1604/1606. Basilica di Sant’Agostino, Roma
Madonna dei Pellegrini, olio su tela, 260x150cm, 1604/1606. Basilica di Sant’Agostino, Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

San Francesco in meditazione, olio su tela, 128x97cm, 1606 circa. In prestito dalla Galleria nazionale d’arte antica di palazzo Corsini, Roma
San Francesco in meditazione, olio su tela, 128x97cm, 1606 circa. In prestito dalla Galleria nazionale d’arte antica di palazzo Corsini, Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Flagellazione di Cristo, dipinto a olio su tela (286x213 cm) realizzato tra il 1607 ed il 1608. In prestito dal Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli.
Flagellazione di Cristo, dipinto a olio su tela (286×213 cm) realizzato tra il 1607 ed il 1608. In prestito dal Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritratto di Cavaliere di Malta, olio si tela, 118,5x95cm, 1608 circa. In prestito dalla Galleria Palatina di Firenze
Ritratto di Cavaliere di Malta, olio si tela, 118,5x95cm, 1608 circa. In prestito dalla Galleria Palatina di Firenze

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salomè con la testa del Battista, olio su tela, 91x106cm. In prestito dalla National Gallery di Londra
Salomè con la testa del Battista, olio su tela, 91x106cm. In prestito dalla National Gallery di Londra

 

 

 

 

 

 

 

 

Martirio di Sant'Orsola, olio su tela, 140,5 × 170,5 cm, 1610. In prestito da Palazzo Zevallos, Napoli.
Martirio di Sant’Orsola, olio su tela, 140,5 × 170,5 cm, 1610. In prestito da Palazzo Zevallos, Napoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

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INFORMAZIONI DI SERVIZIO:

LUOGO: Palazzo reale, Piano Nobile,  Milano, piazza Duomo

DURATA: 29 settembre- 28 gennaio 2018

ORARI:

  • Lunedì: 14.30 – 22.30
  • Martedì, Mercoledì e Domenica: 09.30 – 20.00
  • Giovedì, Venerdì e Sabato: 09.30 – 22.30

CONSIGLI: se possibile prenotate prima a questo numero: +39 02 92800375    Ci son stata una domenica mattina all’orario di apertura e ho fatto una discreta coda per entrare.

Il biglietto di ingresso della mostra Dentro Caravaggio darà diritto dal 30 novembre all’8 aprile 2018 all’ingresso ridotto a 5 euro alla mostra L’ultimo Caravaggio. Eredi e nuovi maestri presso le Gallerie d’Italia – Piazza Scala 

L’opera “Martirio di Sant’Orsola”  (proprietà Intesa Sanpaolo) verrà ritirata dalla mostra il 27 novembre, mentre l’opera “Giuditta che taglia la testa a Oloferne” (proprietà delle Gallerie Nazionali Barberini e Corsini) verrà ritirata il 10 dicembre.