L’ultimo Caravaggio, eredi e nuovi maestri

L’ultimo Caravaggio, eredi e nuovi maestri

La mostra alle Gallerie d’Italia “L’ultimo Caravaggio, eredi e nuovi maestri” ci fa capire gli sviluppi della pittura in Italia nel 1600.

Caravaggio è stato determinante per tutti gli artisti che lo hanno conosciuto. Un artista simile destabilizza ancora oggi…figuriamoci i suoi contemporanei!

La mostra si snoda geograficamente tra tre importanti città: Milano, Genova e Napoli.

Esposte troviamo moltissime opere (di artisti italiani e europei) commissionate originariamente o solo collezionate dai grandi appassionati d’arte di Liguria e Lombardia.

All’inizio del 1600 Genova e Milano sono entrambe importanti ma con due tipicità molto differenti tra loro soprattutto se pensiamo ai loro rapporti con la Spagna: Genova è una città ricca, sfarzosa, una Repubblica che intrattiene stretti rapporti economici con la Spagna mentre Milano ne subisce la dominazione.

In questo periodo quindi dobbiamo necessariamente immaginare un intenso movimento di artisti e committenze tra queste grandi città. Gli esponenti della ricca aristocrazia genovese come i Doria, gli Spinola, i Marino  prediligono artisti milanesi per le loro collezioni d’arte, artisti genovesi vengono a Milano per studiare la pittura lombarda e artisti lombardi si recano a Genova per lavorare a commissioni in chiese e palazzi privati.

Ma il patriziato genovese ha molti rapporti anche  con Napoli città vivace e popolosa capitale del vicereame spagnolo anche perché Madrid ha assegnato feudi e proprietà in cambio di prestiti ricevuti dalle grandi famiglie dei banchieri genovesi. Genova e Napoli poi intrattengono da sempre relazioni commerciali grazie agli scambi marittimi.

Solo intorno al 1630 la peste metterà un freno a tutto questi movimento artistico che crea automaticamente una sorta di sperimentazione e di contaminazioni artistiche tra queste tre regioni regioni.

Vi propongo tre percorsi, tre chiavi di lettura di questa mostra (complessa e non di immediata fruizione). Un filo, anzi tre fili che legano  tra loro opere affiancate già in mostra o comunque paragonabili tra loro e confrontabili in maniera diretta per stile, soggetti e contaminazioni.

I richiami a Caravaggio spesso sono diretti, a volte sono quasi un voler imitare con reverenza, altre volte invece lo stesso soggetto viene realizzato tenendo ben presente la lezione caravaggesca…ma facendo l’esatto opposto in netta contraddizione.

 

1- Tre opere con lo stesso soggetto, realizzate negli stessi anni, tre artisti  e tre rese finali molto differenti!

 

Martirio di Sant’Orsola, Caravaggio, 1610
La Sant’Orsola di Caravaggio

è già quasi morta, un fantasma  che viene trafitto a morte e a sorpresa da una freccia che la colpisce perché non ha ceduto ad Attila. Le ombre sono ovunque, specchio dell’andamento tragico della vita del pittore.  Attila viene raffigurato sulla sinistra, in abiti secenteschi, il volto quasi già pentito dal gesto appena compiuto. La santa invece non mostra dolore ma rassegnazione al proprio destino. Caravaggio si autoritrae nell’uomo che regge la santa e ha il volto con la bocca socchiusa per lo stupore e il dolore quasi fosse stato trafitto dalla stessa freccia. L’opera viene inviata da Napoli a Genova (in mostra è esposta la lettera, del 1610, che la accompagna) al committente Marco Antonio Doria.

 

Martirio di Sant’Orsola, Bernardo Strozzi, 1615-1618
La Sant’Orsola di Bernardo Strozzi

ci fa chiaramente capire quanto l’opera di Caravaggio avesse colpito anche questo artista che infatti ne fa una versione piuttosto simile per la posizione dei personaggi ma ottenendo risultati finali molto differenti. Qui la Santa viene colpita al petto con la freccia ma il suo colorito è roseo, lo sguardo mostra la tipica espressione estatica del martirio barocco più che reale dolore. I colori sono accesi, l’ombra meno incombente, la scena nel suo insieme è meno tetra e drammatica di quella caravaggesca.

 

 

Martirio di Sant’Orsola, Procaccini, 1615/161
La Sant’Orsola di Giulio Procaccini,

pittore bolognese  molto attivo a Milano, richiama l’opera di Strozzi più che l’originale di Caravaggio (per colori ed espressioni)  ma il risultato è opposto alla naturalità tragica e drammatica caravaggesca. La scena è quasi un balletto elegante, ritmi contrapposti bilanciati, i due personaggi principali sono  inquadrati da vicino. Il grande arco taglia quasi in due la scena  e il gesto che scocca la freccia è talmente esasperato da aver portato la mano destra di Attila addirittura fuori dall’inquadratura dell’opera!

 

 

 

 

 

2- Tre opere di importanti autori stranieri che sono venuti in Italia in questi anni (tra il 1620 e il 1640) e sono rimasti affascinati ed influenzati dalla pittura di Caravaggio e che a loro volta hanno lasciato il segno in tutta la pittura italiana del secolo

 

Simon Vouet Davide e Golia, 1620-1622
Simon Vouet, Davide con la testa di Golia, 1621.

 

Il pittore francese dipinge quest’opera mentre è a Genova per il committente Giovan Carlo Doria. La scena è tranquilla, quasi serena. La scelta del soggetto immortalato non nel momento cruento della lotta ma appena dopo, a vittoria conquistata, dipende forse dai gusti stessi del committente. Viene rappresentato il momento del riposo dopo lo scontro. Davide tiene in mano la testa, enorme, del gigante Golia, morto. La figura emerge dal buio grazie alla luce divina che lo illumina dall’esterno…è la luce di Caravaggio, è il nero del pittore lombardo che viene qui citato anche nell’inquadratura che ricorda molto altre opere caravaggesche come ad esempio due famosi “doppi caravaggeschi” proprio con lo stesso soggetto: uno del 1606 e uno del 1609

 

 

Rubens, Ritratto di Giovan Carlo Doria, 1606, Palazzo Spinola, Genova
Peter Paul Rubens, Ritratto di Giovan Carlo Doria, 1606, Palazzo Spinola, Genova
Peter Paul Rubens, Giovan Carlo Doria a cavallo, 1606.

Finalmente possiamo conoscere il volto di uno dei maggiori committenti e collezionisti di questo periodo! Questo illustre personaggio è qui ritratto a cavallo, un animale immenso, da battaglia, possente. Rubens è uno dei maggiori pittori fiamminghi di sempre e tra il 1600 e il 1608 soggiorna tra Venezia, Mantova, Roma e Genova.  Il cavaliere è sereno e imponente tanto quanto il cavallo è focoso e sembra quasi sbucare dal dipinto correndo dritto addosso allo spettatore (e scavalcando il cagnetto che abbaia sotto alle sue zampe!). In quest’opera l’artista nasconde parecchi elementi simbolici che fanno diretto riferimento alle virtù del Doria, come l’aquila (emblema della famiglia ma anche simbolo di coraggio e lealtà), la croce, simbolo dell’Ordine di San Giacomo di Compostela (conferito ai fedelissimi degli Asburgo di Spagna) e il cane, simbolo di assoluta fedeltà. Dianamismo e naturalezza ma anche questo senso tutto barocco per la pittura scenografica sono alla base di tutta l’arte di questo periodo! Piccola curiosità: questo dipinto venne acquistato da Hitler durante un’asta del 1940 a Napoli proprio su suggerimento di Mussolini e venne in seguito restituito alla fine della guerra.

 

 

Matthias Stom, Saul fa evocare Samuele dalla pitonessa di Endor, 1639-1641
Matthias Stom, Saul fa evocare Samuele dalla pitonessa di Endor, 1639-1641.

Le opere dell’olandese Stom appena arrivano a Genova (da Napoli dove le ha realizzate) fanno immediatamente scalpore addirittura più di quanto fosse riuscito a fare lo stesso Caravaggio. Sono scene realizzate al lume artificiale con  forti effetti di chiaroscuro dato proprio dalla scelta di rappresentare spesso scene notturne illuminate “dall’interno” cioè da una luce realmente presente nell’inquadratura. In questa scena re Saul chiede ad una maga  di evocare lo spirito di Samuele per avere qualche previsione circa l’esito della guerra contro i Filistei.

 

 

3. Una sola immensa opera con un soggetto molto conosciuto: L’ultima cena

ultima cena, Procaccini, 1618
Ultima cena, Giulio Cesare Procaccini, 1618.

Esposta dopo tre anni di restauro è un’opera immensa: 38 mq!  Originariamente dipinta per il refettorio del convento della Santissima Annunziata del Vastato a Genova è stata poi spostata nella chiesa. Il riferimento immediato è ovviamente all’ultima cena di Leonardo, viene infatti rappresentato lo stesso momento, quello in cui viene rivelato agli apostoli che uno di loro tradirà Gesù e quindi le emozioni e i sentimenti vengono rappresentati qui così come fece in maniera assolutamente innovativa Leonardo nel Cenacolo. Gesù è quasi sereno tanto quanto gli altri personaggi sono scomposti. Le figure sono leggermente più grandi del vero (e anche del tavolo che stanno utilizzando) proprio per rendere l’immagine più scenografica seguendo il gusto barocco. Verso la fine del 1600 i frati concessero il trasferimento dell’opera nella chiesa così da preservarne anche la conservazione decisamente a rischio nel refettorio a causa dei fumi della cucina. Il trasferimento però richiedeva misure differenti: lo spazio a lei dedicato era più grande, dentro una cornice in stucco dorata. L’opera viene così ampliata su tutto il perimetro e nella parte superiore viene aggiunta proprio una parte di soffitto con lampadario anche per rendere più realistica la scena perché a quel punto la posizione risulta ben più in alto che nel refettorio. In mostra troviamo anche il bozzetto preparatorio (che di bozzetto ha ben poco…è praticamente la stessa scena perfettamente dipinta in piccolo formato!), sia nel bozzetto che nell’originale i colori sono molto accesi e brillanti ed è per questo che vengono paragonati alla grande pittura rinascimentale veneta. Ho trovato particolarmente interessante la parte dedicata al restauro, in mostra c’è una sezione con filmato che ci spiega non solo l’allestimento nelle Gallerie di Italia ma proprio tutta la parte di ripulitura e restauro delle parti  rovinate nel corso dei secoli. La tecnica  utilizzata è quella che prevede una serie di piccoli tratteggi con colori ad acqua (eventualmente removibili senza creare danno all’opera) a copertura delle parti mancanti. Piccola curiosità: a causa delle dimensioni notevoli l’opera per essere maneggiata (spostata, restaurata ecc) è stata arrotolata attorno ad un enorme cilindro e via via srotolata con l’aiuto di parecchie braccia!

 

Il biglietto di ingresso all’esposizione “Dentro Caravaggio” di Palazzo Reale dà diritto all’ingresso ridotto a 5 euro alla mostra “L’ultimo Caravaggio. Eredi e nuovi maestri”.

Orari
Da martedì a domenica dalle 9:30 alle 19:30 (ultimo ingresso alle 18:30)
Giovedì dalle 9:30 alle 22:30 (ultimo ingresso alle 21:30)
Chiuso il lunedì e il 25 dicembre.

Aperture straordinarie:
– Mostra e collezioni permanenti: 26 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, 2 aprile 2018.
– Solo mostra: 24 e 31 dicembre 2017 fino alle 18.00 (ultimo ingresso alle 17), 1 gennaio 2018 14.30 – 19.30 (ultimo ingresso alle 18:30).

Sacra Conversazione di Tiziano a Milano!

Sacra Conversazione di Tiziano a Milano!

Sono già dieci anni che chi passa da Milano in questo periodo può apprezzare gratuitamente l’esposizione di una singola importante opera esposta nella Sala Alessi di Palazzo Marino.

Quest’anno  possiamo ammirare l’opera “Sacra Conversazione” di Tiziano, direttamente in prestito dalla Pinacoteca di Ancona fino al 14 gennaio 2018 (muoveteviiiii!).

sacra conversazione Tiziano pala gozzi, 1520
sacra conversazione Tiziano pala gozzi, 1520

 

Ci troviamo di fronte ad un’enorme (312×215 cm)  pala d’altare dipinta quindi su legno e in mostra ci è data la possibilità di curiosare quest’opera… anche dal retro.

Ci balzano agli occhi immediatamente un paio di particolari.

Un’opera su legno di queste dimensioni è in realtà formata da tante lastre di legno, in questo caso orizzontali, tenute insieme da piccoli incastri sempre in legno e…poi notiamo subito una piccola sorpresa: prima di dipingere la parte frontale…l’artista ha fatto qualche bozzetto preparatorio a matita. Non sono tutti di Tiziano questi volti, un paio sono appena accennati, quasi delle caricature, ma il volto del bambino paffutello è sicuramente dell’artista (infatti lo riconosciamo bene nell’opera finita a colori).

Questa è una sacra conversazione (quando ci sono Madonna, Bambino e Santi si tratta sempre di una “chiacchierata”, si chiamano proprio così queste scene dove i protagonisti in pratica conversano con gli sguardi e chissà cosa si staranno dicendo…). Santi, committente e Madonna sono legati da questi intrecci di sguardi e solo il Bambino guarda (e indica) fuori dallo spazio dell’opera…indica noi, gli spettatori, facendoci quasi diventar parte di quella sacra chiacchierata!

 Il nome con cui è più conosciuta in realtà  è Pala Gozzi, dal nome del committente.

Alvise Gozzi, mercante ragusano che lavorava anche ad Ancona,viene ritratto in maniera molto somigliante di profilo, in ginocchio sulla parte destra dell’opera.

Al suo fianco riconosciamo il vescono San Biagio, protettore di Ragusa (attuale Dubrovnik, in Croazia). Il Santo sta in pratica presentando il committente proprio alla Madonna che è nella parte alta del dipinto, sulla nuvola circondata dagli angeli in una luce quasi infuocata tipica del tramonto. Il suo braccio in diagonale, molto ben definito (con tanto di anello al pollice), è l’unione tra cielo e terra, tra paradiso e vita terrena.

San Biagio è un santo molto conosciuto però anche a Milano dove la tradizione natalizia vede proprio l’usanza di conservare una fetta di panettone di dicembre fino al giorno in cui viene festeggiato il santo: il 3 febbraio, perché secondo la tradizione  milanese ‘San Bias benedis la gola e él nas‘, insomma “benedice (e protegge) la gola e il naso”.

Dall’altro lato della scena, riconoscibilissimo, c’è San Francesco con tanto di stigmate  alle mani e al costato.

Questa pala è solo apparentemente semplice….in realtà è ricca di significati nascosti.

Vengono citate diverse città:  Ancona (anche San Francesco ricorda questa città perché è proprio per la chiesa di San Francesco ad alto -attualmente ex chiesa e sede militare- che viene dipinta l’opera), Ragusa (perché San Biagio è il suo patrono), Venezia (rappresentata in basso al centro, forse un messaggio politico che vedeva la Serenissima dominare su tutto l’Adriatico).

La pianta di fico al centro, miserella e un po’ spelacchiata, ha comunque dei frutti, è un simbolo di rinascita e di buona speranza (la pala d’altare è stata realizzata dopo il terremoto di Ancona che aveva distrutto diverse proprietà del commerciante Gozzi che si era comunque economicamente ripreso e qui faceva realizzare quello che è in pratica un ex voto di ringraziamento)

Dietro a San Francesco c’è un  paesaggio che sembra quasi essere un piccolo dipinto a parte, una figura volta le spalle allo spettatore e rimane ai margini del bosco e ricorda decisamente la Tempesta di Giorgione.

Questa pala d’altare del 1520, realizzata da un Tiziano trentenne, è la prima che viene firmata e datata proprio dall’artista in un cartiglio dipinto al centro in basso con la scritta “Aloyxius gotius ragosinus fecit fieri MDXX Titianus Cadorinus pinsit.”

Sacra Conversazione, Tiziano, particolare del cartiglio

La camera ottica

La camera ottica

La camera ottica è un’invenzione antica, antichissima…che però riesce a stupire ancora oggi i miei alunni quando la vedono, dal vivo, la prima volta!

Camera ottica di Canaletto, Museo Correr, Venezia
Camera ottica di Canaletto, Museo Correr, Venezia

In classe parliamo di camera ottica quando scopriamo la nascita del vedutismo nel 1700.

In pieno Rococò va di moda il grand tour, in pratica una lunga vacanza in giro per l’Europa, per completare la crescita dei giovani ricchi rampolli aristocratici.

Tra la fine della scuola e l’inizio della vita lavorativa infatti troviamo un gran movimento di turisti privilegiati che, non essendo ancora state inventate le cartoline, richiedono come ricordo del loro viaggio, dei quadri con paesaggi visitati (spesso da arrotolare e spedire a casa durante il percorso…ecco perché spesso le vedute sono di piccolo formato), nasce così il vedutismo.

I maggiori pittori vedutisti sono il già citato Antonio Canal detto Canaletto, suo nipote Bernardo Bellotto, ma anche Luca Carlevarijs, Francesco Guardi e Giovanni Paolo Pannini

https://it.wikipedia.org/wiki/Canaletto
Santa Maria Formosa, Canaletto

Ricordate sempre che non tutte le vedute dell’epoca sono affidabili come vere e proprie fotografie…

Andava infatti di moda anche il capriccio, paesaggi inventati ma  credibili, spesso con rovine pittoresche oppure con accostamenti improbabili di edifici realmente esistenti ma geograficamente distanti.

La meta preferita del grand tour è ovviamente l’Italia, soprattutto Venezia,  Roma, Napoli con  il Vesuvio e la Sicilia (comodissima questa per poter vedere anche l’arte greca senza dover necessariamente arrivare fino in Grecia).

Ma come venivano realizzati questi paesaggi? Con un aiutino…

La camera ottica, appunto.

Il primo a parlarne è addirittura Aristotele ma anche Leonardo ne progetta un modello che possiamo vedere nel Codice Atlantico (in questo caso si tratta proprio di una “stanza” ottica) ma la studierà anche Daniele Barbaro (sì sì quel Barbaro della Villa Barbaro a Maser di Palladio e decorata dal pittore Paolo Veronese).

La camera ottica è in pratica la trisavola delle nostre macchine fotografiche. Pensateci… senza questa invenzione non potreste nemmeno farvi i selfie!

In una stanza completamente buia…ma buia buia eh…se facessimo un foro nel muro (foro stenopeico) scopriremmo con stupore che l’immagine illuminata all’esterno verrebbe automaticamente proiettata sulla parete opposta al foro in modo piuttosto preciso anche se capovolto. E ricalcarla…sarebbe un attimo!

foro stenopeico
foro stenopeico

La stessa idea viene anche ai maggiori vedutisti del 1700…Canaletto, Bellotto (suo nipote) ma anche a van Wittel (padre di Vanvitelli, l’architetto che costruì la Reggia di Caserta).

Ma girar per calli veneziane con una camera ottica a dimensioni reali non sarebbe stato molto comodo…ecco quindi che i nostri vedutisti si dotano di versioni ridotte di questo miracoloso marchingegno.

In qualche caso si servono di una “cameretta” trasportabile (seppur con l’aiuto di forti braccia), in altri casi invece ne realizzano una versione davvero piccola e leggera come quella ancora conservata al Museo Correr di Venezia di proprietà di Canaletto.

camera ottica semitrasportabile
camera ottica semitrasportabile

La camera ottica è formata da una scatola, una lente e un tubo, uno specchio e un vetro sul quale potersi appoggiare per ricalcare, con pazienza e rapidità, il paesaggio prescelto e…la luce del sole (al buio o in penombra tutto il procedimento  diventa impossible).

camera ottica
camera ottica

Canaletto riesce così a rappresentare la sua Venezia con una incredibile attenzione ai particolari, tanto che ancora oggi, qualche volta, sono state utilizzate le sue opere in caso di restauro di quegli stessi palazzi da lui perfettamente dipinti. Questo pittore generalmente realizzava una serie di ricalchi dei paesaggi, piccoli fogli che accostati davano poi la veduta finale. Per non perdere tempo (e non perdere la luce), si limitava a disegnare in bianco e nero (ma annotava con cura i colori da utilizzare in seguito, in studio, durante la realizzazione dell’opera finale in dimensioni maggiori).

camera ottica semitrasportabile
Serie di 4 fogli per un’unica veduta, Canaletto

 

Nel laboratorio di falegnameria abbiamo provato a riprodurre una piccola camera ottica in scala

L’immagine ottenuta è piccina (in pratica poco più grande della lente utilizzata), piccola immagine che ha però provocato grande stupore: senza elettricità, senza cavi, senza computer…abbiamo visto il mondo a colori e in movimento così come lo aveva visto Canaletto e ci è venuta voglia di continuare a sperimentare (il prossimo passo infatti sarà un prototipo più grandino da poter realmente utilizzare per ricalcare le…vedute milanesi che circondano la nostra scuola, la  Trevisani Scaetta).

 

Se siete ancora curiosi…

Passando vicino  a  Parma dovete assolutamente fare una capatina a Fontanellato.

Nella Rocca Sanvitale infatti nel 1800 il conte Giovanni Sanvitale ha voluto ricreare, nel torrione sud, una camera ottica vera e propria, attualmente è l’unica di quell’epoca, in Italia,  ad essere ancora perfettamente funzionante!

Alle Gallerie d’Italia a Milano, nel 2016, c’è stata una bellissima mostra dedicata proprio a Canaletto, Bellotto ed altri vedutisti…

se ve la siete persa potete godervi un buon riassunto  e vi riporto direttamente un filmato molto semplice ma chiaro sulla nascita della camera ottica:

Watch video!