Monet a Palazzo Reale a Milano dal Marmottan di Parigi

Monet a Palazzo Reale a Milano dal Marmottan di Parigi

In mostra troviamo una selezione di opere di Claude Monet, direttamente dal Musée Marmottan di Parigi. Ma il Marmottan, lo studioso,  aveva una vera passione per l’arte napoleonica e quindi tutta dedicata al neoclassicismo, un gusto lontanissimo da quello che caratterizza la pittura impressionista che però, nel 1966, eredita, stavolta dal figlio minore dell’artista, Michael Monet, la più vasta collezione al mondo di opere di Monet.

Del resto, ricordiamolo, l’impressionismo stesso ebbe origine proprio da un’altra mostra, nel 1874, nello studio del fotografo più famoso dell’epoca, Nadar, il folle che oltre a ritrarre i più famosi personaggi dell’epoca, riuscì a fotografare Parigi dall’alto, salendo su di una mongolfiera! L’esposizione del 1874,  ospitando i nuovi pittori, anche lì accosta le loro opere modernissime a quelle più classiche realizzate da artisti in voga in quel momento, farà poi scrivere il famigerato articolo al giornalista Luis Leroy che diede il nome, con intento dispregiativo, a questa nuova corrente, prendendo spunto proprio dall’opera di Monet, «Impressione, levar del sole».

Con l’impressionismo nasce anche la pittura en plein air, all’aria aperta, impossibile fino all’ottocento perché resa possibile solo dall’invenzione dei colori in tubetto, colori che prima richiedevano un intero studio a disposizione e tempi e competenze, quasi da piccolo chimico. Ora è tutto più immediato. Gli artisti viaggiano, anche grazie allo sviluppo della rete ferroviaria, portandosi dietro tutto l’occorrente per dipingere…sì certo tele piccole, molto trasportabili. Ma il cambiamento è realmente epocale anche se ci son problemi dati proprio dal luogo…ad esempio la necessità di dipingere molto velocemente, per non perdere la luce, per non incorrere nei guai di un tempo variabile, un vento emozionante ma sicuramente scomodo, uno stormo di piccioni incontinenti insomma i rischi sono tanti!… Si iniziano a vedere le pennellate, il tratto deve essere rapido per forza, cambia anche la gamma cromatica perché i colori, visti e rappresentati alla luce del giorno, sono molto diversi da quelli cui erano ormai tutti abituati lavorando al chiuso in uno studio. Monet a volte dipingeva direttamente su di una barca attrezzata, per rimanere più vicino all’acqua! A volte si faceva dare una mano, come facchino, da Poly, un pescatore di aragoste, qui ritratto con lo sguardo  in tralice e la barba incolta e quell’aria un po’0 così, diciamo ruvida che va a sottolineare il carattere schivo del pescatore e la vita dura che caratterizza le condizioni di vita sull’isola di Belle-ile-en-mer

E sapete chi, letteralmente, trascinò all’aria aperta Monet? Eugéne Boudin che, pochi lo sanno, è un po’ il padre dell’impressionismo, seppur in maniera inconsapevole. Figlio di un marinaio, inizia a lavorare nel campo artistico, diciamo così,  aprendo una cartoleria. Conosce quindi artisti vari, tra i quali anche Millet, che lo convinceranno a lasciare il negozio per darsi all’arte. Una sua frase fa ben capire questo nuovo approccio all’arte: «Tre colpi di pennello dal vivo valgono più di due giorni di lavoro al cavalletto».  Quando è già affermato, incontra un Monet diciassettenne, nel 1858 e gli mostra, letteralmente, tutto il mondo e il modo di dipingere en plein air. In mostra abbiamo un’opera con delle mucche come soggetto. Anche Johan Jongkind, viene considerato da Monet un suo maestro nonché amico e con questo artista e collega condividerà viaggi e scoperte, tanto che alla sua morte, quando le sue opere vennero vendute all’asta, Monet comprò questa veduta di Avignone, datata 1873…proprio la data del primo soggiorno del pittore in questa cittadina.

Nel 1870 Monet sposa Camille Doncieux e vanno, chiamiamola luna di miele, all’hotel Tivoli a Trouville-sur-mer… Ma i soldi son pochi e così l’idea è anche quella di vendere i lavori del pittore ai vari turisti che frequentano la costa. Ed ecco quindi che Monet dipinge il porto di Trouville, l’Hotel del Roches Noires e svariati ritratti della neomoglie, Camille, in spiaggia anche mentre è in compagnia della moglie di Boudin, oppure da sola, vestita di bianco. Monet viaggerà parecchio, sia in Francia che all’Estero (anche in Italia eh, a Bordighera!) e del suo viaggio in Olanda abbiamo come ricordo questa immagine del porto di Zaandam ah sappiamo che ne parlerà, per lettera, anche al suo amico Pissarro, lodando i paesaggi olandesi per i colori , i mulini a vento e le barche…

I pittori impressionisti rivoluzionano la pittura non solo per quanto riguarda la tecnica ma anche per quanto riguarda il soggetto che diventa quasi…secondario! Cercano le sensazioni che un paesaggio o una scena quotidiana possono suscitare in loro e per rappresentarle al meglio ricorrono all’osservazione della luce e dei colori che inevitabilmente variano proprio a seconda della luce che li va ad illuminare. Se la luce poi varia, si muove, anche rapidamente…per il pittore impressionista è davvero il massimo.

Ma perché tutto questo? Perché ormai la fotografia è arrivata e ha cambiato tutto nel mondo dell’arte! I pittori si ritrovano ad avere come concorrente diretto della pittura uno strumento meccanico certo molto diverso dalle macchine fotografiche cui noi oggi siamo abituati eh…ma sicuramente molto più rapido e fedele di un dipinto. Il pittore impressionista quindi cerca di andare oltre alla fotografia (anche senza demonizzarla eh, molti pittori dell’epoca useranno le fotografie come basi per i loro lavori, ma appunto proponendo ciò che le immagini dell’epoca non potevano fare. Del resto erano fotografie in bianco e nero, con tempi lunghi di esposizione che spesso causavano una fotografia mossa con risultati quindi molto rigidi e poco emozionanti…quello che invece riuscivano a fare i pittori!) ed ecco quindi che Monet inizia a dipingere il vento che muove le foglie sugli alberi e i fili d’erba nei prati…

 

Dipinge l’acqua che scorre nella Senna o il mare mosso che lambisce le rocce alla base delle  case nel dipartimento della Creuse. ma…Monet ama dipingere più volte lo stesso soggetto proprio per poterlo rappresentare nei vari momenti del giorno con la luce che cambia i colori e modifica quasi forme e sensazioni

L’abbiamo già accennato ma ricordiamolo: la pittura di Monet e di tutti gli impressionisti che lavorano all’aria aperta, è possibile solo grazie ai nuovi pigmenti sintetici appena apparsi sul mercato. Pratici e in tubetto, certo, ma anche molto più saturi dei pigmenti tradizionali. La palette di Monet cambia con il tempo e con la tecnica: dal 1860 rinuncia al nero e ai colori scuri come il blu di Prussia, pian piano eliminerà anche il giallo di cromo e il verde smeraldo perché erano poco stabili e tendevano a cambiare troppo con il passare del temp. L’arancio cadmio ad esempio, è stato inventato solo nel 1820 ma si diffuse tardi perché era troppo costoso, puro è arancione ma mescolandolo si ottengono infinite sfumature di gialli e di verdi. Il Viola di cobalto chiaro si trova dal 1859, una novità assoluta per gli artisti che prima dovevano mischiare rosso e blu per ottenerlo e…non era certo una cosa semplice! Monet lo usa parecchio e di questo colore disse: «Ho finalmente scoperto il vero colore dell’atmosfera, è violetto. L’aria fresca è violetta. Fra tre anni tutti lavoreranno con il violetto».

A Londra dove soggiornerà per tre volte tra il 1899 e il 1901 Monet sperimenta un po’ di tutto. Paesaggi spettrali generati dalla nebbiolina del Tamigi e la nebbia, cari miei, fa perdere la testa a Monet: impalpabile, difficilissima da rappresentare…è però importantissima per gli studi del pittore sulla, luce e il colore che con la nebbia variano in maniere incredibili

E con le vedute del Parlamento inglese, dipinte in momenti e soggiorni differenti, inizia una nuova fase di ricerca. Il soggetto diventa solo un pretesto da cui partire per le serie di dipinti tutti uguali…eppure tutti così pazzescamente diversi.

Nel frattempo aveva scelta di tornare alla vita cittadina di una Parigi che rappresentava la metropoli  con fabbriche, stazioni e moderni mezzi di locomozione, luoghi ai quali dedicò parecchi dei suoi studi

Nel 1890 Monet, finalmente raggiunge una tranquillità economica, dopo che per anni e anni era vissuto al limite della povertà (spesso lo aveva aiutato economicamente l’amico e collega Caillebotte). Acquista quindi un casolare a Giverny per dedicarsi al giardinaggio per realizzare così un parco ornamentale intorno alla casa. Rose, gelsomini, narcisi e…uno stagno con ninfee bianche e rosa. Un ottimo spunto per dipingere sì all’aria aperta…ma con tutte le comodità d’essere a casa.

Le ninfee sono una scusa, un pretesto per analizzare la luce nel suo variare a seconda delle ore e anche per mostrare al mondo come procedeva in questo studio: «per ore», esponendo quindi poi questa serie di dipinti alla galleria Durand-Ruel con la mostra intitolata «Le ninfee, serie di paesaggi d’acqua» che fu molto apprezzata da pubblico e critica.

E qui dobbiamo fare necessariamente un piccolo passo indietro e ricordare il legame strettissimo tra Monet  e l’arte orientale. L’arte orientale era rimasta chiusa entro i suoi confini tranne  sporadici e timidi contatti fino ad esplodere con l’Esposizione Universale di Parigi del 1867  e anche oltre. Le opere del mondo fluttuante, ukiyo-e, stampe che in patria erano diffusissime, spesso venivano poi riciclate come imballaggi per proteggere le pregiate ceramiche destinate all’esportazione. Ed ecco quindi che in Francia arrivarono proprio in questo modo, nel 1856, i lavori di Hokusai, Utamaro e altri. L’artista Bracquemonde che riconobbe in quegli imballaggi immagini ben più preziose, iniziò a diffonderle e a parlarne in giro decretandone così un incredibile successo.

 

Monet ritrae sua moglie Camille, in posa con ventaglio e kimono rosso con stampato, sulla stoffa, un samurai che sembra quasi avere vita propria. E il Giappone torna nei ritratti delle passeggiate dove le figure femminili si riparano dal sole così come le figure orientali si riparano dall’acqua nelle stesse identiche pose.

 

Ma il legame tra l’artista e l’arte giapponese lo troviamo anche  in qualche inquadratura di paesaggi che ricordano davvero tanto le stampe orientali.

L’oriente lo ritroviamo anche nelle composizioni spesso asimmetriche, elegantissime e  nella scelta dei fiori come soggetti, come gli Iris che ricoprivano realmente lo stagno di Givergny, i preferiti da Monet erano proprio i giaggioli dai petali viola-blu e questa è una delle nove tel  dedicate a questo tema. Il soggetto è libero dalla prospettiva tradizionale, sulla destra la tela è lasciata volutamente incompleta e parte sicuramente dalle stampe giapponesi per arrivare poi ad uno stile autonomo.

Nel 1893 Monet si fa allestire in giardino il suo personale ponte giapponese nel laghetto con le ninfee, all’inizio un ponticello semplice, ma nei dieci anni successivi aggiungerà i glicini dalle fioriture alternate. Ora il ponte non unisce più solo le due sponde del lago ma è anche perfetto scenario per rappresentare e studiare la luce, tanto che diventerà il soggetto principale di 47 opere, tutte con lo stesso identico titolo. Le prime avranno uno stile ancora realistico, il ponte è riconoscibile al centro della composizione ombreggiato dalle foglie che si riflettono sull’acqua

Verso i 70 anni, nel 1908, Monet però inizia ad avere grossi problemi di vista. Le ore di lavoro si riducono durante il giorno limitandosi alle ore più luminose e indossando un ampio cappello di paglia per proteggere gli occhi da quella luce indispensabile al lavoro dell’artista ma quasi dolorosa. La cataratta è nemica diretta del famoso occhio di Monet, lo sguardo sensibilissimo verso  tutti i colori che lo circondano…un occhio che inizia a tradire l’artista ma che getta le basi per la pittura di tutto il novecento e anticipando l’arte astratta

I colori cambiano, i dettagli si perdono, la percezione delle distanze diventa molto meno affidabile. Le opere testimoniano questo cambiamento, ormai è quasi cieco! Ma a 83 anni Monet si fa operare all’occhio destro e riconquista la vista, anche se ovviamente non del tutto. E dalle forme sfaldate prima, dalla cataratta e poi dalla visione trasformata dalla luce, arriva fino a forme che non ricordano, se non molto vagamente, il soggetto da cui era partito… come ad esempio nella serie del Salice piangente che si trasforma via via in linee di colore astratto.

Ormai il Monet impressionista è stato sorpassato dal Monet che, anziano, risulta modernissimo e nelle varie serie che realizza mette bene in evidenza l’evoluzione della forma: il passaggio dalla precisione dell’arte giapponese, allo studio delle luci, delle forme che si sfaldano e cambiano…fino al problema  delle ombre, argomento discusso tra i pittori suoi contemporanei. Nelle opere di Monet le ombre non sono mai nere ma sempre colorate, soprattutto di violetto e di blu per le ombre create dal sole mentre sono in verde per le ombre della luce al tramonto

GUGGENHEIM La collezione Thannhauser. Da Van Gogh a Picasso

GUGGENHEIM La collezione Thannhauser. Da Van Gogh a Picasso

GUGGENHEIM
La collezione Thannhauser. Da Van Gogh a Picasso…a Palazzo Reale a Milano!

Immaginate una famiglia di ricchi collezionisti ebrei che dalla fine del Novecento si fa notare tra i maggiori mercanti d’arte per la spiccata passione per l’arte di avanguardia.

Immaginate come poteva essere casa loro…anzi no, non serve immaginarla, una serie di fotografie in mostra ci fanno realmente capire cosa significa l’incontro tra una donazione privata, questa dei Thannhauser e un museo come il Guggenheim. Opere che finiscono direttamente in mostra in un museo…passando dal salotto buono!

Le cinquanta opere esposte coprono praticamente un secolo di storia dell’arte  partendo cronologicamente dalle opere impressioniste e post impressioniste degli artisti più famosi come Cézanne, Seurat e Renoir. Renoir che qui ci presenta Lise Tréhot, modella ma anche compagna dello stesso Renoir per ben sei anni. Qui non ancora impressionista ma quasi. La pennellata è delicata e la scena intima e quotidiana. Il pappagallino in gabbia quasi soffoca quanto la donna in questo ambiente dell’alta borghesia effettivamente un po’ troppo ricolmo di decorazioni, suppellettili e la stessa veste, scomoda, pesante ed opprimente. Ma guardate bene i colori e il gioco di sguardi: c’è proprio un filo sottile che collega questo pappagallino variopinto alla donna che ha nelle pieghe del vestito un richiamo diretto alle piume e nel colore dell’orecchino…lo stesso identico colore delle sbarre della gabbietta. Le donne all’epoca effettivamente non vivevano certo in massima libertà come gli uomini…erano ingabbiate proprio come gli uccellini!

Di Manet vediamo due donne, differenti eppure accomunate dalla stessa pennellata imprecisa eppure così chiara nel definire forme e colori.

Della figura femminile Davanti allo specchio vediamo bene solo la schiena, nuda, il corsetto allargato che permette appena il respiro. lo specchio non ci mostra il suo volto che possiamo solo immaginare…Ma noi siamo lì dentro con lei, lo spettatore fa parte quasi del dipinto, lei sa che di non essere sola, ecco perché porta indietro quel braccio e, quasi, ci sfiora. La donna con il vestito a righe invece ci guarda serena. L’opera tra l’altro è stata ritrovata incompleta nella soffitta dell’artista ed è stata sicuramente completata, nello sfondo, da altre mani (ci sono addirittura delle fotografie dell’epoca come prova del suo essere incompleta…ma per vendere bene un quadro è meglio sia tutto colorato no?!) E quindi la figura femminile e il suo vestito, originariamente pare essere stato addirittura descritto come “violetto”, oltre al completamento forzato hanno subito anche una bella verniciatura lucida e, nelle intenzioni, protettiva che ingiallendo negli anni…aveva reso addirittura il vestito verde! Appena prima della mostra l’opera è stata restaurata completamente tornando, si spera, ai colori originari…quelle righe blu notte che tanto andavano di moda in questi abiti elegantissimi dal corsetto che levava il fiato!

Dalle opere impressioniste si arriva poi ai paesaggi, qui nemmeno poi troppo esotici, di Gauguin che forse confonde la lingua tahitiana e sceglie come titolo la traduzione di “vieni qui” per un dipinto bucolico con palme e maiali in primo piano. I paesaggi di Van Gogh sono contorti  e sofferti così come probabilmente era la visione del mondo che aveva l’artista in quel momento in cui, proprio a Saint Rémy, era ricoverato nel manicomio psichiatrico e vedeva nella pittura en plein  air una forma di terapia.  E si rimane  poi stupiti di fronte ad un Monet che a Venezia ripensa sicuramente al Canaletto ma che preferisce cogliere l’atmosfera della laguna veneziana più che i particolari dei palazzi riflessi nei canali.

I Paesaggi cittadini che sceglie di rappresentare il giovane Picasso appena arrivato a Parigi per l’Exposition Universelle, nell’ottobre del 1900, sono movimentati come lo doveva essere il giorno della festa per la presa della Bastiglia o come le scene della famosa sala da ballo di Montmartre dove l’artista rappresenta una scena notturna un po’ decadente animata da ricchi, giovani della borghesia francese e prostitute, ben riconoscibili nel lato a sinistra dell’opera, grazie a quel trucco così marcato. Il taglio dell’opera è fotografico, e proprio di taglio dobbiamo parlare visto e considerato che i personaggi laterali sono proprio, almeno in parte, fuori dalla scena dipinta, così da far avvicinare il più possibile lo spettatore a questa atmosfera parigina…

Si arriva poi all’espressionismo che trasforma i paesaggi cercando la rappresentazione delle sensazioni e delle emozioni più che la rappresentazione realistica della natura… e abbiamo così un Braque che nei pressi di Anversa dipinge con colori improbabili il porto nelle Fiandre. Del resto anche i fondatori del Cavaliere Azzurro,  Kandinsky e Marc, ricercano il potenziale espressivo del colore e le associazioni simboliche per immaginare  un futuro migliore proprio attraverso l’arte. La montagna diventa blu, blu come il Cavaliere del loro sogno utopistico mentre la mucca, giallissima addirittura con macchie blu,  è leggiadra come se fosse una ballerina di Degas!

Ai Thannhauser piaceva sostenere gli artisti  emergenti fin dagli anni precedenti la Grande Guerra ma dagli anni ’30, causa crisi economica internazionale prima e per l’ascesa del nazismo poi, sono costretti a chiudere la Galleria di Berlino trasferendosi a Parigi e poi a New York. In America la residenza Thannhauser diventa un punto di incontro per personalità di spicco dell’epoca del mondo dell’arte, certo, ma anche della musica, del teatro e del cinema: Bernstein, Duchamp, Toscanini e Picasso…Tutti presenti in questo salotto che era anche fucina di idee e sponsorizzazione per i tanti grandi nomi all’inizio della loro carriera. Ed ecco i primi accenni dell’arte cubista quando Picasso lavora fianco a fianco con Braque nei Pirenei Francesi, i toni di grigio e marrone formano i piani delle case che si incastrano tra loro caratterizzati dalla molteplicità di punti di vista contemporanei. Anche Delaunay sceglie come soggetto le città e ne fa addirittura una serie di otto dipinti, in mostra ne possiamo vedere uno, caratterizzato dalle pennellate a quadrettini regolari e dai tocchi di colore vivace, rossi e verdi che risaltano sul bianco e sul grigio dello sfondo.

Non mancano comunque le classiche nature morte, anche queste che vanno variando man mano che passa il tempo e varia lo stile artistico…

Ma in mostra troviamo anche Rousseau il Doganiere, Gris, Picabia, Matisse e Klee…

Milano, Palazzo Reale, dal 17 ottobre 2019 al 1 marzo 2020

Il passare del tempo

Il passare del tempo

Studiando gli Impressionisti con  Monet e la sua volontà di rappresentare il passare del tempo, come ad esempio nella serie “la cattedrale di Rouen” oppure nel “Parlamento di Londra”… ci siam detti: facciamolo anche noi!

Qualcuno si è limitato alle variazioni di orario e di luce…altri hanno spaziato attraverso il tempo, lo spazio, le stagioni o l’istante rapidissimo…

I risultati son tutti originali, alcuni buffi, altri poetici, alcune immagini “passano lentamente” altre invece son quasi da rincorrere ad alta velocità.

I soggetti son molto variabili…dallo sbarco in Normandia alle stagioni, alle nascite, all’amore…