Moroni, il ritratto del suo tempo.

Moroni, il ritratto del suo tempo.

Moroni

il ritratto del suo tempo

Gallerie d’Italia

Dal 6 Dicembre 2023 al 1 Aprile 2024

PIAZZA DELLA SCALA, MILANO

Più di cento opere per conoscere l’artista bergamasco, tra i maggiori interpreti della pittura rinascimentale lombarda,  immenso ma decisamente, da sempre, poco considerato. Pensate che il Vasari, sciagurato, non lo cita nemmeno!!! E invece…e invece ce lo possiamo godere in nove sezioni che partono cronologicamente dall’inizio del suo percorso, in bottega, fino al confronto con artisti suoi contemporanei come Lorenzo Lotto, Gerolamo Savoldo e Moretto, fino alla dialogo diretto con opere di Tiziano, Veronese e Tintoretto, così da oltrepassare i confini regionali

  • Il maestro di Moroni: Alessandro Bonvicino detto il Moretto

Giovanissimo, Moroni, frequenta quindi la bottega del Moretto, pittore bresciano che però lavora anche a Bergamo e Milano. E per imparare…si inizia proprio con il disegno. Al 1543 risalgono una serie di disegni che il Moroni realizza su foglietti di quaderno e copia le opere del suo maestro

  • Gli esempi di Lotto e Moretto

Se possiamo ricordare il Moroni per il suoi ritratti…va anche riconosciuta la fonte cui si è ispirato e la strada da cui è partito. Nei suoi primi esperimenti ha avuto come esempi i livelli altissimi di Lorenzo Lotto e del Moretto. Tra l’altro i due pittori erano anche amici tanto che quando Lotto lasciò Bergamo, dopo esserci rimasto per una decina di anni, in pratica passò i suoi committenti al suo amico, il pittore bresciano Moretto. Da Lotto deriva quella capacità di stabilire quasi un rapporto di confidenza con il soggetto ritratto, con un approccio anche un po’ disincantato…mentre dal Moretto prende gli schemi impaginativi che aiutano a concentrarsi sull’aspetto fisico dei modelli, sui loro volti e sugli sguardi.

Fateci caso…i ritratti di Moroni si allontano dall’idea che invece era molto in voga nel cinquecento: proporre ritratti somiglianti, sì certo, ma in pose eleganti, trovando le inquadrature migliori per rendere il soggetto al meglio, non solo dal punto di vista estetico idealizzandolo anche un po’. Lui si discosta da questo proprio in maniera anticonvenzionale proponendo ritratti al naturale, con l’aspetto reale che ci lascia intravedere anche la psicologia del personaggio ritratto. E…non si limita a personaggi importanti ma si interessa anche a persone di estrazione  sociale più umile.

  • Moroni a Trento

Trento verso la fine del 1545 ospita il Concilio ecumenico. Il principe vescovo della città all’epoca era Cristoforo Madruzzo, personaggio dalle riconosciute abilità diplomatiche legato all’imperatore Carlo V. Moroni era entrato in contatto con la famiglia Madruzzo grazie alla realizzazione di ritratti eseguiti per i nipoti del principe vescovo…ed ecco quindi che si ritrova a Trento proprio nel momento giusto: la città vive un clima internazionale senza precedenti che gli offre la possibilità di venire a contatto con ritrattisti molto in voga al momento, come Tiziano e Anthonis Mor. Personaggi reali, oggetti simbolici, gioielli che da vicino sono semplici macchie ma che al colpo d’occhio risultano perfettamente definiti.

E se per rappresentare un nobile servono broccato e gioielli preziosi…per rappresentare un artista come Giulio Romano Tiziano  gli piazza in mano un disegno di una architettura, forse la Basilica palatina di Santa Barbara, edificata a Mantova, proprio nella corte dove Giulio Romano si trovava in quel periodo al servizio del Gonzaga. Ed ecco quindi che un giovane Moroni ritraendo lo scultore Alessandro Vittoria, giovane anche lui eh, lo rappresenta pensando magari anche un po’ a se stesso. Spettinato, in abiti da lavoro con tanto di maniche rimboccate e con in mano un busto antico, probabilmente classico. E ci indica così caratteristiche fisiche, ma anche l’attività del soggetto e anche le sue passioni…

  • Ritratti di potere

 Nel corso del cinquecento i rappresentanti del potere hanno fatto ampiamento ricorso al genere del ritratto (Carlo V si è fatto ritrarre in tutti i modi possibili). Dipinti con un carattere eminentemente pubblico. Dovevano insomma aiutare a ricordare l’uomo…ma anche e soprattutto la sua posizione sociale e politica e quindi…anche il suo potere. Anche i personaggi del Moroni svolgevano funzioni pubbliche e di esercizio del potere, rappresentanti della Repubblica di Venezia che ricoprivano il ruolo di podestà in Terraferma, carica destinata ai membri del patriziato veneziano…e quindi te li aspetti un po’ così, distanti…altezzosi, pronti a sottolineare il loro rango e il loro stato sociale…e invece Moroni ce li mostra al naturale. Nella loro sfera privata più che nelle vesti pubbliche… più evidenti quando dallo sfondo iniziano a sparire dallo oggetti e citazioni colte a favore di uno sfondo neutro che alla anticipa un po’ il nero caravaggesco ma anche e soprattutto tutta la ritrattistica ottocentesca

  • Ritratti al naturale

Ecco come appaiono i ritratti di Moroni. Per il critico d’arte Roberto Longhi «sono così veri e semplici da comunicarci addirittura la certezza di averne conosciuto i modelli». Ma c’è tutto un percorso e uno studio che  portanp a questo risultato! Innanzitutto il Moroni li dipinge a grandezza naturale e questo fa quasi credere allo spettatore di trovarcisi realmente di fronte. Lì nella stessa stanza con il soggetto ritratto. Inoltre i modelli non vengono abbelliti e vengono dipinti di getto, senza perdere tempo a minimizzare eventuali difetti fisici…come del resto aveva suggerito di fare il Cardinale Gabriele  Paleotti , quando proprio al Concilio di Trento,  aveva richiesto a gran voce la piena adesione al vero per le figure profane.

Dettagli fisici ma anche psicologici e molto terreni…Conosciamo parecchio  dei dati biografici di Albani, un nobile cavaliere aurato con collana in oro e pendente, cavaliere di san marco, qui ritratto quando si era ripreso da una lunga malattia che poi comunque lo avrebbe portato alla morte.  Molti di questi ritratti infatti venivano fatti per ristorare il ricordo di chi rimaneva, un ritratto naturale che deve aderire a tutti i difetti, lipoma in fronte, questo bernoccolo, compreso. Mani aggrappate alla savonarola e aggrappate alla vita, usata fino alla fine anche per tener stretto questo libricino…

  • Pale d’altare con e senza ritratti

Qui i cambiamenti dettati dal Concilio di Trento si fanno sentire… Le parrocchie diocesane si impongono come committenti del Moroni che si ritrova a sostituire le vecchie immagini devozionali con nuovi schemi compositivi.. Mentre in epoca preconciliare era piuttosto normale trovare i committenti rappresentati nelle pale d’altare…ora questa usanza è vista in maniera molto meno favorevole. Il Moroni quando dipinge anche i committenti quindi ci mostra sacerdoti diocesani intenti a mostrare esempi di carità oppure a celebrare il sacramento dell’Eucarestia. Insomma a fare cose e non a mostrare solo se stessi

  • Il ritratto devoto e l’orazione mentale

Il ritratto devoto e l’orazione mentale è un tipo di preghiera che veniva esercitata mentalmente e in silenzio. È quell’ambito della devozione privata per  cui Moroni  (e anche Moretto) hanno realizzato diverse opere… esistevano svariati testi al servizio di questa pratica e spesso erano rivolti direttamente al devoto mentre gli suggerivano di rivolgersi mentalmente a luoghi e storie sacre da contemplare nella sua immaginazione. Negli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola, pubblicati nel 1548, la meditazione avveniva grazie alla composizione mentale del luogo da contemplare, In molti casi Moroni ha introdotto una sorta di confine fisico tra lo spazio reale dove è presente il committente con un ritratto ben riconoscibile e la parte dedicata all’episodio sacro. Può essere una quinta architettonica o una balaustra…ma il confine tra reale e immaginario è spesso ben visibile e riconoscibile.

 

  • Moroni e il ritratto della società del suo tempo

Quando Moroni si dedica al ritratto della società del suo tempo…ci offre anche quella che è probabilmente la sezione più colorata, sfarzosa e scenografica della mostra. Il pittore intorno agli anni 50 diventa il preferito tra   le famiglie nobili bergamasche: i Brembati, gli Albani, i Grumelli, i Vertova…anche grazie alla stanzialità del pittore che dopo l’esperienza trentina decise di vivere stabilmente nella sua Albino, il paese natale… Scelgono Moroni per essere rappresentati in maniera sfarzosa ed elegante ma anche per descrivere una società di persone colte, esperte di poesia e letteratura

  • Il sarto e la moda del nero

La moda del nero, di cui abbiamo già avuto qualche assaggio nel corso della mostra, è in realtà dovuta  al regno di Carlo V. Il nero divenne colore ufficiale della corte asburgica in Spagna, diventando a quel punto in voga in tutta Europa. I tantissimi vestiti neri indossati da donne e uomini ritratti dal moroni confermano questa tendenza…e per fugare ogni dubbio…basterebbe poter sfogliare il cosiddetto libro del sarto, un catalogo di moda portatile,  un volume di produzione milanese che contiene disegni, modelli di taglio, stampe e appunti in cui compaiono anche parecchi figurini destinati ad ecclesiastici, dottori e magistrati…tutti rigorosamente vestiti di nero

E concludo questo riassunto della mostra con una fantastica carrellata di opere…

Bosch e un altro Rinascimento a palazzo Reale a Milano

Bosch e un altro Rinascimento a palazzo Reale a Milano

Bosch e un altro Rinascimento, a Palazzo Reale: una mostra dedicata non tanto e non solo all’artista olandese…ma soprattutto a quanto il suo lavoro abbia poi  influito su tutti i suoi contemporanei!

Nella mappa si può vedere il suo successo concentrato soprattutto in Italia settentrionale, Spagna e mondo asburgico (Il re Filippo di Spagna fu un vero appassionato di questo artista tanto da portarlo a collezionare le opere di Bosch comprandole un po’ ovunque ed ecco perché ancora oggi la Spagna è tra i Paesi che possiedono il maggior numero di opere di Hieronymus Bosch).

1 Bosch e il fantastico

Bosch, Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio (aperto), 1501

Al rinascimento ufficiale quindi, quello classico, L’artista olandese contrappone un mondo con scene infernali e oniriche. Pensate: è proprio un cronista suo contemporaneo, Marcantonio Michiel, a fornire la prima descrizione delle opere di Bosch usando parole come: inferno, mostri e sogni. Di Bosch si parla, all’epoca, come di pictor gryllorum, pittore di scene ridicole. Ed ecco che la mostra si apre con quella che è l’opera probabilmente più emblematica del lavoro di Bosch: Il Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio. Nella stessa opera troviamo tutte le caratteristiche associate a questo artista: fuochi infernali, architetture contorte, mostri, ibridi, personaggi grotteschi e scene stravaganti.

La parte esterna del trittico è monocroma, tranne una piccolissima torcia accesa, in rosso fuoco. Questa realizzazione a grisaglia non è nuova nella tradizione fiamminga. E’ una scelta anche teatrale…all’apertura dei pannelli esterni, i fedeli rimanevano ancora più stupiti di fronte alla meraviglie delle immagini colorate della pala d’altare aperta.

Il trittico dei Santi eremiti, della fine del 1400, in prestito da Venezia, faceva probabilmente parte della collezione che già sin dal primo cinquecento, era di proprietà del cardinale veneziano Domenico Grimani. Quest’opera tra l’altro ha anche la firma dell’autore, bene in vista in basso nel pannello centrale.

Bosch Trittico degli eremiti, fine 1400

Anche nelle meditazioni di San Giovanni Battista, apparentemente più tranquilla, in realtà troviamo la cifra stilistica di Bosch: forme strane e scene impossibili…sono opere che vanno viste da vicino, nei minimi particolari. Ed è questa anche una scelta artistica per stimolare la curiosità dello spettatore e per costringerlo a fermarsi ad osservare e a meditare sulle scene che presentano sempre diversi livelli di lettura, sia moralistico-religiosi che ridicoli e allegorici.

Hieronymus Bosch: San Giovanni Battista in meditazione, 1495

2 Classico e anticlassico tra Italia e Penisola Iberica

Nell’immaginario comune dell’epoca quindi…lo stile di Bosch si lega soprattutto all’aspetto fantasioso e bizzarro delle sue opere. Nel rinascimento diventa quindi una sorta di alternativa…un altro rinascimento, appunto.

Ma questa dicotomia così forzata lo è soprattutto per noi ora. Noi oggi identifichiamo il rinascimento con l’arte classica con la ricerca dell’equilibrio e del bello ma se ci pensiamo bene…anche  Leonardo da Vinci, artista d’eccellenza del rinascimento…già nel suo codice trivulziano si era divertito ad inserire figure caricaturali con volti deformi, tutto sommato non così distanti dalle immagini folli di Bosch.

Nel cinquecento, il fantastico e il mostruoso era una parte figurativa ben presente nelle grottesche, che sono poi di origine classica, riscoperte negli affreschi della Domus aurea diffusa anche grazie alle rielaborazioni di Raffaello.

Grottesche Domus Aurea

E troveremo quindi decorazioni simili in forme e contesti differenti: come motivo a stampa nell’esempio di Nicoletto Rosex, incisore italiano, che crea grottesche con nudi, mascheroni e elementi fantastici che verranno poi riutilizzati nel 1530 per i rilievi dell’Università di Salamanca… e sempre a  Salamanca troviamo poi una serie di capitelli mostruosi nel chiostro del convento di Las Duenas.

Le sculture in legno policromo e dorato del Retablo de San Benito di Berruguete, ma anche quelle di   Gaspar de Tordesillas, suo allievo, che realizza il  Retablo de San Antonio Abad nello stesso monastero a Valladolid, uniscono la tradizione medievale al recupero del mondo classico ai nuovi modelli rinascimentali.

E le stesse decorazioni a grottesche le troviamo anche negli arazzi su disegno di Perin del Vaga, allievo di Raffaello, realizzati per la residenza di Andrea Doria a Genova.

Maestro della marca geometrica da un cartone di Perin del Vaga, Arazzo grottesca con allegoria del dio Marte, 1540-60

Insomma il fantastico e le sue molteplici interpretazioni continueranno a coesistere per tutto il millecinquecento: lo scudo di Praga con mostri in perfetto  in “stile Bosch” accanto alla Rotella milanese post raffaelliana di evidente stampo classico.

3 Il sogno

Nell’Europa meridionale il nome di Bosch viene associato fin dai primi decenni del 500, all’invenzione pittorica di inferni, sogni e incubi e fin da subito viene ripreso da artisti suoi seguaci.

Il tema onirico lo ritroviamo un po’ ovunque e il collegamento diretto va subito alle invenzioni di Bosch, anche nei mostriciattoli riprodotti addirittura nei calamai.

calamai con mostri marini

Anche in opere apparentemente…normali, come Il Sogno della scuola di Battista  Dossi e l’Allegoria della vita umana di Ghisi, … in tutte queste opere in realtà troviamo collegamenti diretti alle scene di Bosch, ai suoi mostri e ai suoi incubi.

4 La magia

Riti magici e sabba infernali diventano soggetti molto apprezzati fino al seicento inoltrato. Non dimentichiamo i processi per stregoneria e la pubblicazione di manuali e trattati per riconoscere e punire le streghe…Di volta in volta troveremo il Diavolo rappresentato da donne seduttive oppure streghe orribili che mangiano bambini.

5 Visioni apocalittiche

Il giudizio universale è lo spartiacque tra salvezza e dannazione eterna. Nella religione cristiana si vede spesso Cristo che separa meritevoli e peccatori. E ovviamente è un soggetto che piace parecchio a collezionisti e committenti delle opere di Bosch…il trittico del Giudizio Universale esposto qui a Palazzo Reale apparteneva al cardinale Marino Grimani nipote del collezionista veneziano Domenico Grimani. Ed è un vero piacere osservare i mostri marini e terrestri che affiancano i demoni che hanno creato ogni sorta di sistema per meglio torturare i peccatori!

Bosch, Giudizio Universale, interno, 1500

Il giudizio finale, il paradiso e l’inferno  diventano  quindi un’ottima scusa per dipingere mostri, demoni e immagini perfettamente in linea con quelle di Bosch.

Attraverso la stampa e una sorta di passaparola dell’arte l’invenzione di Bosch arriverà fino alle chiese peruviane del diciassettesimo secolo come nel caso dell’immenso giudizio universale nel convento di S. Francesco a Cuzco …

Diego Quispe Tito, Giudizio Universale, Convento San Francesco, 1675, Cuzco

6 Le tentazioni di Sant’Antonio

Bosch e i suoi seguaci amano questo soggetto e ne fanno svariate versioni che piacciono moltissimo in tutta Europa. L’iconografia del santo torturato dai demoni e tentato da donne sensuali ha sicuramente un carattere morale …ma è anche la scusa per dare carta bianca all’artista che potrà così sbizzarrirsi tra mostri e chimere.

 

Ma qui non è solo Bosch a fare scuola ma anche l’artista tedesco Martin Schongauer che ci mostra il santo trasportato fisicamente in cielo dai demoni.

7 la stampa come mezzo di divulgazione

Il marchio di Bosch, cioè  quelli che possiamo definire come mostriciattoli, non nasce immediatamente…ci si arriva tramite un processo di selezione e ripetizione di queste immagini e la diffusione delle opere di Bosch è avvenuta principalmente attraverso la stampa. Molti incisori, soprattutto fiamminghi, hanno fin da subito iniziato a riprodurre le sue opere dichiarandolo: sono idee di Bosch. C’è poi lo strano caso di Brueguel il Vecchio che non si limita a copiare le scene di Bosch ma le reinterpreta proprio, riuscendo quindi a vivere  esattamente nel mondo immaginario di Bosch preferendo l’emulazione all’imitazione e qui  possiamo vedere le sue intepretazioni attraverso le incisioni di Pieter van der Heyden tratte dai Sette oeccati Capitali di Brueguel, serie ricordata persino  dal Vasari che ne sottolinea anche l’intento umoristico.

8 Il mondo asburgico

L’arte di Bosch piace davvero tanto agli Asburgo, la dinastia che nel cinquecento dominava l’Europa, il bello è che anche il re di Francia, Francesco I di Valois, uno dei principali oppositori della casata asburgica, era molto interessato alle opere di Bosch…passione portata avanti anche dai suoi discendenti. Queste due famiglie dettavano un po’ la moda del momento e quindi è anche grazie a loro e alle loro corti,  se il fenomeno Bosch si trasferirà anche in  una serie di arazzi, qui anche una versione più tarda dell’arazzo dedicato all’elefante, arazzo svanito misteriosamente nel nulla…

9 la curiosità e il collezionismo enciclopedico

Nel Cinquecento nel mondo delle corti si sviluppano forme di collezionismo enciclopedico o universale. Insomma si colleziona di tutto di più…Delle camere delle meraviglie, le wunderkammer… con gli oggetti esposti e collezionati si esprime lo status sociale del proprietario e si cerca un collegamento con il mondo invisibile. Sono mirabilia, opere nate per suscitare sorpresa e anche qualche risata: dall’automa diabolico della Collezione Settala (che muoveva davvero occhi e bocca emettendo un suono infernale!) ai volti dell’Arcimboldo.

Oggetti reali che ritroviamo dipinti in forme magari assurde e incredibili con l’ormai riconoscibilissimo…tocco alla Bosch: uno stile nato per stupire e divertire uno spettatore del Rinascimento…che però ancora oggi lascia a bocca aperta anche la folla a noi contemporanea, stipata davanti a queste opere… modernissime per forme, colori e ironia.

IL PALAZZO RINASCIMENTALE

IL PALAZZO RINASCIMENTALE

IL PALAZZO RINASCIMENTALE

Progetta il tuo palazzo rinascimentale, SU FOGLIO LISCIO 33X48 ricordando che:

  • DEVE ESSERE SIMMETRICO
  • DEVE AVERE MASSIMO 3 PIANI BEN SEGNATI DALLE CORNICI MARCAPIANO
  • LE ALTEZZE DEI PIANI SONO DIFFERENTI (IL PIANO TERRA E’ PIU’ ALTO)
  • DEVE AVERE UN BUGNATO A TUA SCELTA
  • PER REALIZZARE FINESTRE, PORTE EVENTUALMENTE AD ARCO A TUTTO SESTO, E DECORAZIONI SOPRA ALLE FINESTRE, PUOI REALIZZARE DELLE DIME COSI’ DA AVERLE TUTTE UGUALI
  • RIPASSA E COLORA TUTTO IL PALAZZO USANDO SOLO IL TRATTO PEN NERO
  • RICORDATI DI DISEGNARE ANCHE UN TUO SIMBOLO AL CENTRO!
  • COLORA LO SFONDO COME PREFERISCI (tempere, matite, pennarelli, collage)

QUALCHE ESEMPIO DI PALAZZO ORIGINALE E PERSONALIZZATO…

Cardinal Branda e Masolino a Castiglione Olona

Cardinal Branda e Masolino a Castiglione Olona

Cardinal Branda e Masolino a Castiglione Olona


Castiglione Olona, in provincia di Varese, forse pochi lo sanno, grazie al Cardinal Branda Castiglioni…è la prima città ideale dell’Umanesimo!

Castiglione Olona, Alessandro Greppi, 1884, circa

Il territorio e il casato dei Castiglioni, erano al centro dei giochi di alleanze politiche, decidendo di allearsi ora con i Torriani, ora con i Visconti. La città ha origini longobarde e romane (è collegata infatti anche ai resti romani di Castelseprio e al Monastero di Torba), caratteristiche che però vengono stravolte tra il 1422 e il 1440 grazie a questo Cardinale che, partito proprio da Milano (e da Castiglione, borgo della sua famiglia), dopo una serie di esperienze a Roma e all’estero come Colonia, Veszprém e Transilvania…passerà la vecchiaia tornando a casa, ma non certo per rimanere con le mani in mano!

Il cardinale Branda Castiglioni, studioso, mecenate, politico e religioso di spicco, crea la sua città ideale fondando una scuola aperta ai giovani del luogo (ma anche del contado del Seprio), selezionando poi i più meritevoli per pagar loro gli studi all’Università di Pavia dove lui aveva insegnato.

Scuola

 

Chiama a Castiglione gli artisti più rappresentativi del Rinascimento del momento facendo così di questo borgo, “un’isola di Toscana in Lombardia”, come lo definì lo stesso D’Annunzio. Troviamo quindi la Chiesa di Villa, con proporzioni e bicromie ma anche con sistemi costruttivi tipici del rinascimento toscano… Ed ecco quindi che vengono chiamati a lavorare qui: Masolino da Panicale, il fiorentino Paolo Badaloni detto Schiavo e il senese Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta.

Entrando nel Palazzo del Cardinale possiamo capire quanto apprezzasse il nascente stile Rinascimentale: una loggetta elegante con soffitto ligneo originale unisce i due edifici che compongono il palazzo. entrando al primo piano ci accoglie una ricca sala da ricevimento con immenso camino

Al piano terra una cappella cardinalizia decorata (scoperta solo nei restauri del 1982!)  ci ricorda che il mecenate era comunque un religioso…

La camera del Cardinale è un tripudio di putti modernissimi che giocano tra alberi di fiori, frutti e piante aromatiche, sopra a una decorazione con cartigli e motti latini di autori cari al Branda e appena sotto alla decorazione in alto, nella parete, con gli stemmi delle famiglie nobili della zona. In basso, vicino al pavimento, scorre una lunga panca, curiosamente senza prospettiva: la tecnica per la rappresentazione tridimensionale era appena stata codificata e non tutti gli artisti, evidentemente, la conoscevano. Il letto è originale dell’epoca e della famiglia Castiglioni anche se non direttamente di proprietà del Cardinale ma rende bene l’idea della ricchezza del luogo e del personaggio che amava vivere al meglio delle sue possibilità, avendo quindi trasformato il suo palazzo in un luogo di ricevimenti e dibattiti culturali.

Nello studiolo, oltre a un mobile pregiato in legno di noce, una sorta di coro con un trono centrale, troviamo l’affresco di Masolino, dedicato al paesaggio ungherese di Veszprém, dove il cardinale aveva soggiornato. Questo soggetto, in quel momento, era un caso più unico che raro. Realizzato da Masolino nel 1435 assieme al Vecchietta, è, in quel momento unico al mondo, probabilmente l’unico paesaggio senza personaggi. Una scelta rivoluzionaria per l’epoca. Tanto che un paio di figure, in alto nell’angolo, non resistono all’idea di poterlo ammirare per sempre (la damigella bionda è sicuramente stata realizzata da Masolino)

La Collegiata sorge dove un tempo c’era la rocca, il vecchio castello, più volte distrutto e ricostruito nel corso dei secoli. La facciata, in cotto lombardo e con la tipica forma a capanna, è decorata con un fregio continuo ad archetti e da una lunetta in pietra arenaria sopra al portone centrale. Si riconoscono i santi Lorenzo, Ambrogio e Stefano e il cardinal Branda inginocchiato. la tomba del Cardinale Brenda si trova all’interno.

All’interno, la decorazione pittorica era stata progettata per stupire lo spettatore che entrando avrebbe trovato tutte le pareti bianche tranne la zona dell’abside attorno all’altare (pare che il cardinale avesse ricevuto una dispensa particolare per poter dire la messa rivolgendo ai fedeli il volto e non le spalle, come usava ancora all’epoca). Nelle vele, spazio e proporzioni sono ancora prettamente gotiche ma comunque di grande effetto sia per i colori che per la narrazione della vita della Vergine: una vera e propria Bibbia per gli analfabeti. Tutto è prezioso, anche il candelabro appeso al centro della navata, in ferro e con scene di caccia al cervo, ci ricorda la  ricerca del bello e dell’oggetto pregiato.

All’entrata del battistero, costruito nel torrione del vecchio castello, possiamo ammirare una Annunciazione di Masolino, o meglio…la sua sinopia, all’esterno e l’affresco strappato nella camera sulla sinistra.

Il battistero, decorato (anche con lamina in oro ormai svanita) da un Masolino ormai anziano, ci mostra quanto si stesse allontanando dalle sproporzioni e dalle rigidità gotiche, molto probabilmetne anche grazie all’incontro e alla collaborazione fiorentina con il più giovane Masaccio, già ben proiettato verso volumi e ricerca realistica della resa spaziale, di quanto lo fosse il suo collega più anziano. Qui la narrazione biblica del martirio di San Giovani, sfrutta l’architettura e gli spazi reali, integrandone spigoli e luce delle finestre (vere) che entrano a far parte dell’affresco. La prospettiva in scorcio arditissimo dilata visivamente lo spazio mentre le pareti vengono popolate da scene ambientate in momenti diversi ma poste sullo stesso piano (e divise e allo stesso tempo unite, da due personaggi in vestiti rinascimentali posti al centro, proprio come Masolino aveva già fatto nella ben più famosa decorazione in Santa Maria del Carmine  a Firenze).

Castiglione Olona vale sicuramente un viaggio (volendo si può collegare anche la visita a Castelseprio -ma controllate bene date e orari di apertura- e anche il Monastero di Torba -meglio se siete già soci Fai per sfruttare al meglio l’entrata gratuita-). Castiglione Olona stupisce ora, così come deve aver stupito all’epoca della sua trasformazione. Il cardinal Branda Castiglione e Masolino, hanno davvero creato un piccolo gioiello che ha resistito secoli e solo negli ultimi anni, anche grazie ai primi restauri a inizio novecento che hanno portato alla luce la pergamena  con la biografia del Branda (scritta direttamente dal suo segretario), è stato studiato, restaurato e nel caso della Collegiata, anche mostrato con amore, dai tanti bravissimi volontari che offrono visite guidate particolareggiate e gradevolissime.

Se volete saperne di più…ovviamente vi suggerisco di guardare anche il video sul mio canale youtube!

CREA IL TUO LAPBOOK DI STORIA DELL’ARTE

CREA IL TUO LAPBOOK DI STORIA DELL’ARTE

Creare un Lapbook per immagini…

 significa mettere tante cose in poco spazio,

lo spazio utile per ripassare al volo con un colpo d’occhio!

Si può fare con tutte le materie eh… Io ovviamente l’ho pensato per storia dell’arte: Il programma di seconda media!

 

Ed ecco a voi le istruzioni per creare…uno SSSSlapBook: un lapbook da leccarsi i baffi!

1.Usa un foglio dell’album da disegno 33x48cm   (ma puoi anche usare un cartoncino colorato di uguale misura)

2.Idee chiare dichiarate in copertina

3.Scegli quali periodi riassumere e come suddividerli

4.Decidi come utilizzare lo spazio: casuale, a scacchiera, a fasce orizzontali o verticali…

5.Segna in modo chiaro il titolo di ogni capitoletto

6.Puoi fare piccoli schizzi, puoi disegnare semplici schemi o puoi stampare direttamente le immagini della giusta misura. Io ho fatto un po’ di tutto, un mix insomma!

7.Qualche colore conviene aggiungerlo. In qualche caso ti aiuterà a ricordare quella particolare opera!

i vari periodi artistici li trovi già riassunti, con le sole immagini, in questo video… ma è più divertente se scegli tu cosa va asssssolutissssimamente ricordato e cosa si può…tralasciare!

Ed ecco qualche vostro meraviglioso lavori…anche del programma di prima, seconda e terza media!!!

La natura morta

La natura morta

La natura morta è un soggetto pittorico e…no, non le hanno sparato e nessuno l’ha uccisa, tanto per mettere subito in chiaro le cose!

“Natura morta” par quasi un ossimoro, una contraddizione in termini perché la natura è viva per definizione…come si fa a parlare di natura morta!?!

eppure…

Natura morta= rappresentazione di frutta, fiori, selvaggina, strumenti musicali, libri… oggetti inanimati.

Sono oggetti a volte rappresentati fuori dal loro contesto (ad esempio un mazzo di fiori recisi in un vaso), morti quindi…ma vivi in eterno in quella particolare opera pittorica.

A parte qualche raro e particolarissimo esempio di natura morta nell’antichità questo soggetto non ha mai avuto vita autonoma fino all’arrivo di Caravaggio.

In epoca ellenistica troviamo gli asarotos oikos (casa non spazzata), quasi il pavimento delle nostre aule a fine giornata insomma…

Realizzazioni a mosaico che mostrano direttamente sui pavimenti avanzi vari (cibo, scorze di limone ecc). Asarotos e Xenia (doni augurali agli ospiti) sono probabilmente legati al culto dei morti. Il cibo caduto dalla tavola, lì per terra, rimane destinato ai famigliari defunti (no, non provate ad usarla come scusa per non pulire in terra…non funzionerà con me, tzè!)  tra l’altro  serve anche per mostrare agli ospiti gli scarti del proprio lussuoso e prelibato cibo (ancora oggi va di moda andare a sbirciare nelle pattumiere delle celebrità per scoprire cosa ha mangiato a pranzo il super vip!). Gli Xenia invece sono affreschi con simile scopo, piccole rappresentazioni cibo sulle parete, come ad esempio il cesto di fichi che troviamo in una casa a Pompei.

Per secoli troveremo pregevoli esempi di natura morta ma solo affiancati ai soggetti principali: i ritratti.

Nel 1474, ad esempio, Antonello da Messina ci mostra San Girolamo nello studio.

Il Santo è  letteralmente immerso in una incredibile scena prospettica arricchita da tante piccole nature morte, sia nella libreria che sulla scrivania del Santo ma anche in primo piano, proprio di fronte all’osservatore. Del resto lo stesso San Girolamo realizzato però da Jan van Eyck intorno al 1435, sceglie un’ambientazione simile, con contorno di natura morta compreso!

Verso la fine del 1400 l’emiliano Antonio Leonelli (conosciuto anche come Antonio da Crevalcore), raffigura San Paolo seduto al centro di piccole ma chiarissime nature morte: da un lato candele e candelabro, dall’altro penne, calamaio e forbici con effetto tridimensionale che ne fanno quasi un trompe l’oeil.

Sempre del 1400 c’è un esempio di natura morta un po’ particolare…realizzato ad intarsio in legno: lo Studiolo del duca di Urbino nel Palazzo Ducale, con oggetti quali libri, clessidre, strumenti musicali scelti anche per i loro significati simbolici.

Giuliano e Benedetto da Maiano e bottega, tarsie dello studiolo di Federico II

Anche Raffaello non ha resistito al richiamo della natura morta e nell’Estasi di Santa Cecilia mette ai suoi piedi una natura morta composta solo da strumenti musicali.

Raffaello, Santa Cecilia

Nel 1533 a stupirci con il doppio ritratto dei due “Ambasciatori” è Hans Holbein.

I due personaggi  mostrano, con una certa soddisfazione, gli scaffali ricolmi di oggetti incredibili e preziosi simbolo anche del loro piacere per lo studio e del loro potere (in aggiunta a tutto questo ai loro piedi c’è anche la misteriosa anamorfosi con un teschio!)

Un caso al limite è rappresentato da Arcimboldi. Questo pittore geniale trova quasi un compromesso tra ritratto e natura morta: realizza ritratti…composti però da oggetti (fiori, animali…ecc). Non siamo ancora quindi alla natura morta autonoma ma davvero poco ci manca!

Intorno alla metà del 1500 in Europa si cominciano a vedere opere dove gli oggetti sono più protagonisti…dei protagonisti stessi!

Basti pensare all’olandese Pieter Aertsen che nelle sue scene sacre mette le figure sacre sullo sfondo lasciando lo spazio in primo piano tutto dedicato ad incredibili nature morte.

Pieter Aertsen cristo con Marta e Maria

Dobbiamo aspettare l’arrivo di Caravaggio per vedere davvero per la prima volta, in Italia,  una tela “sprecata” solo ed esclusivamente per un soggetto inanimato.

Caravaggio, Canestra di frutta

La prima natura morta, autonoma, della nostra storia dell’arte è infatti la Canestra di frutta del 1599 (e forse chissà…senza la sponsorizzazione del Cardinal del Monte, che la commissionò per farne dono al cardinal Borromeo, ora non saremmo nemmeno qui a parlarne…).Il particolare curioso è che la stessa cesta di frutta, poco prima, la dipinge in mano ad un modello…e poco dopo  la ritroviamo protagonista della Cena in Emmaus

Caravaggio da sempre insegue la rappresentazione del vero, della realtà così com’è e anche qui non ci delude in questa sua ricerca a volte spietata: la frutta è un po’ marcia, la mela bacata, la foglia è stata mangiucchiata da un bruco di passaggio. Forse il suo cesto di frutta era davvero così o forse il pittore ha realmente voluto proporci una perfetta rappresentazione della caducità della vita, tema molto in voga in quel periodo, assieme al memento mori: ricordati che devi morire, tutto ciò che è bello, vivo, fresco è destinato a marcire e a morire, vivi bene perché non sai quando tutto questo avrà fine…

Verso la fine del 1500 troviamo molte rappresentazioni di cibo esposto (al mercato, in vendita, nelle cucine…) ma sempre con qualche personaggio, seppur sempre più defilato.

Nel 1600 la natura morta è un genere ormai diffuso in tutta Europa e diventa un vero e proprio genere pittorico.

Ed ecco quindi Pieter Claesz con la classica Vanitas (il teschio che allude alla morte, la candela richiama la luce della vita, il fiore reciso -che appassirà- e l’orologio rimandano direttamente al tempo che passa); e Evaristo Baschenis, il bergamasco maestro della rappresentazione di strumenti musicali dell’epoca, spesso anche un po’ impolverati…il tempo passa anche per loro insomma!

Gli oggetti non sono quasi mai scelti per caso, sono simbolici: il passare del tempo (orologi, clessidre) i teschi (la morte), le candele (accese o spente sono  la vita o appunto la sua fine), fiori recisi, calici e vasi in vetro (brevità e fragilità della vita) mentre gli oggetti preziosi (oro, gioielli, monete) rimandano al concetto di tutto quanto reputiamo indispensabile nella nostra vita che però sarà del tutto inutile nella morte. Spesso anche gli stessi fiori sono scelte simboliche (i gigli sono da sempre il simbolo della Madonna e alludono alla purezza).

Nel 1700 la natura morta diventa anche un’ottima scusa per mostrare vero virtuosismo: fiori perfetti, frutta prelibata…viene un po’ a mancare tutta la simbologia di vanitas e memento mori e nel nord Europa si cerca in questo genere pittorico quello che è a tutti gli effetti un quadro gradevole senza troppi messaggi nascosti.

Ecco quindi Luis Melendez con dei succosi limoni e Jean Baptiste Chardin con un tavolino pronto per una tazza di caffè e un bicchiere d’acqua.

Ma la natura morta nel corso dei secoli successivi…è ben viva, altro che morta!

La ritroveremo nel 1800  rappresentata con pochi rapidi tocchi dagli impressionisti come Manet e da Cézanne.

Braque nel 1919 ce la mostrerà da differenti punti di vista come voleva fare l’arte cubista mentre Giorgio Morandi ne farà una visione metafisica negli stessi anni.

Poco più tardi René Magritte re del surrealismo ci stupirà con oggetti che forse, chissà, sono ancora nature morte…o forse no…

 

Anche noi nel nostro piccolo abbiamo provato a disegnare delle nature morte e…non vediamo l’ora di mostrarvele: se siete curiosi cliccate qui!

 

 

La rappresentazione dello spazio

La rappresentazione dello spazio

La rappresentazione dello spazio nel corso dei secoli varia moltissimo.

E’ un tema affascinante proprio perché rimane uno scoglio tra i più difficili da superare per tutti i miei alunni.

In questo pdf ho provato a fare un riassunto per immagini.

Dall’arte romana fino ai giorni nostri  ecco come i vari artisti, nel corso dei secoli, hanno provato, non sempre con successo, a rappresentare lo spazio.

Vedremo così quanto sia stato un argomento evidentemente molto studiato anche dagli artisti che ci hanno preceduto.

Ora grazie alle regole prospettiche fissate nel Rinascimento tutti noi possiamo provare a ricreare uno spazio reale e credibile copiandolo dal vero o anche solo immaginandolo.

Non è semplice, inutile negarlo …

Ma quando si ottiene il risultato cercato ci si trova quasi di fronte ad una magia.

Lo spazio del foglio, spazio piano per definizione, diventa quasi irreale.

Possiamo descrivere minuziosamente metri e metri di spazio in profondità in quei pochi cm di foglio a nostra disposizione.

Queste sì che son soddisfazioni!

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