Test di autovalutazione: Romanticismo

Romanticismo!

Ma quante ne sai ?!?

E siamo alle solite…se non arrivi a ricordarne almeno 18 su 20…ti strozzo! Ripassa, daiiii

se ne sai da:

0-5 “capra!capra!capra!

6-14 “sei appena decente, non ti esaltare troppo”

15-18 “hai avuto più fortuna che anima!?”

19-20 “ma che te sei magnato un libro!?”

Lezione di Storia dell’Arte: Romanticismo

 

Test di autovalutazione: Neoclassicismo

Neoclassicismo!

Ma quante ne sai ?!

E attenzione…se ne azzeccate meno di 18 su 20…vi tocca ripassare!

se ne sai da:

0-5 “capra!capra!capra!

6-14 “sei appena decente, non ti esaltare troppo”

15-18 “hai avuto più fortuna che anima!?”

19-20 “ma che te sei magnato un libro!?”

Storia dell’Arte: Neoclassicismo

Piccola guida per il percorso “Arte Moderna” in Brera!

Piccola Guida  per il turista faidate alla Pinacoteca di Brera!

Se ti sei distratto durante la visita con la tua classe o se vuoi fare da guida ai tuoi amici e famigliari o se proprio sei stato assente e hai bisogno di riassunti minimi su… tutto… questo è l’articolo per te!

Percorso artistico in Pinacoteca di Brera: Romanticismo, Macchiaioli, Divisionismo, Futurismo, Cubismo, Metafisica

 

Sala XXXVII

Romanticismo -1830 circa

Movimento artistico, musicale, culturale e letterario sviluppatosi al termine del XVIII secolo in Germania per poi diffondersi in tutta Europa. In contrapposizione all’Illuminismo esalta emotività,  passioni e caratteri individuali. Si vuole sottolineare il  concetto di popolo e nazione tornando alle origini che hanno portato alle moderne nazioni, al periodo del Medioevo.

1 – IL BACIO  1859

Francesco Hayez        
Hayez tre versioni Il bacio brera

  Opera simbolo del romanticismo italiano. Ambiente e abbigliamento medievali. Un bacio passionale, soprattutto per quell’epoca, forse un addio (lui ha un piede già sul gradino). Il fianco di lei è inclinato verso sinistra per far intravedere l’arma dell’amato (è un combattente!), il colpo di luce sul fianco della ragazza permette così di mettere in evidenza anche la bravura tecnica dell’artista che rappresenta una seta azzurra cangiante che sembra vera. Si intravede una figura nell’ombra, forse una spia. Il significato nascosto infatti è tutto politico. È stato realizzato dopo gli accordi segreti di Plombières che vedevano Francia e Italia alleate contro gli Austriaci. I colori non sono casuali, i colori del le varie parti di abbigliamento infatti formano le bandiere di Italia e Francia strette in un abbraccio cioè in un patto. Questo soggetto ebbe molta fortuna tanto che l’artista ne fece più copie variando di volta in volta i colori. Nella versione eseguita per celebrare la proclamazione del Regno di Italia, l’azzurro  francese quasi scompare e il vestito della ragazza è praticamente bianco.    

2 – TRISTE PRESENTIMENTO 1862

Girolamo Induno
Induno, Triste presentimento

Posto nella parete di fronte al più celebre “il Bacio” di Hayez, è la prova di quanto fosse diventato famoso e simbolico quel soggetto. In questa scena dove una ragazza rimira, un piccolo ritratto dell’amato (garibaldino, lo si capisce dalla giubba rossa abbandonata con noncuranza sulla sedia), amato  partito per la guerra dalla quale forse non tornerà. IL soggetto risorgimentale è molto ben illustrato grazie a vari particolari storici, ad esempio il piccolo busto di Garibaldi in una nicchia, una rivista appesa alla finestra e una piccola stampa appesa alla parete proprio del Bacio di Hayez, opera simbolo per tutti gli uomini pronti a morire per la propria patria.   

3 – RITRATTO DI ALESSANDRO MANZONI 1841

Francesco Hayez
Alessandro Manzoni, Hayez
Teresa Manzoni, Hayez

Il classico ritratto di Manzoni che compare su tutti i libri di letteratura! Ci mostra un Manzoni molto quotidiano, a  noi sembra molto composto ma paragonato ai ritratti ufficiali dell’epoca, molto più rigidi e impostati, appare davvero come una persona normale in un momento di tranquillità famigliare. IL committente dell’opera infatti è Stefano Stampa, figliastro di Manzoni che richiede ad Hayez un doppio ritratto (al suo fianco nella stessa parete infatti trovate la moglie Teresa), immagini da tenere in famiglia, senza la pomposità richiesta a ritratti ufficiali di persone famose quale era già Manzoni in quell’epoca. Non c’è nessun riferimento alla sua professione, in mano ha addirittura una tabacchiera che veniva usata molto probabilmente davvero solo in privato.

4 – MALINCONIA 1840

Francesco Hayez
Hayez ,Malinconia

Opera descritta addirittura dallo stesso artista nelle sue memorie: per lui la malinconia è rappresentata  da una giovane donna in vesti medievali, preda di un sentimento amoroso, soggetto ripreso dal vivo, fiori nel vaso compresi. I fiori richiamano direttamente le nature morte anche perché tendono a sfiorire come, forse, l’amore per l’uomo magari lontano o magari proprio simbolo di un amore finito (chissà magari sono l’ultimo omaggio floreale di un amato che si è poi allontanato) ma anche se sfioriti son comunque un suo ricordo e buttarli non è semplice. Le vesti scomposte (con tanto di spalla nuda esposta!) sono assolutamente inusuali per una donna per bene che all’epoca, vi ricordo, andava a letto più vestita e coperta di quanto noi andiamo in giro oggi normalmente per strada. Ma l’amore è il suo unico pensiero e forse appunto magari si tratta anche di un amore infelice.

 

Sala XXXVII

Macchiaioli   -1862 circa

Gruppo di artisti attivi a Firenze, si incontravano infatti al caffè Michelangelo. Prendono il nome da una definizione dispregiativa che li definiva così per lo stile pittorico, a macchie appunto, tanto lontano dalla precisione quasi maniacale per le sfumature e la resa dei materiali tanto cara ad Hayez e alla generazione di  quegli artisti che ai macchiaioli avevan fatto da maestri nelle Accademie di Belle Arti. Anticipatori, seppur di poco, della tecnica che rese famosi  gli impressionisti francesi. Veristi per definizione, vogliono rappresentare la realtà così come la vediamo, a volte un po’ a macchie, con contorni indefiniti. Spesso son cronisti sul campo, quasi fotografi, per gli episodi delle guerre di indipendenza che mostrano in momenti poco eroici, con intento anticelebrativo.

5 – IL PERGOLATO 1868

Silvestro Lega
Lega, Il pergolato

Dipinta dall’artista sui colli fiorentini, ripresa dal vero, mostra un momento di calmo e quasi noioso pomeriggio estivo di una famiglia della media borghesia.  Le donne si fanno aria con il ventaglio, la bambina sullo sfondo forse sta decantando una poesia, una cameriera arriva a portare il caffè. L’attenzione dell’artista è tutta per i toni di luce che attraversando le foglie del pergolato colorano di macchie chiare i vestiti delle figure femminili nell’ombra rinfrescante.

6  – IL RIPOSO 1887

Giovanni Fattori
Fattori, Riposo (carro rosso)

Raffigura un contadino mentre riposa assieme ai suoi buoi. I colori utilizzati sono principalmente quelli primari: il carro rosso, il campo giallo e il cielo blu. Il carro si intravede appena, è quasi fuoricampo, è un esempio di taglio fotografico, comune ormai ai soggetti di pittori abituati a convivere con la fotografia che ha permesso di inquadrare soggetti non sempre perfettamente al centro creando opere non proprio messe in posa  ma appunto quasi “fotografate all’improvviso”. È anche l’esempio di come fossero cambiati i soggetti scelti dai pittori moderni, senza committenza e spesso quindi senza molti soldi, si ritrovavano a dover dipingere magari più volte su di una stessa tela nel caso l’opera finita non avesse incontrato il favore del pubblico trovando un compratore. Spesso per risparmiare questi pittori non usano nemmeno delle tele ma riciclano i cartoni di spedizione.

 

Sala XXXVIII

Divisionismo    -1891 circa

Movimento pittorico che prende spunto dal Puntinismo francese per quanto riguarda la tecnica che utilizza i colori primari (a filamenti, non proprio a puntini come i francesi), ma strettamente legato alla corrente della Scapigliatura Lombarda. Contorni sfumati, leggerezza e luminosità uniti a tematiche allegoriche e sociali.

7 – PASCOLI DI PRIMAVERA 1896

Giovanni Segantini
Segantini, Pascoli a primavera

Artista dall’infanzia tormentata, nato ad Arco (all’epoca in Austria) cresce poi a Milano da una sorella, viene arrestato, rinchiuso in riformatorio, ma riesce a studiare all’Accademia di Belle arti di Brera. Apolide forse per un errore (la sorella restituì il certificato di cittadinanza austriaca senza però richiedere quello nuovo all’Italia) andrà avanti e indietro tra la città e le sue montagne fino a quando sposerà Bice Bugatti (sì sì quella delle automobili) e vivrà poi in svizzera. I suoi paesaggi sono i veri protagonisti delle sue opere anche se son spesso presenti uomini (piccoli di fronte alla grandezza della natura) e animali (di montagna). Anche in quest’opera ci son delle figurine umane piccolissime che si intravedono in lontananza ma al centro in primo piano troviamo una mucca e un vitellino, ritratti dal vivo, appositamente messi in posa per esser copiati dal vero con la tecnica divisionista (allontanatevi per vedere bene il quadro anche se lo spazio è effettivamente ridotto).

8 – FIUMANA 1895

Giuseppe Pellizza da Volpedo
Pellizza, Fiumana

Quest’opera è rimasta incompiuta per volontà dell’artista così come un altro quadro preparatorio per lo stesso soggetto. La versione finale “Quarto Stato”  è attualmente esposta nel Museo del Novecento (piazza Duomo).  Ritrae dal vivo i concittadini e gli amici del pittore, i cittadini di Volpedo (ancora oggi i discendenti si ritrovano per mettere in scena quest’opera). L’immagine diventa un simbolo per i diritti dei  lavoratori che stanno scioperando (cosa illegale all’epoca) e avanzano verso lo spettatore lasciandosi alle spalle il buio per andare simbolicamente verso la luce. Le tre figure in primo piano rappresentano le lotte per i diritti dei lavoratori. La donna con il bambino in braccio, moglie del pittore, ricorda come fossero nulli i diritti legati alla maternità che spesso di fatto faceva perdere il lavoro, così come erano nulle le tutele legate agli infortuni sul lavoro (forse la mano del personaggio con la barba è nascosta perché ferita). Al centro  la figura maschile tiene la giacca come il David di Michelangelo teneva la fionda con cui vinse sul gigante Golia. Fiumana è un fiume in piena che distrugge tutto ciò che incontra, questo fiume è composto da lavoratori di campagna e di città (sullo sfondo si intravedono due differenti edifici che poi svaniranno nella versione finale). La versione finale è attualmente esposta nel Museo del Novecento ma di libero accesso a chiunque senza pagar biglietto di ingresso perché comprata attraverso una pubblica sottoscrizione da tutti i cittadini di Milano.

Sala X

Futurismo   -1909

Movimento artistico e culturale che ha origine a Milano (ma il Manifesto futurista verrà pubblicato su “Le Figaro” di Parigi nel 1909 per avere più visibilità. Il movimento interesserà molti campi quali ad esempio la musica, la moda, la cucina, l’arredamento. Si divide in due fasi: una prima della guerra (vista con favore dai futuristi, la guerra distrugge e permette di ricreare tutto più nuovo, più bello e più moderno).Una seconda fase invece inizia con la fine della guerra che con i suoi orrori ha mostrato il crollo degli ideali futuristi, in questa fase i futuristi si avvicinano al cubismo. Vogliono mostrare il movimento, la modernità, esaltano tutto quanto è nuovo, dalla luce elettrica, alle auto, agli aerei. Voglion cambiare l’abbigliamento (basta nero w il colore!) e anche la cucina italiana (utilizzeranno coloranti artificiali e impiattamenti molto simili a quelli modernissimi che noi ora vediamo in tv o nelle manifestazioni di street food dove si mangiano miniporzioni con le mani. Per loro la vera musica è quella dei rumori di produzione delle fabbriche.

9 – AUTORITRATTO  1909

Umberto Boccioni
Boccioni, autoritratto

Frontalmente vediamo questo ritratto ma sul retro ne potremmo vedere un altro, incompleto e forse non particolarmente gradito all’autore. Eseguito nello studio del pittore in via Adige a Milano, all’epoca periferia, ma nello sfondo si vedono palazzi in costruzione, la modernità che avanza! Reduce da un viaggio in Russia mostra con orgoglio il suo colbacco e la sua tavolozza (è un artista ma anche un uomo di mondo). La tecnica è ancora divisionista seppur in maniera meno evidente.

10 – LA CITTA’ CHE SALE   1910

Umberto Boccioni
Boccioni, Citta che sale

 La città sale, i nuovi palazzi sono sempre più alti, tutto è in movimento. Colori accesi ed irreali, la scena mostra un cavallo imbizzarrito (rosso furore!) mentre due persone vestite di verde e blu e di rosso e verde, cercano di calmarlo. Cavallo e persone essendo in movimento veloce vengon riprodotti più volte con una tecnica tipica per i futuristi (che poi verrà adottata anche nei cartoni animati). La periferia di palazzoni sullo sfondo è modernissima anche grazie ad una locomotiva a vapore (si intravede sulla sinistra) che sfreccia veloce.

11 – RISSA IN GALLERIA  1910

Umberto Boccioni
Boccioni, Rissa galleria

Tecnicamente ancora divisionista ma in maniera esasperata, l’adesione al futurismo qui è evidente. Il luogo è la Galleria Vittorio Emanuele a Milano, il cuore della modernità dell’epoca. Il salotto buono dove i futuristi inscenavano le loro perfomance artistiche sconvolgendo i passanti con vere e finte risse iniziate con “l’urlo di guerra”  -ZANG!-  Al quale i presenti, pronti ad interagire con chiunque,  rispondevano  -TUMB  TUMB!-. Il movimento della scena è enfatizzato dall’uso dei colori primari e dalla luce (elettrica! Ci sono i primi lampioni, impossibile non rappresentarli). Compare anche una delle prime scritte in un quadro, quel “Caff” insegna del caffè in galleria teatro di questi tumultuosi incontri al quale siete invitati ancora oggi, voi osservatori dell’opera, proprio da un passante che si rivolge verso di voi alzando le braccia.

Sala X

Cubismo  -1907 circa

Termine dato quasi per caso con intento dispregiativo per criticare un’opera di Braque, un paesaggio con casette che sembravano appunto “cubetti in legno per bambini”. Per gli artisti cubisti sfondo e soggetto si fondono. Non esiste più solo un punto di vista ma più lati dello stesso soggetto visti da differenti punti di osservazione, in tutto questo entra anche il tempo a complicare le immagini perché è quello che permette la visione simultanea solo vagamente anticipata dai prossimi quadri che rappresentano un momento di passaggio tra i due movimenti: futurismo e cubismo.

12 – RITMI DI OGGETTI   1911

Carlo Carrà
Carrà, Ritmi di oggetti

Opera quasi di passaggio tra il movimento del futurismo e la compenetrazione dei piani dovuta ai differenti punti di vista del cubismo. La scena si svolge in galleria (ne vedete la cupola in vetro e ferro riflessa al centro, forse sul piano del tavolo). Molto probabilmente si tratta di tre amici (lo si capisce contando proprio i punti di vista differenti) che stanno bevendo assenzio (c’è uno spicchio sulla destra esattamente di quel particolare tipo di verde). Arriva il cameriere portando un vassoio con sopra una bottiglia da seltz (un punto di vista ce la mostra intera mentre un altro ne mostra solo una parte). Nel frattempo arriva il quarto ospite, in bicicletta. Se guardate bene infatti  c’è proprio una serie di ruote che partono dal lato in alto a destra fino ad arrivare al centro del lato inferiore del quadro con la bicicletta intera, probabilmente appoggiata al tavolino e finalmente ferma (ma poi si rimetterà in movimento proseguendo il giro e uscendo dalla scena verso sinistra). E se guadate bene potete anche scoprire il nome del bar: ci son due lettere rovesciate rosse che formano la parola “Zu” (sembra il numero 2 perché la Z è un riflesso), è il famoso bar Zucca.

13 – LE NORD SUD   1912

Gino Severini
Severini, LeNord Sud

Anche in questo caso l’autore utilizza la visione simultanea tipica del cubismo per mostrare una scena in movimento. Siamo nella metropolitana di Parigi, la fermata è PIgalle (qui scritta con una L in più proprio perché vista al volo dal treno in corsa). Le protagoniste sono due eleganti signore vestite una in marrone e una in blu, con tanto di stola di visone e merletti bianchi, veletta e cappellino con le piume.  Il cartello con la scritta “I classe” sulla destra, ha una S rovesciata perché è uno di quei cartelli appesi per un solo filo e quindi sta ruotando su se stesso.

14 – CAMERA INCANTATA    1917

Carlo Carrà
Carrà, La Camera Incantata

L’autore è lo stesso del “ritmo di oggetti” anche se si fa fatica a crederci. Ma il momento della sua vita è profondamente diverso. Nel primo quadro c’era ancora l’entusiasmo  e la fiducia nel futuro, qui invece la guerra e i suoi effetti devastanti  hanno paralizzato anche la sua voglia di movimento e di modernità.  Qui la scena è statica, il tempo si è fermato (la meridiana sullo sfondo non ha l’asta per segnare l’ora) ai momenti felici dell’infanzia dell’autore. Pur orfano di madre (sarta, infatti c’è un manichino rivestito di stoffe), riconosce quanto gli sia mancato l’amore materno (il manichino non ha le braccia quindi non può abbracciare). Ma allo stesso tempo sottolinea i momenti sereni passati con il padre (rappresentato dal parrucchino), durante giornate di pesca (il galleggiante rosso e il filo da pesca), le vittorie ottenute (il pesce incorniciato. Il tubo in metallo allude forse ai tanti lavori svolti da Carrà, idraulico compreso. Sullo sfondo l’ignoto, la porta nera, la paura del domani. Unico accenno, minimo, alla fiducia futurista è il respingente di una locomotiva, tanto cara ai futuristi, appoggiata sopra al manichino.

Sala X

Metafisica  -1917 circa

Questa corrente pittorica vuole rappresentare la realtà anche attraverso gli altri sensi, non limitandosi alla sola vista. Gli sfondi seguono molteplici punti di fuga prospettici creando una sensazione di spaesamento. Non ci sono presenze umane, il colore è a campitura piatta. Non c’è un tempo ben definito. Tutto appare immobile e misterioso.

15 – PAESAGGIO URBANO  1920

Mario Sironi
Sironi, Paesaggio urbano con camion

Nel periodo in cui questo artista aderisce maggiormente allo stile metafisico troviamo svariati paesaggi urbani. Sono città immense, deserte e silenziose. Anche l’orario non è definito, cielo chiaro ma camion al buio. Sono città svuotate dalla guerra, monocromatiche, con forme geometriche essenziali. Non si muove nulla, paradossalmente nemmeno il camion sembra muoversi in mezzo alla strada deserta.

16 – TESTA DI TORO   1942

Pablo Picasso
Picasso, testa di toro

Il toro è morto brutalmente, il sangue ne è la prova. La tovaglia “buona”, bianco candido, appena tirata fuori da un cassetto mostra i segni delle pieghe ma non ingentilisce la scena. La finestra fa da sfondo ma automaticamente lo nega, i vetri infatti sono opachi e non si vede nulla oltre quel vetro. Rappresenta infatti l’isolamento vissuto dal pittore durante gli anni della guerra. Non vuole rappresentare l’esterno perché non vuole vederlo, troppo orrore, troppo dolore, lo stesso dolore che si prova guardando la testa del toro con le orbite vuote.

Ma sono davvero veri?

Ma sono davvero veri?

Sono quadri veri e originali?

Vi sembrerà folle ma questa è davvero la domanda che mi viene sempre posta, tra lo stupore e la meraviglia, quando accompagno qualche classe di terza media a visitare un museo per la prima volta, magari la Pinacoteca di Brera.

Io ogni volta sobbalzo, o meglio sobbalzavo… ora conto semplicente fino al 3 e poi aspetto la fatidica domanda.

Che arriva sempre, ma proprio sempre eh!

Il bello è che lo stupore di trovarsi di fronte ad opere vere, originali “ma proprio quelle del libro” è sempre quello.

E’ la magia, è la meraviglia che genera incredulità.

Trovarsi di fronte al mito, partecipanti reali e presenti nello stesso spazio dell’opera originale crea davvero un attimo di spaesamento (senza necessariamente arrivare ai livelli da sindrome di Stendhal eh, però si tratta comunque di una forte emozione)

Pinacoteca di Brera

E zzzzacchete che arriva la domanda.

Da parte degli alunni, ma anche di molti colleghi…e anche da parte di mio marito, ingegnere poco avvezzo a frequentar musei d’arte (prima di conoscermi eh, ora lo trascin ehmmmm mi segue piacevolmente interessato anche se continua a preferire l’arte antica, ma su questo ci sto lavorando).

No, cari miei, no, non sono copie.

La Pinacoteca di Brera viene fondata fondata nel 1776 con decreto dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria.   L’idea nasce proprio per affiancare lo studio delle opere da parte  dei giovani artisti nell’Accademia di Belle Arti al piano sottostante.

Studiare gli artisti dal vivo significava osservare, copiare, analizzare gli originali…non certo delle copie!

Questa disposizione è rimasta immutata per secoli.

Al piano  terra quindi troviamo le aule (attualmente ci sono spostamenti in corso per qualche indirizzo, la Pinacoteca ha bisogno di più spazio proprio come  i moderni studenti), ma l’accostamento studio/opere originali non verrà mai  meno del tutto proprio perché si andrebbe a stravolgere l’idea originale.

E lo ripeto con il sorriso “sì, sono davvero veri!”.

Anche perché poi mi sorge un dubbio: ma esistono musei di sole copie?!

Avrebbe senso? Certo vedere un’opera in formato originale, magari una stampa di altissima qualità sarebbe pur sempre meglio che limitarsi ad osservarla su di un libro.

Ma la magia dove la mettiamo?

Quell’odore di colori ad olio, di polvere di secoli,  quel dettaglio che visto in controluce ci si rivela come una piccola scoperta…

La sola idea di poter intravedere un’impronta di Van Gogh, di guardare con i nostri occhi un particolare che Canaletto,  ben prima di noi, ha guardato e realizzato con maniacale precisione… È parte della magia!

Quindi cari miei…sì, sono tutte vere opere originali.

Trattatele con cura, osservatele con rispetto, annusatele con curiosità.

 

Arte moderna in Pinacoteca

Arte moderna in Pinacoteca di Brera

Generalmente porto le classi terze a visitare la Pinacoteca di Brera avvalendomi della perfetta organizzazione degli Amici di Brera.

Scelgo il percorso dedicato all’arte moderna (ma se volete spaziare ne troverete anche altri dedicati ad altri periodi o tarati su temi specifici).

Questo percorso va in pratica dal Romanticismo a Picasso.

La 3D davanti al Bacio di Hayez

Insomma un percorsino mica da ridere eh… si inizia con il Bacio di Hayez (riflesso poi nello sfondo del Triste Presentimento di Induno) e si conclude con la Testa di Toro di Picasso.

Nel mezzo si passa dai macchiaioli con il Pergolato di Lega o il Riposo di Fattori.  Respirando l’aria di alta montagna assieme al divisionismo di  Segantini con i suoi Pascoli a Primavera si arriva quindi all’immensa Fiumana di Pellizza da Volpedo.

Fiumana ha sostituito da qualche anno Il Quarto Stato attualmente al Museo del Novecento (e vi ricordo che per vederlo non serve pagare il biglietto perché questo quadro è stato comprato a suo tempo dai cittadini di Milano con una sottoscrizione e donato alla città e a tutti i suoi abitanti. Ora che ci penso…tecnicamente un filamentino piccino di quest’opera forse è appartenuta alla mia famiglia…mia nonna ricordava orgogliosamente di come anche sua nonna, non certo una riccona, avesse donato un soldino per poter partecipare a questa colletta artistica!).

Questa prima stanza è quella che genera più meraviglia nei miei alunni forse proprio perché, in genere, li porto in Brera quando il nostro percorso artistico scolastico è proprio allineato con questi anni di grandi cambiamenti.

Il passaggio dalla stampa, magari anche di buona qualità, ma necessariamente in formato ridotto all’originale è quasi destabilizzante.

Questa è  la prova tangibile di come io non abbia raccontato loro panzane per mesi.

Oh son soddisfazioni eh! Insomma parlavo (parlavoparlavoparlavo) di opere che esistono davvero e “sono vere”?! (questo è il primo commento cui forse dedicherò un approfondimento).

Ecco spiegato anche il secondo commento più gettonato “oh ma è proprio come quella che ci ha spiegato lei in classe”! (E a me vien sempre voglia di rispondere “ma và?! E io che volevo solo raccontarti cose a caso completamente inventate…” umpft)

Dopo questa prima grande stanza comoda purtroppo si passa in quello spazio espositivo che io definisco tristemente “il corridoietto”.

Il futurismo è un po’ in castigo purtroppo.

La collezione Jesi con le opere futuriste di Boccioni e la sua Città che sale, oppure con la folle Rissa in Galleria ma anche i vari Carrà e Severini meriterebbero uno spazio più ampio, ma seduti in terra ce li siam goduti comunque.

Ecco forse la parola più corretta per descrivere queste uscite a spasso in città è proprio questa: godersi le cose belle che ci circondano.

Anche nei musei, anche guardando opere vere.

Ma ci pensate? Questi artisti che noi studiamo, questi dipinti li han fatti davvero, li hanno pensati, inventati, dipinti, toccati.

Questi stessi artisti vissuti in secoli tanto lontani da noi han potuto ritrarre addirittura Manzoni e sua moglie (“Ma prooooooffff quel Manzoni è quello del libro di letteratura? E l’ha dipinto Hayez? Maddai?!”).

Questi artisti che arrivavano a Milano da regioni lontane han visto crescere Milano (“salire in verticale”, cioè han visto la costruzione dei palazzi moderni a più piani), hanno potuto immortalare il cambiamento che ora noi diamo anche troppo per scontato. I pittori futuristi han messo in evidenza con forme e colori la loro fiducia nel progresso e nella guerra che vedevano come ottima, rapida ed indolore e quegli stessi uomini, non più solo artisti, han messo in forme (molto più statiche rispetto alle precedenti) la loro delusione per il fallimento dei loro ideali.

Nello stesso modo Pellizza da Volpedo ha fatto da testimone alle prime rivendicazioni operaie creando un’opera poco apprezzata all’inizio ma trasformatasi in seguito in un simbolo per tutti i lavoratori, così come un simbolo, stavolta contro gli orrori della guerra, è la testa di toro di Picasso che quasi sembra urlare di dolore in quella casa francese con i vetri opachi, perfetti per isolare l’artista dagli orrori che si stavano svolgendo tutto intorno a lui.

Non so mai quanto e cosa resterà ai miei alunni  tredicenni, di queste immersioni nell’arte che sono allo stesso tempo incursioni nella storia, nella nostra storia.

Non so cosa e non so quanto…ma so che qualche cosa resterà.

Fosse anche solo lo stupore di ritrovarsi in ambienti tanto belli (sì io amo la Pinacoteca, inutile negarlo), e tanto ricchi di Opere che solo a guardarle per bene e con una spiegazione spesso indispensabile per apprezzarle davvero, ci fan capire il cammino che ci ha portati fino  ai nostri giorni.

Piccola dichiarazione sciagurata: in premio come “dopo mostra” metto sempre una mangiatina in un fastfood. Ormai si è sparsa la voce tra le classi e mi chiedono, in prima media (ohmamma) se in terza andremo in paninotecapinacoteca, (quasi uno scioglilingua) sì ormai per noi l’uscita ha assunto un unico nome!

Non demonizzo il cibo spazzatura, preferisco spiegare che è meglio non abusare di nulla, che alcuni cibi son più sani di altri, che è meglio mangiar bene facendo magari una volta tanto una piccola follia come un panino in compagnia. Del resto in centro a Milano ci son pochi posti comodi per intere classi e il momento di relax, secondo me, fa proprio parte dell’uscita, è il premio ad un comportamento corretto e ad una attenzione costante, ma è anche un bel momento di socializzazione mentre ti rubo una patatina fritta o mentre regali una crocchetta di pollo all’amico che ha ancora fame.

e poi…così facendo…mi porto avanti anticipando dal vivo la pop art! (astuta che sono) ehehhehe

p.s. Se vi interessa qui trovate una piccola guida dettagliata del percorso in mostra!

La rappresentazione dello spazio

La rappresentazione dello spazio

La rappresentazione dello spazio nel corso dei secoli varia moltissimo.

E’ un tema affascinante proprio perché rimane uno scoglio tra i più difficili da superare per tutti i miei alunni.

In questo pdf ho provato a fare un riassunto per immagini.

Dall’arte romana fino ai giorni nostri  ecco come i vari artisti, nel corso dei secoli, hanno provato, non sempre con successo, a rappresentare lo spazio.

Vedremo così quanto sia stato un argomento evidentemente molto studiato anche dagli artisti che ci hanno preceduto.

Ora grazie alle regole prospettiche fissate nel Rinascimento tutti noi possiamo provare a ricreare uno spazio reale e credibile copiandolo dal vero o anche solo immaginandolo.

Non è semplice, inutile negarlo …

Ma quando si ottiene il risultato cercato ci si trova quasi di fronte ad una magia.

Lo spazio del foglio, spazio piano per definizione, diventa quasi irreale.

Possiamo descrivere minuziosamente metri e metri di spazio in profondità in quei pochi cm di foglio a nostra disposizione.

Queste sì che son soddisfazioni!

ProspettivaNeiSecoli_30_150dpi

Omini rosa. Dubbi amletici tra baci e ceffoni

football angels

Omini  rosa

Stanno aumentando, soprattutto nella zona dove vivo.

Ho iniziato a “collezionarli” fotografandoli.

E’ scattata quasi una gara tra colleghi a chi ne vedeva di più.

Ha vinto lei, il segugio migliore, una vera e propria macchina da guerra che, molto probabilmente, in questi ultimi tempi a furia di andare in giro con il naso all’insù, in caccia (per mmmmme!),  ha rischiato molte volte di inciampare.

Ma la prof.ssa Russotto, indomita, ha continuato a mandarmi immagini di nuovi omini rosa.

Celo celo manca. Par quasi d’esser tornati ai tempi delle raccolte di figurine (son vecchietta, chiariamolo subito: mi son fermata all’album, completato davvero però, di Sandokan e della Perla di Labuan!).

A questa premessa generale però va aggiunta una nota non del tutto indifferente: sono un’insegnante di storia dell’arte.

Io in classe parlo ai miei alunni di artisti vari, da quelli del Rinascimento classico fino alla street art dei tempi moderni.

Io in classe educo, per contratto, alla bellezza.

Ma…devo anche educare!

Lo confesso senza vergogna; questi omini rosa, mannaggialloro, mi hanno spiazzata.

Mi ritrovo proprio ad esser combattuta.

Come li devo considerare? arte o vandalismo?

Certo io in classe parlo anche di artisti famosi che proprio sull’arte di strada han costruito la loro fama e la loro fortuna.

K. Haring, Banksy, Basquiat…anche loro prima di essere Loro son stati solo vandali, writers, sgraditi imbrattamuri.

 

Quando mi ritrovo a dover parlare di arte moderna ai miei alunni io entro in crisi, c’è poco da dire.

Mi ritrovo letteralmente dilaniata tra gusto personale e dovere, tra etica e morale,tra oneri e onori, tra vivi e seziona…

Come faccio a parlare di street art e nel contempo  a far passare il messaggio: no tu non puoi fare scarabocchi sui muri (perché fan schifo, perché son brutti, perchè non sei mica un artista, perché se ti beccoticorco)?!.

Tra l’altro mi piace condividere le perplessità con chi  vive attorno a me.

Parlarne fa crescere in me i dubbi facendo diminuire le già poche certezze che avevo…come dice mio marito “devo imparare a starmene zitta” altrochè!

Mio marito sostiene che avrebbe rotto una falangetta anche a Leonardo se lo avesse beccato a dipingere la Gioconda sulla parete di casa nostra senza aver prima chiesto permesso. Gli credo eh, non sta facendo una sparata tanto per dire…

Ma io da un lato lo capisco, approvo e concordo con il senso del discorso: la proprietà privata per me è davvero sacra.

Chiedimi il permesso e molto probabilmente non ti dirò di no.

Questi omini rosa ad esempio, li ho studiati per bene. Sono attaccati e mediamente poco invasivi, non son dipinti (tranne uno, orrore orrore, mi rovina quasi tutta la teoria che vede in Aloi un vandalogentile, insomma lo considererò una prova, un unicum quell’omino dipinto maledetto!), sono incollati, realizzati evidentemente con calma altrove e poi messi lì, in giro, in bellavista.

Su muri di case private, su centraline elettriche, su muri di edifici pubblici, a volte interi, a volte a pezzi, spesso quasi a sbucare e a far capolino.

Quei cosi rosini ci fissano, ormai ne son certa.

Sono a tratti ripetitivi, spesso ironici, molte volte divertenti, qualche volta criptici, ma sempre riconoscibili.

Cercando on line non è nemmeno difficile trovare notizie sul giovane artista (o vandalo?!), si chiama Christian Aloi,  si firma Aluà, 29 anni di Catanzaro.

Vive qui in zona, è un mio vicino di casa…ahhhh prima o poi lo becco, ahhh se lo becco! A quel punto dovrò decidere se dargli un bacio (in fronte, suvvia, non pensate male), o un ceffone (ancora non ho deciso dove).

Molti nel quartiere hanno adottato gli omini rosa, li considerano ormai “di tutti”, altri non li posson più vedere (Aluà nun t’allargà troppo, ti prego, risparmia i palazzi storici, fallo per me e per la mia coscienza dilaniata, tipregotipregotiprego).

Alcuni spariscono al volo (non ho fatto in tempo a fotografare quello che vomitava verde, umpft, avevo il cell scarico…se ne avete un’immagine sottomano passatemelo, è il mio santo graal!).

Del resto proprio Aloi in una recente  Intervista  ha dichiarato “se qualcuno non li apprezza può rimuoverli con il minimo sforzo“.

Secondo me iniziano ad andare a ruba anche per gradimento!

Non è certo il primo artista ad aver scelto la forma umana o proprio l’omino come cifra stilistica.

Mi viene immediatamente in mente, oltre al citato Haring, richiamo più diretto, anche il vecchio e amatissimo Mr Linea di Osvaldo Cavandoli dei primi anni ’70.

Ma da una rapida e quasi casuale ricerca di immagini in rete ne saltan fuori tanti altri di omini artistici: Exit Enter che imbratt ehm lavora a Firenze, ma anche Clet Abrhams, bretone, con gli omini nei cartelli stradali, sempre a Firenze (perchè sempre lì? mah forse il richiamo e il confronto diretto con l’arte rinascimentale…affascina.)

Ma anche Mike, all’anagrafe Michela Roffarè crea con gli omini, come fa da anni anche Blu Blu.  Del resto anche un marchio storico come Robe di Kappa ha scelto gli omini come logo.

Ora che ci ripenso, anche io da ragazzina, ho iniziato a far proprio omini (i miei spesso erano ammassati, grassi, spesso orgiastici…).

Questi risalgono ai primi anni ’80 mi sa!

il mio primo murale!

Ma…per voi questa è Arte o Vandalismo?

 Bacio o Ceffone?

Arte in pubblicità

Arte in pubblicità
Arte in pubblicità, arte e pubblicità.

Non si tratta sicuramente di un nuovo abbinamento, anzi!

Da sempre la pubblicità attinge dalle immagini artistiche per ispirarsi o addirittura proprio per inserirle tali e quali all’interno dell’ immagine pubblicitaria prescelta.

Del resto la cosa ha anche un senso che non va cercato poi tanto lontano …

Proviamo ad analizzare la cosa partendo dall’inizio:

l’arte ha sempre avuto come scopo principale quello di pubblicizzare qualcuno (vedi i ritratti di personaggi famosi) ma anche qualche cosa, magari un evento storico di grande importanza (basti pensare ai tanti artisti che si son cimentati con rappresentazioni di battaglie, di vittorie, di scene storiche considerate fondamentali).

Ma l’arte fin dalla sua nascita vuole anche rappresentare e pubblicizzare dei messaggi.

Senza nemmeno far troppa fatica vi ricorderete tutti la funzione didattica delle pitture rupestri che riportando fedelmente scene di caccia di sicuro successo intanto insegnano e pubblicizzano, appunto, una tecnica di caccia consolidata e se lo facevan già nella preistoria…figuriamoci nel tempo moderno.

Nel corso dei secoli il messaggio artistico ha assunto via via significati ancora più diretti: la denuncia sociale, la protesta, il dissenso.

Insomma l’arte con le sue immagini era  già pubblicità anche quando la pubblicità ancora non era stata nemmeno inventata.

Logico quindi giocare a riconoscere nelle varie campagne pubblicitarie moderne i riferimenti alla storia dell’arte, a volte molto diretti, citazioni nette, altre volte con riferimenti meno immediati ma non per questo meno chiaramente derivati da artisti di tutti i secoli.

Navigando tra ricordi personali e immagini in rete mi par chiaro come la Gioconda sia da sempre una delle immagini artistiche che si son meglio prestate ad essere riciclate, reinventate, rimaneggiate, in pubblicità di ogni genere, per qualsiasi prodotto e comunque perfetta per ogni tipo di messaggio: dalla vendita diretta alla pubblicità progresso.

La Gioconda è l’immagine perfetta per la pubblicità perché è famosa, ovunque, per chiunque, sempre immediatamente riconoscibile.

Lo sapevan bene anche artisti ben successivi al rinascimento, basti pensare ai baffi della Gioconda di Duchamp o a Dalì che si autoritrae nelle vesti della stessa Gioconda.

Che sia uguale all’originale o sia come appena passata dal parrucchiere per farsi una permamente o una lisciata di capelli (la famosissima campagna della ferrarelle!), che i capelli li abbia proprio persi (pubblicità progresso di sensibilizzazione per i malati di cancro), che sia deformata a causa della velocità del mezzo che la sta trasportando o aspirando o stampando (la stampante epson)…è sempre lei: la monna Lisa, se la riconosci sempre e comunque è la prova evidente di come sia lei il testimonial perfetto!

Ci sono poi marchi che cavalcano l’onda dell’abbinamento “arte in pubblicità” per anni, variando lo stile ma non il senso.

E’ il caso ad esempio del marchio Esselunga che ci ha da sempre abituato ai suoi ritratti fatti di ortaggi (citazione diretta di quelli dell’Arcimboldo), ma che proprio ultimamente, (in occasione dell’expo a Milano  mi pare) ha tappezzato le città con riproduzioni ad alta definizione di nature morte legate al cibo di artisti vari.

Bellissime, un colpo d’occhio impossibile da tralasciare anche durante le corse sui vari mezzi pubblici tra un impegno e l’altro.

Ma chi prima chi dopo son moltissimi i marchi che in Italia (e forse ancor più all’estero), ricorrono all’arte per “farsi belli” ed è una scelta  sempre vincente.

Il sistema funziona anche quando il prodotto da pubblicizzare non è direttamente collegato al mondo dell’arte (insomma è abbastanza normale pensare a manifesti pubblicitari di musei o eventi artistici con immagini artistiche, lo è meno in abbinamenti inimmaginabili!).

Se vi siete appassionati o volete semplicemente vedere altri esempi, vi consiglio questi siti:

http://www.italipes.com/index.htm

http://www.arte.rai.it/gallery-refresh/20-irriverenti-pubblicit%C3%A0-ispirate-dal-mondo-dellarte/553/0/default.aspx

http://www.focus.it/cultura/storia/ispirazioni-classiche?gimg=12712#img12712

Nel nostro piccolo anche noi abbiamo giocato  con l’arte modificando la Gioconda!

Se volete dare una sbirciatina trovate qui i nostri lavori